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IL PIANO NAZIONALE

La riforma della Giustizia va nella giusta direzione ma non basta

Giacinto Della Cananea

La linea del governo è condivisibile ma l’individuazione degli interventi è generica e i progetti solo delineati. E soprattutto non viene data la dovuta importanza al problema principale: l’attuazione

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Per garantire che il Sistema sanitario nazionale superi al meglio la pandemia, per uscire dalla recessione sostenendo le imprese capaci di produrre e innovare, per dotare l’Italia di infrastrutture adeguate, occorre un grande piano di investimenti pubblici. Alle risorse finanziarie, che ne costituiscono il primo elemento indispensabile, provvede il Next Generation Eu: come ha osservato il presidente Mattarella, si tratta di una preziosa “opportunità che va colta per ammodernare il paese”. Ma ai piani, l’altro elemento indispensabile, provvedono i singoli stati, sia pure nel quadro dei criteri generali stabiliti dalle istituzioni europee. E’ essenziale che i loro piani muovano dai problemi esistenti, indichino soluzioni idonee a porvi rimedio, ne scandiscano la realizzazione nel tempo. Un banco di prova tra i più importanti, soprattutto per l’Italia, è la giustizia. Di ciò il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), in circolazione nei giorni scorsi, mostra consapevolezza. Esso precisa che quella della giustizia è una riforma “di sistema”. Indica vari obiettivi generali, coerentemente con le raccomandazioni impartite dalla Commissione Ue. In particolare, dà importanza all’efficacia dei tempi e alla qualità delle decisioni giudiziarie. Francesco Giavazzi ha obiettato (sul Corriere della Sera dell’11 dicembre 2020) che dire di voler garantire “procedimenti snelli e processi rapidi” rischia di ridurre, anziché aumentare, la credibilità del progetto per la sua genericità.

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Per garantire che il Sistema sanitario nazionale superi al meglio la pandemia, per uscire dalla recessione sostenendo le imprese capaci di produrre e innovare, per dotare l’Italia di infrastrutture adeguate, occorre un grande piano di investimenti pubblici. Alle risorse finanziarie, che ne costituiscono il primo elemento indispensabile, provvede il Next Generation Eu: come ha osservato il presidente Mattarella, si tratta di una preziosa “opportunità che va colta per ammodernare il paese”. Ma ai piani, l’altro elemento indispensabile, provvedono i singoli stati, sia pure nel quadro dei criteri generali stabiliti dalle istituzioni europee. E’ essenziale che i loro piani muovano dai problemi esistenti, indichino soluzioni idonee a porvi rimedio, ne scandiscano la realizzazione nel tempo. Un banco di prova tra i più importanti, soprattutto per l’Italia, è la giustizia. Di ciò il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), in circolazione nei giorni scorsi, mostra consapevolezza. Esso precisa che quella della giustizia è una riforma “di sistema”. Indica vari obiettivi generali, coerentemente con le raccomandazioni impartite dalla Commissione Ue. In particolare, dà importanza all’efficacia dei tempi e alla qualità delle decisioni giudiziarie. Francesco Giavazzi ha obiettato (sul Corriere della Sera dell’11 dicembre 2020) che dire di voler garantire “procedimenti snelli e processi rapidi” rischia di ridurre, anziché aumentare, la credibilità del progetto per la sua genericità.

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Tuttavia, le reazioni di alcuni magistrati al suo intervento, volto a spronare il governo a far di più e meglio, sono state critiche. Essi contestano non solo il riferimento all’impresa, ma anche la logica dell’efficienza. E’ vero che l’efficienza si declina diversamente in un’impresa e in un insieme di uffici pubblici, come quelli adibiti alla giustizia. Ma è pur vero che, proprio perché si tratta di pubblici uffici, essi devono essere organizzati in modo da consentirne il buon andamento, com’è richiesto dall’articolo 97 della Costituzione. Emerge così, ancora una volta, la riluttanza d’una parte della cultura giuridica italiana a prendere atto della pari importanza che la Costituzione attribuisce all’imparzialità e al buon andamento, cioè all’efficienza e all’efficacia. Il problema esiste, ha una portata sistemica e il governo fa bene a sottolinearlo. Anche le linee di azione indicate dal governo sono condivisibili: migliorare le prestazioni degli uffici giudiziari, favorire la digitalizzazione, potenziare le strutture materiali e la logistica, favorire l’effettività del sistema penale. Quando però si passa alla descrizione degli ambiti e delle modalità con cui tali linee di azione devono essere svolte, il Piano è meno convincente. Quanto agli ambiti, è senz’altro doveroso intervenire sui processi civili e penali, ma non bisogna dimenticare i giudizi tributari, per i quali il Piano fa riferimento soltanto al notevolissimo arretrato che si registra presso la Corte di cassazione. Quanto alle modalità di azione, almeno due aspetti mostrano la necessità di un ulteriore affinamento del Piano.

 

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Non basta ribadire il lodevole intento di “favorire la digitalizzazione per incrementare la capacità del sistema di rispondere alla domanda degli utenti e promuovere la tracciabilità”: occorre fare chiarezza sullo stato attuale della digitalizzazione (ipotizziamo che sia non lontana dal 10 per cento), determinare target realistici (come il 50 per cento nell’arco di 3 o 5 anni) e disporre apposite verifiche per misurarne il grado di raggiungimento e valutare il rendimento dei titolari degli uffici direttivi. Non basta affermare la volontà di contrastare le liti temerarie nel processo civile, anche mediante “il riconoscimento dell’amministrazione della giustizia quale soggetto danneggiato nei casi di responsabilità aggravata per lite temeraria”: poiché molto spesso sono i dirigenti pubblici a protrarre i giudizi fino all’ultimo grado – e lo fanno per evitare d’incorrere in responsabilità – bisogna indurli a riconsiderare il contenzioso esistente e a concentrare le risorse su alcuni filoni, non su tutti. Per riuscirvi, servono specifici incentivi, disincentivi e remore. In definitiva, il Piano insiste giustamente sull’inefficienza dei processi, in particolare civili e penali. Tuttavia, l’individuazione di alcuni interventi è generica, i progetti da attuare sono solo delineati, non viene data la dovuta importanza al problema principale di qualsiasi riforma, che consiste nell’attuazione. Dare per scontato – come nella famosa frase attribuita a Napoleone – che “l’intendenza seguirà” espone al rischio del fallimento, un rischio che il nostro paese non può permettersi.

 

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