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Mostrificare i manager

Castellucci, Aspi e la differenza tra indagini e gogna sistematica

L’ex capo di Autostrade ai domiciliari. Misura cautelare per altri 5 dirigenti. La radice di un’indagine e il circo mediatico

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Creare il mostro prima del processo? Sembra essere questo l’effetto speriamo involontario dell’inchiesta deflagrata mercoledì per iniziativa della procura di Genova, che ha chiesto e ottenuto dure misure cautelari nei confronti di tre ex manager e di tre attuali dirigenti di Autostrade per l’Italia. Agli arresti domiciliari sono finiti l’ex amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, l’ex responsabile manutenzioni Michele Donferri Mitelli e l’ex direttore centrale operativo del gruppo, Paolo Berti. Per altri tre manager, Stefano Marigliani, Paolo Strazzullo e Massimo Miliani, è invece stata disposta l’interdizione per dodici mesi. La nuova inchiesta non ha nulla a che vedere con l’indagine relativa al crollo del ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018, che ha causato la morte di 43 persone e su cui da oltre due anni sta indagando sempre la procura di Genova. Il nuovo filone di indagine, infatti, riguarda la fornitura di barriere fonoassorbenti risultate poi pericolose.

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Creare il mostro prima del processo? Sembra essere questo l’effetto speriamo involontario dell’inchiesta deflagrata mercoledì per iniziativa della procura di Genova, che ha chiesto e ottenuto dure misure cautelari nei confronti di tre ex manager e di tre attuali dirigenti di Autostrade per l’Italia. Agli arresti domiciliari sono finiti l’ex amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, l’ex responsabile manutenzioni Michele Donferri Mitelli e l’ex direttore centrale operativo del gruppo, Paolo Berti. Per altri tre manager, Stefano Marigliani, Paolo Strazzullo e Massimo Miliani, è invece stata disposta l’interdizione per dodici mesi. La nuova inchiesta non ha nulla a che vedere con l’indagine relativa al crollo del ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018, che ha causato la morte di 43 persone e su cui da oltre due anni sta indagando sempre la procura di Genova. Il nuovo filone di indagine, infatti, riguarda la fornitura di barriere fonoassorbenti risultate poi pericolose.

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Secondo i pm e il gip, le barriere antirumore del tronco autostradale di Genova non sarebbero state sostituite “per evitare le ingenti spese che avrebbe comportato”. Gli indagati si sarebbero mostrati consapevoli “della difettosità delle barriere e del potenziale pericolo per la sicurezza stradale, con rischio cedimento nelle giornate di forte vento”. Sarà la magistratura ora a verificare la fondatezza delle nuove accuse. Nel frattempo, però, l’unica cosa certa è la conseguente gogna anticipata nei confronti dell’ex ad di Aspi Giovanni Castellucci, già indagato nel filone che riguarda il crollo del ponte. L’idea che un amministratore delegato si occupi in prima persona dei pannelli antirumore installati su uno specifico tratto autostradale (peraltro relativo a sessanta dei tremila chilometri di rete gestita da Aspi), e che dunque poi possa essere chiamato a risponderne direttamente, fa già abbastanza sorridere, soprattutto se si possiede una conoscenza minima di come funzioni un’azienda di grandi dimensioni.

 

Ancor meno comprensibili risultano essere le esigenze cautelari alla base degli arresti domiciliari nei confronti di Castellucci, che, come sottolineato in una nota dai suoi legali, “è fuori da Autostrade da quasi due anni e da più di un anno non ha più avuto rapporti con il gruppo”. Visto il tenore delle accuse, e vista anche una certa consuetudine in Italia a trasformare i manager delle aziende coinvolte in alcuni guai giudiziari in capri espiatori da abbattere, è da comprendere che alcuni osservatori abbiano il sospetto che l’iniziativa giudiziaria, in attesa di fare i conti con prove che possano definirsi schiaccianti (bastano le intercettazioni?), possa intanto alimentare contro gli allora vertici di Aspi un contesto favorevole, sul piano pubblico e mediatico, per l’indagine relativa al crollo del ponte, che stenta a decollare. A confermarlo sono le reazioni dei giornali, ma anche e soprattutto di diversi esponenti politici.

 

Il sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Roberto Traversi (M5s), ad esempio, ha commentato la vicenda affermando che l’inchiesta rappresenta “l’ennesima conferma delle negligenze di Aspi”. Il viceministro (sempre grillino) dello Sviluppo economico, Stefano Buffagni, ha promesso che andranno “fino in fondo” alla faccenda, perché “non si specula sulla vita degli italiani risparmiando sulla sicurezza per aumentare gli utili”. Persino Alessandro Di Battista è riemerso dal silenzio, attaccando nuovamente la famiglia Benetton. Più che un’inchiesta, l’indagine della procura di Genova sembra non eliminare dal terreno di gioco la corsa alla caccia al capro espiatorio, secondo uno schema classico che dai tempi del caso ThyssenKrupp induce a considerare i manager di grandi imprese come i responsabili di ogni tipo di incidente o tragedia (si ricordi pure l’ex amministratore delegato di Ferrovie dello stato, Mauro Moretti, prima assolto e poi condannato in Appello per la strage di Viareggio).

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Come se i manager, nella loro attività quotidiana, si occupino dei bulloni utilizzati su un particolare binario o, appunto, dei pannelli antirumore installati su un breve tratto autostradale. C’è un modo per rendere ancora più ingiuste e inaccettabili le tragedie: chiudere gli occhi di fronte alla gogna giudiziaria. Ci auguriamo che in questo caso la storia sia diversa rispetto a quelle viste nel passato.

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