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Il caso Avastin/Lucentis e i paradossi della nostra regolamentazione

Serena Sileoni

Innocenti per giudice penale, colpevoli per l’Antitrust. L’incertezza del diritto che emerge dall'inchiesta su Novartis e Roche 

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Sono state depositate le motivazioni che hanno indotto il giudice penale di Roma ad assolvere con formula piena i vertici di Roche e Novartis dall’accusa di rialzo fraudolento dei prezzi nel caso Avastin/Lucentis. La vicenda riempì nel 2014 le pagine dei giornali sotto i titoli accigliati della lotta contro “Big Pharma”: l’Antitrust aveva comminato la più esosa multa a carico di due società farmaceutiche, Roche e Novartis, accusate di intesa orizzontale (pratica concorrenziale scorretta) per aver ostacolato l’uso off label di un farmaco di Roche, col fine di lucrare sul maggior prezzo di un diverso farmaco di Novartis molto più costoso.

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Sono state depositate le motivazioni che hanno indotto il giudice penale di Roma ad assolvere con formula piena i vertici di Roche e Novartis dall’accusa di rialzo fraudolento dei prezzi nel caso Avastin/Lucentis. La vicenda riempì nel 2014 le pagine dei giornali sotto i titoli accigliati della lotta contro “Big Pharma”: l’Antitrust aveva comminato la più esosa multa a carico di due società farmaceutiche, Roche e Novartis, accusate di intesa orizzontale (pratica concorrenziale scorretta) per aver ostacolato l’uso off label di un farmaco di Roche, col fine di lucrare sul maggior prezzo di un diverso farmaco di Novartis molto più costoso.

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La decisione venne poi confermata definitivamente in sede amministrativa, anche se le imprese hanno presentato ricorso al Consiglio di stato, di cui non si ha ancora l’esito (come non si ha ancora l’esito di altri giudizi collegati dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla Cassazione e alla Corte dei conti). Nel frattempo, il caso finiva davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in Parlamento si accumulavano interpellanze e interrogazioni, il ministero della Salute chiedeva persino un risarcimento di danni di 1,2 miliardi di euro alle due aziende e il ministro Beatrice Lorenzin, sotto la forte pressione mediatica del momento, modificava la disciplina della rimborsabilità dei farmaci in uso off label. Il caso finiva anche davanti al giudice penale con l’accusa di aggiotaggio, ossia di rialzo artificioso dei prezzi. 

    

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La massimizzazione dei guadagni sarebbe derivata, per Novartis, dalle vendite dirette del farmaco più caro e dalla presunta partecipazione del 33 per cento in Roche (in realtà pari solo al 6 per cento); quanto a Roche, dalle royalty ottenute sulle vendite tramite la controllata Genentech, che aveva sviluppato per prima il farmaco più caro per cederne la commercializzazione a Roche e poi a Novartis.

    

L’interesse al caso non è semplicemente per amore di cronaca giudiziaria, ma per constatare le conseguenze del caotico policentrismo normativo e istituzionale del nostro paese. La sentenza del giudice penale conferma infatti, se letta parallelamente alle decisioni dell’Antitrust e dei giudici amministrativi, l’impressione di una sorta di fallimento regolatorio, anziché di mercato. Rispetto a una diffusa opinione secondo cui il settore farmaceutico è alla mercé delle scelte aziendali, la realtà è quella di una forte regolazione del settore, che è stata alla base, paradossalmente, di una condotta ritenuta anticoncorrenziale e persino criminosa per taluni organi giudicanti, mentre doverosa per altri. Di conseguenza, in un contesto così fortemente regolato, l’accusa di comportamenti anticoncorrenziali rischia di essere un’accusa non alle aziende, per il momento assolte perché il fatto non sussiste, ma alla regolazione.

   

Difatti, le ipotesi sono due: o è possibile alterare i prezzi nonostante il fortissimo controllo pubblico, anche sui prezzi, e quindi lo spazio per comportamenti scorretti compromette la capacità stesse delle regole e dei soggetti chiamati a farle rispettare; o il pedissequo rispetto di quelle regole diviene esso stesso fonte di comportamenti sospetti, generando una disastrosa incertezza su come ci si deve comportare.

