Il premier Mario Draghi (LaPresse)

L'anticipazione

La giustizia di Draghi

Ermes Antonucci

Tempi certi e controlli forti per evitare indagini eterne. Svolta garantista nel Recovery. Scoop! 
 

Riduzione dei tempi dei processi penali (in particolare con la definizione di tempi certi per le indagini preliminari), riduzione del numero dei procedimenti, miglioramento dell’organizzazione dell’attività degli uffici giudiziari (con una maggiore responsabilizzazione dei dirigenti), riforma del sistema elettorale e del funzionamento del Consiglio superiore della magistratura. Sono i quattro punti principali della riforma della giustizia contenuta nel Piano nazionale di ripresa e resilienza elaborato dal governo (Pnrr), che il Foglio è in grado di anticipare. Il Pnrr sarà varato nelle prossime ore dal Consiglio dei ministri, per poi essere presentato in parlamento la prossima settimana ed essere inviato a Bruxelles entro il 30 aprile.

 

La riforma, predisposta dalla Guardasigilli Marta Cartabia, si pone come primo obiettivo quello di ridurre i tempi (spesso biblici) della giustizia penale italiana, da tempo al centro di preoccupazioni delle istituzioni europee e “condannata” da statistiche che evidenziano una durata dei processi nel nostro Paese di molto superiore alla media europea. “Una eccessiva durata del processo reca pregiudizio sia alle garanzie delle persone coinvolte – indagato, imputato e vittima/persona offesa – sia all’interesse dell’ordinamento all’accertamento e alla persecuzione dei reati”: è questa la considerazione di partenza della riforma, che mira a “rendere più efficiente il processo penale e ad accelerarne i tempi di definizione”. Accanto a interventi in settori ormai “classici” (come la semplificazione e la razionalizzazione del sistema degli atti processuali e delle notificazioni, in particolare con “l’adozione e diffusione di uno strumento telematico”, e l’ampliamento della possibilità di ricorrere ai riti alternativi), spicca la previsione di misure volte a garantire tempi certi alla fase delle indagini preliminari, quella in cui notoriamente si consuma maggiormente il fallimento della giustizia italiana (circa il 60 per cento dei procedimenti finisce in prescrizione prima del dibattimento).

 

A tal proposito, il piano prevede la rimodulazione dei termini di durata e della scansione termini, il controllo giurisdizionale sulla data di iscrizione della notizia di reato e l’adozione di misure per promuovere organizzazione, trasparenza e responsabilizzazione dei soggetti coinvolti nell’attività di indagine. Insomma, tempi certi e controlli rigorosi per evitare che le indagini durino in eterno. Nel testo vengono poi definiti interventi tesi a ridurre il numero dei procedimenti, in particolare intervenendo sulla procedibilità dei reati, sulla possibilità di estinguere alcune tipologie di reato mediante condotte riparatorie a tutela delle vittime, e sull’ampliamento dell’applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto. In questo ambito, specifica la riforma, vengono prese in considerazione eventuali iniziative concernenti la prescrizione del reato, inserite in una cornice razionalizzata e resa più efficiente, dove la prescrizione non rappresenti più l’unico rimedio di cui si munisce l’ordinamento nel caso in cui i tempi del processo si protraggano irragionevolmente. Un inciso che sembra finalizzato soprattutto a rassicurare la compagine grillina, sensibile al tema della prescrizione e contraria a qualsiasi ipotesi di revisione della legge Bonafede (con processi rapidi non ci sarà bisogno di toccare la legge, sembra essere la logica di fondo della riforma).

 

Il piano mira anche a migliorare l’organizzazione dell’attività degli uffici giudiziari. Due sono le principali novità. Da un lato, l’estensione, anche al settore penale, dei programmi di gestione volti a ridurre la durata dei procedimenti e definire gli obiettivi di rendimento dell’ufficio, e che impongono il rispetto dei criteri di priorità, stabiliti secondo specifiche linee guida definite dal Consiglio superiore della magistratura (punto quest’ultimo di grande rilevanza, che punta a superare la situazione attuale in cui, nella sostanza, ogni procura individua in modo diverso i propri criteri di priorità nell’azione penale). Dall’altro lato, si prevede una maggiore responsabilizzazione del dirigente dell’ufficio giudiziario, al quale spetterà il compito di monitorare costantemente l’andamento delle pendenze e di intervenire per garantire l’efficienza dell’ufficio. A tal fine si prevede anche una riforma del procedimento di selezione e di conferma dei dirigenti degli uffici e delle sezioni, per consentire che questi siano effettivamente diretti da magistrati dotati delle migliori capacità e delle professionalità necessarie.

 

Prevista, infine, anche una riforma del meccanismo di elezione dei componenti del Csm e una rimodulazione dell’organizzazione interna dell’organo. Su questo, la riforma si limita per il momento a stabilire l’obiettivo generale dell’intervento: “Garantire un autogoverno improntato ai soli valori costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità della giurisdizione”. Il ricordo dello scandalo delle cosiddette nomine pilotate al Csm è ancora vivo.

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