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Calogero Mannino è innocente. Fine del processo infinito

Riccardo Lo Verso

La Cassazione conferma l'assoluzione dell'ex ministro e cancella così tutta l'impalcatura giudiziaria sulla Trattativa stato-mafia, che ha alimentato processi, talk show e una letteratura di genere. A coloro che si sono creduti depositari della verità verrà difficile ammettere di essersi sbagliati

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Calogero Mannino è innocente. Il politico democristiano non diede il via alla Trattativa stato-mafia. Cade la genesi di quel patto scellerato e presunto siglato a cavallo delle stragi di mafia del '92. Chi accese il motore della trattativa, perché temeva di essere ucciso, viene scagionato per sempre, mentre coloro che la trattativa l'avrebbero portata avanti, a cominciare dal generale dei carabinieri Mario Mori, sono stati condannati in primo grado a pene pesantissime. Qualcuno dovrebbe rassegnarsi di fronte all'aporia giudiziaria, ad una contraddizione che non può essere superata. 

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Calogero Mannino è innocente. Il politico democristiano non diede il via alla Trattativa stato-mafia. Cade la genesi di quel patto scellerato e presunto siglato a cavallo delle stragi di mafia del '92. Chi accese il motore della trattativa, perché temeva di essere ucciso, viene scagionato per sempre, mentre coloro che la trattativa l'avrebbero portata avanti, a cominciare dal generale dei carabinieri Mario Mori, sono stati condannati in primo grado a pene pesantissime. Qualcuno dovrebbe rassegnarsi di fronte all'aporia giudiziaria, ad una contraddizione che non può essere superata. 

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Il colpo di coda, il tentativo estremo di salvare il salvabile da parte dell'accusa va a sbattere contro l'inammissibilità decisa dalla Corte di Cassazione. Inammissibile è il ricorso della Procura generale di Palermo. Mica un ricorso come mille altri, ma un assalto all'arma bianca. Di fronte alle assoluzioni di primo e secondo grado la pubblica accusa non poteva contestarne il merito. Ed ecco il tentativo di dimostrare l'illegittimità costituzionale della sentenza di appello. I magistrati, che hanno avuto a disposizione anni e risorse pressoché infinite, contestavano per ultimo la decisione di non ascoltare alcuni collaboratori di giustizia. Apriti cielo, non sarebbe stata garantita la parità fra accusa e difesa. Non erano certo pentiti di primo pelo ma gente, come Giovanni Brusca e Francesco Onorato, che la patente ce l'hanno in tasca da decenni e quando hanno avuto la possibilità di parlarne sono rimasti silenti, salvo poi ricordarsi, come folgorati da un'illuminazione a posteriori, di avere taciuto non su particolari irrilevanti, ma su responsabilità pesanti nella stagione in cui la mafia alzava l'asticella dell'orrore piazzando bombe in giro per l'Italia.


La verità è che con l'assoluzione di Mannino viene giù tutta l'impalcatura giudiziaria che ha alimentato processi, talk show e una letteratura di genere. In Italia ci sono stati i buoni e i cattivi. Mannino è stato inserito, sempre e comunque, nell'elenco dei secondi e ora a coloro che si sono creduti depositari della verità verrà difficile ammettere di essersi sbagliati. 

 

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Oggi non diventa definitiva solo un'assoluzione, ma anche le parole con cui la Corte di Appello di Palermo presieduta da Adriana Piras e prima ancora il giudice per l'udienza preliminare Marina Petruzzella hanno bollato le accuse come “assurdi logici”, “aporie” e “illazioni”. Di Mannino resterà per sempre agli atti, come l'hanno definita i giudici, la sua "acclarata innocenza" e il fatto che Cosa Nostra lo volesse uccidere per il suo impegno contro la mafia. Tutto il resto è fuffa a cominciare dal fatto che l'ex ministro democristiano capì che la mafia non gli avrebbe perdonato gli ergastoli ormai definitivi del maxi processo. Non avendo rispettato l'accordo con il boss e temendo per la sua vita chiese aiuto ai carabinieri.


Agli atti resterà molto altro. Dettagli, per alcuni. Di sicuro non per Mannino, che ha provato sulla propria pelle la perversa capacità della giustizia di essere ingiusta nei modi e nei tempi soprattutto. La durata del processo a Mannino, iniziato nel 2013, fa a pugni con la definizione di “giudizio abbreviato”. Considerando i precedenti processi per mafia, anche questi conclusi con l'assoluzione, da quasi 30 anni Calogero Mannino fa il mestiere di imputato. 


Con la sua assoluzione viene meno l'incipit della trattativa, che i giudici di appello, nella sentenza che oggi passa in giudicato, definirono non un patto sporco ma un'operazione info-investigativa che sperava di convincere don Vito Ciancimino a passare dalla parte dello Stato tradendo i mafiosi. Un tentativo condotto non sottotraccia ma di cui in tanti, tra magistrati e politici, erano a conoscenza.

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