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Nel primo caso, ritenere che le aziende riescano a mettersi d’accordo alterando i prezzi e il mercato implica anche un giudizio negativo a carico delle regole e degli organi di regolazione del settore farmaceutico a cui è affidato, con un sistema europeo e nazionale molto complesso, la verifica della sicurezza terapeutica e della correttezza delle imprese. Nel secondo caso, è proprio l’architettura così complessa e onerosa delle regole e delle procedure che appare come un’arma a doppio taglio per chi si attiene in maniera ligia al loro rispetto.La seconda ipotesi è quella che risalta maggiormente mettendo a confronto il giudizio amministrativo e quello penale.

  

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Quello che emerge infatti dalla sentenza penale, e che fuoriesce quindi dalle opinioni personali per entrare nella verità giudiziaria, è che nel caso Avastin/Lucentis tali comportamenti appaiono essere stati provocati proprio dall’approccio prudenziale delle due società nell’accreditare l’uso off label del farmaco meno costoso ma con più probabilità di eventi avversi. In sostanza, ciò che per il giudice amministrativo e l’accusa penale avrebbe rappresentato un’intesa anticoncorrenziale e persino criminosa per incassare maggiori guadagni, trattando in maniera strumentale la questione della sicurezza terapeutica e la percezione dei rischi avversi collegati all’uso off label del farmaco meno costoso, per il giudice penale avrebbe rappresentato solo il cauto rispetto delle regole che avrebbe portato i due amministratori delegati a scambiarsi informazioni e opinioni sull’inopportunità di incentivare l’uso off label del farmaco terapeuticamente meno sicuro.

   

Chi ha ragione, nelle verità giudiziarie, lo stabilisce solo il giudice. Talora, come in questo caso, i giudici sono più di uno, ognuno per profili diversi e verità processuali diverse, in base alle proprie competenze. Tuttavia, il fatto alla base delle valutazioni dei giudici, ognuno per la propria parte di diritto, è lo stesso, e ciò che è interessante notare è che la medesima vicenda e i medesimi comportamenti sono stati ritenuti dall’Antitrust e dal giudice amministrativo nel senso di illecito concorrenziale, mentre da quello penale, dotato di maggiori poteri di accertamento, e dall’allora Agenzia del farmaco (Aifa) in senso diametralmente opposto di comportamento doveroso (oltreché penalmente irrilevante).

       

Posto che per il reato di aggiotaggio comune deve esserci un’alterazione artificiosa dei prezzi, anche laddove siano controllati, e che invece l’intesa orizzontale si configura anche solo nella concertazione finalizzata a ottenere un reciproco vantaggio tra imprese concorrenti, resta che entrambe le categorie giuridiche hanno alla base un tentativo di alterare il mercato che dall’autorità antitrust e dal giudice amministrativo è stato ritenuto provato dallo scambio di comunicazioni tra le aziende circa la pericolosità degli effetti avversi e dall’atteggiamento prudenziale rispetto all’uso off label del farmaco meno costoso. Gli stessi elementi probatori, al termine di un’attenta istruttoria, hanno invece portato il giudice penale a ritenere la condotta delle aziende non solo legittima quanto a interessi imprenditoriali, ma persino doverosa rispetto alle prescrizioni normative, europee e italiane, sulla sicurezza terapeutica.

       

Fa pensare che decisioni e comportamenti assunti nell’ambito di attività di farmacovigilanza possano essere interpretati in due modi contrapposti: come decisioni rispettose delle norme sulla responsabilità, tipiche di un atteggiamento precauzionale che eviti, nell’incertezza delle conoscenze scientifiche, il pericolo di danni alla salute e la responsabilità di chi quel pericolo ha cagionato; e, viceversa, come prova indiziaria di un’intesa orizzontale anticoncorrenziale.

           

Ciò non vuol dire che non sia possibile ricavare, da una serie di comportamenti leciti, una condotta illecita, specie in materia concorrenziale. Tuttavia, in un sistema giuridico contaminato dall’incertezza normativa e dalla confusione istituzionale, il fatto che a distanza di anni la verità giudiziaria penale sembri così lontana da quella amministrativa richiama la difficoltà a capire cosa la legge consente e cosa no, difficoltà che esula dall’interesse delle aziende coinvolte e sollecita tutti a un supplemento di riflessione.

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