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Editoriali

Fine di una persecuzione “illogica”

Redazione

Dopo 30 anni Mannino assolto pure in Cassazione. Chi pagherà i danni morali?

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La Corte di cassazione ha assolto definitivamente l’ex ministro Calogero Mannino nel processo stralcio sulla cosiddetta trattativa stato-mafia. Mannino, accusato di minaccia a corpo politico dello stato, era stato assolto anche in primo grado e in appello. Per l’ex politico democristiano è la fine di un calvario mediatico-giudiziario durato quasi 30 anni. La prima accusa di vicinanza alla mafia gli venne mossa nel lontano 1991. Nel 1995 la procura di Palermo guidata da Gian Carlo Caselli chiese e ottenne per Mannino persino l’arresto, ipotizzando il concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex ministro Dc trascorse nove mesi in carcere e altri 13 mesi agli arresti domiciliari. Quindici anni di sofferenze dopo, nel 2010, venne assolto in via definitiva da tutte le accuse. Neanche il tempo di riprendersi che Mannino venne di nuovo chiamato in causa dalla procura di Palermo (Antonio Ingroia e colleghi), stavolta con l’accusa di avere promosso la trattativa stato-mafia. Anche nel nuovo processo, in rito abbreviato, il castello accusatorio dei pm è sempre stato bocciato.

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La Corte di cassazione ha assolto definitivamente l’ex ministro Calogero Mannino nel processo stralcio sulla cosiddetta trattativa stato-mafia. Mannino, accusato di minaccia a corpo politico dello stato, era stato assolto anche in primo grado e in appello. Per l’ex politico democristiano è la fine di un calvario mediatico-giudiziario durato quasi 30 anni. La prima accusa di vicinanza alla mafia gli venne mossa nel lontano 1991. Nel 1995 la procura di Palermo guidata da Gian Carlo Caselli chiese e ottenne per Mannino persino l’arresto, ipotizzando il concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex ministro Dc trascorse nove mesi in carcere e altri 13 mesi agli arresti domiciliari. Quindici anni di sofferenze dopo, nel 2010, venne assolto in via definitiva da tutte le accuse. Neanche il tempo di riprendersi che Mannino venne di nuovo chiamato in causa dalla procura di Palermo (Antonio Ingroia e colleghi), stavolta con l’accusa di avere promosso la trattativa stato-mafia. Anche nel nuovo processo, in rito abbreviato, il castello accusatorio dei pm è sempre stato bocciato.

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Nella prima sentenza di assoluzione del 2015 il giudice demolì il lavoro dei pm parlando di “prove inadeguate”, “suggestiva circolarità probatoria” e “interpretazioni di colpevolezza indimostrate”. Nel 2019 i giudici d’appello definirono la tesi della procura di Palermo “non solo infondata, ma anche totalmente illogica e incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti”, riconoscendo ciò che era evidente a chiunque avesse un minimo di coscienza storica: Mannino non ha mai aiutato la mafia, anzi l’ha combattuta e per questo era finito nel mirino di Cosa nostra. La Cassazione ora ha confermato l’infondatezza delle accuse, dando una spallata micidiale al filone principale del processo, di cui è in corso l’appello a Palermo e che vede imputati anche gli ex vertici del Ros Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni. Per Mannino è la fine dell’“ossessione persecutoria di alcuni pm”, anche se i danni devastanti subiti sul piano personale, economico e sociale non troveranno mai alcuna riparazione.

 

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