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Un’altra giustizia

“Le carriere vanno separate, ma il referendum non aiuta a farlo”. Intervista al pm Bono

Gianluca De Rosa

Il magistrato della Procura di Siracusa commenta i quesiti approvati dalla Consulta: "Il referendum cambierà poche cose. La vera rivoluzione, se lo desiderasse, potrebbe farla il Parlamento con una riforma organica"

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“Nel merito io sono assolutamente favorevole alla separazione delle carriere, ma questo referendum, purtroppo, non incide come si pensa”. Gaetano Bono, rampante sostituto procuratore a Siracusa è uno dei pochi pm italiani che considera la separazione delle carriere di giudici e procuratori un passaggio necessario per ricostituire la credibilità dei magistrati italiani. “Diciamo che tra i miei colleghi in attività la mia è una posizione minoritaria, quelli in pensione si lasciano più andare”, ride.

Nonostante questo però è convinto che il referendum presentato da Lega e partito Radicale, ritenuto due giorni fa tra quelli ammissibili dalla Corte Costituzionale, non cambi poi più di tanto le cose. “Già parlare di separazione delle carriere è improprio – dice –, perché con quel quesito si tratta solo un aspetto limitato: quello del passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa. Già oggi questi movimenti sono piuttosto limitati e quindi, nonostante quelle le intenzioni dei proponenti, ci si limita a un cambiamento di dettaglio, sarebbe una vittoria simbolica, ma in questo modo non si separano davvero le carriere”.

Negli ultimi tre anni, in effetti, sono solo 81 i giudici diventati pm, mentre in 41 hanno fatto il percorso inverso. A ostacolare per i magistrati il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente sono intervenute nel tempo già due riforme (con il leghista Roberto Castelli come Guardasigilli nel 2005 e con Clemente Mastella nello stesso ruolo nel 2007). All’interno di quelle leggi sono stati introdotti, oltre al limite di un massimo di quattro passaggi di funzione (che con la riforma Cartabia scenderebbero a due), ulteriori impedimenti. Oggi un magistrato penale che vuole passare dalla funzione giudicante a quella inquirente ha anche l’obbligo di cambiare distretto. I distretti giudiziari in Italia sono 26 e corrispondono grossomodo ai territori delle regioni.

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Le limitazioni si riducono per il passaggio dal penale al civile. In quel caso basta il passaggio di circondario che, nella geografia giurisdizionale del Paese significa, seppur con una sovrapposizione non perfetta, cambiare Provincia. “Con queste riforme – dice Bono – si è superato già quello che era il primo problema principale, e cioè che un magistrato si trovasse a fare il pm nello stesso ufficio in cui aveva fatto il giudice perché già oggi un magistrato che vuole cambiare funzione deve rivoluzionare un po’ la sua vita. Per questo con il quesito cambia poco, la vera rivoluzione, se lo desiderasse, potrebbe farla il Parlamento con una riforma organica”. Il pm di Siracusa è convinto che per separare sul serio le carriere i percorsi tra giudici e pm andrebbero slegati sin dall’inizio. “Ci vorrebbero due concorsi, ma soprattutto due Csm separati”. Questo, dice Bono, è il punto cruciale. “Se passasse il referendum invece si eviteranno i residuali transiti tra le funzioni, ma rimarrebbe il fatto che all’interno dell’organo di autogoverno giudici e pubblici ministeri giudicano e decidono sulle carriere di giudici e pubblici ministeri… e i condizionamenti più dannosi continuerebbero ad esserci”.

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Il sostituto procuratore ha sul tema anche una preoccupazione. “Se mai si facesse una legge del genere – dice – bisognerebbe come prima cosa scardinare quella che è la preoccupazione di tutti i magistrati che sono contrari alla separazione delle carriere: evitare una riforma che sottoponga i pubblici ministeri al controllo del potere esecutivo. La natura del pm dovrebbe rimanere quella di organo indipendente, senza andare nella direzione di Spagna, Germania e Usa, dove i magistrati, con diverse sfumature, legano le loro carriere a nomine di governo”. Deriva pericolosa? “Non esageriamo – ammette Bono – non parliamo di dittature africane, sia chiaro, però per l’Italia, un paese litigiosissimo, una scelta del genere sarebbe un disastro”.

Anche su un altro dei cinque quesiti referendari sulla giustizia ammessi il pm siciliano, che non è iscritto ad alcuna corrente, è scettico. Quello che cancella le 25 firme necessarie per presentare una candidatura al Csm. “Sarebbe inutile, anzi forse persino dannoso. Venticinque firme un bravo magistrato riesce a raccoglierle anche senza il sostegno delle correnti, al massimo quelle sottoscrizione fanno da filtro alle candidature di squilibrati e invasati. Per il resto non cambierebbe nulla perché la libertà di candidarsi già c’è, ma le correnti si mettono d’accordo, occupando tutti i posti e determinando il quorum per essere eletti, irraggiungibile senza l’appoggio di una corrente”.

Non basterebbero i correttivi della riforma Cartabia. “Da questo punto di vista – dice – non risolve il problema: le correnti potranno continuare a concentrare i voti sui loro candidati anche nei collegi più piccoli”.

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