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DOPO LA CHIUSURA DELLE INDAGINI

Caso Regeni, uno stato serio non si lascia trattare così

Giuliano Ferrara

Le relazioni con l'Egitto e gli atti politici mancanti da parte del governo e del Quirinale. Perché non esistono le basi per la convivenza diplomatica e commerciale con un paese che non riesce a riconoscere fatti di inaudita gravità, comportandosi di conseguenza

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I diritti e l’umanità sono una cosa, la ragion di stato un’altra. In questo caso di Giulio Regeni, cittadino italiano rapito, torturato e ucciso al Cairo, nei pressi del ministero dell’Interno, diritti umanità e ragion di stato coincidono. Uno stato serio non si lascia trattare così. L’Egitto è in mano a una giunta militare e al suo uomo forte, al Sisi, può e deve consentire a ogni costo, compresa la destabilizzazione dei vertici del suo apparato di sicurezza, che sia fatta almeno simbolicamente quella giustizia che è morta con il trattamento più che ferino riservato a un nostro connazionale. Una stortura omicida va riparata, un errore va sanato, è la regola da sempre e per tutti.

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I diritti e l’umanità sono una cosa, la ragion di stato un’altra. In questo caso di Giulio Regeni, cittadino italiano rapito, torturato e ucciso al Cairo, nei pressi del ministero dell’Interno, diritti umanità e ragion di stato coincidono. Uno stato serio non si lascia trattare così. L’Egitto è in mano a una giunta militare e al suo uomo forte, al Sisi, può e deve consentire a ogni costo, compresa la destabilizzazione dei vertici del suo apparato di sicurezza, che sia fatta almeno simbolicamente quella giustizia che è morta con il trattamento più che ferino riservato a un nostro connazionale. Una stortura omicida va riparata, un errore va sanato, è la regola da sempre e per tutti.

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Uno stato serio e responsabile come l’Italia, malgrado l’interscambio commerciale, malgrado l’estrema delicatezza degli equilibri nell’area, malgrado l’Eni, malgrado tutto, deve imporre una minima misura di rispetto. Deve non solo ritirare l’ambasciatore in Egitto ma anche congedare, ritirandogli le credenziali, l’ambasciatore di al Sisi a Roma. Il governo deve esprimersi in modo univoco e chiaro per il congelamento delle relazioni bilaterali. Il Parlamento deve approvare un’unanime mozione di sostegno. Dal Quirinale ci si aspettano parole sonanti se non di fuoco. In sede europea e internazionale si devono chiedere sanzioni mirate e proporzionate alla gravità dell’offesa. Senza questi passi non restano che le chiacchiere e le ipocrisie.

 

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Non esiste interesse di stato superiore a quello della consegna dei responsabili a un giusto processo o di atti compensativi equivalenti fondati su scuse pubbliche e risarcimento non simbolico, con l’individuazione e la punizione in loco dei rapitori torturatori e uccisori del ricercatore italiano assassinato. Sono le conseguenze dell’indagine della magistratura romana e degli altri accertamenti dei servizi. Sono le conseguenze del torpore e della vigliaccheria dello stato egiziano di fronte all’evidenza di un delitto di regime. Nessuno potrebbe accusare di imprudenza o di irresponsabilità chi chiede di mettere in luce, per procedere in giudizio e sanzionare il misfatto, i segreti presunti, che non sono più segreti dopo i risultati di un’inchiesta giudiziaria durata anni, della stanza numero 13, il luogo di martirio di un italiano che studiava all’estero.

 

Non si tratta di fare la voce grossa o la faccia feroce, si tratta di altro: non esistono le basi per la convivenza diplomatica, politica e commerciale con un paese che non riesce a riconoscere un fatto di inaudita gravità e a comportarsi di conseguenza. L’Egitto è una grande nazione mediorientale, ha un peso strategico, è erede illustre di storia, tradizione, cultura, decide di sé ma non può decidere della vita degli altri a piacimento, per un sospetto, col mezzo della tortura e dell’uccisione, e al Cairo abita un potere in carica saldo sui suoi stivali. Non è tollerabile che si comporti come un regime fuorilegge, incapace di assicurare il diritto alla vita di cittadini stranieri, incline a non riconoscere l’evidenza dei fatti, a depistare e nascondere le prove finché possibile. 

 

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Se l’Italia fa muro, per quanto drammatiche le conseguenze, per quanto incerto sia lo sbocco della rigidità e dell’intrattabilità, fa semplicemente il suo dovere civile di stato indipendente associato alla comunità internazionale. Non è solo per pietà verso la memoria di Giulio Regeni o verso il dolore non spento dei suoi famigliari, ma per pietà verso l’identità e il carattere di una grande nazione europea che è arrivato il momento della più rigorosa intolleranza a ogni livello.

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