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Morire d'antimafia

Ermes Antonucci

Storia di Rocco Greco, imprenditore suicida accusato di mafia dopo essersi ribellato alle minacce dei clan. Ora anche il Tar del Lazio dice che era innocente

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Non c’entrava nulla con la mafia, come confermato ora anche dal Tar del Lazio, che ha annullato l’interdittiva contro la sua azienda. Peccato che nel frattempo l’imprenditore si sia suicidato, e proprio a causa delle accuse di mafia rivolte nei suoi confronti. La storia di Rocco Greco è emblematica di come la schizofrenia antimafia in Italia possa finire paradossalmente non solo per danneggiare le imprese sane, ma anche per portare allo sfinimento chi, con coraggio, decide di ribellarsi alle minacce dei clan.

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Non c’entrava nulla con la mafia, come confermato ora anche dal Tar del Lazio, che ha annullato l’interdittiva contro la sua azienda. Peccato che nel frattempo l’imprenditore si sia suicidato, e proprio a causa delle accuse di mafia rivolte nei suoi confronti. La storia di Rocco Greco è emblematica di come la schizofrenia antimafia in Italia possa finire paradossalmente non solo per danneggiare le imprese sane, ma anche per portare allo sfinimento chi, con coraggio, decide di ribellarsi alle minacce dei clan.

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Nel 2006 Greco, titolare della Cosiam (azienda di Gela impegnata nel settore edile e nei servizi di raccolta rifiuti), denuncia i numerosi tentativi di estorsione ai suoi danni provenienti da esponenti di Cosa Nostra e della Stidda, convincendo altri sei imprenditori a fare lo stesso. Diventa il simbolo della lotta al racket a Gela.

    

Le denunce di Greco e degli altri imprenditori portano all’arresto di undici persone e all’apertura di un’inchiesta, ribattezzata “Munda Mundis”, che si conclude in Cassazione con condanne nei confronti dei mafiosi per oltre 130 anni di carcere. Nel corso del dibattimento, però, i mafiosi per vendetta cominciano ad accusare Greco di non essere stato vittima, bensì socio, dei loro affari. Le accuse nei confronti di Greco vengono demolite dalla Corte d’appello e dalla Cassazione, ma la procura di Caltanissetta, ai quali sono stati trasmessi gli atti, porta avanti le indagini e decide di chiedere il rinvio a giudizio per Greco.

    

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Nel dicembre 2017, il tribunale di Caltanissetta assolve Greco riconoscendo che egli è stato vittima, e non socio, della mafia. Nonostante ciò, nell’ottobre 2018 il ministero dell’Interno, con la sua Struttura di missione antimafia Sisma, adotta con un decreto l’informativa antimafia interdittiva nei confronti della Cosiam, negandole inoltre l’iscrizione nella white list per i lavori di ricostruzione dopo il terremoto in centro Italia, in accordo con la prefettura di Caltanissetta. Greco è stato assolto, ma il Viminale e la prefettura accolgono le tesi avanzate dalla procura (smentite dai giudici), spingendosi addirittura ad affermare che l’imprenditore – che denunciò le richieste di pizzo dei mafiosi – “nel corso degli anni ha avuto atteggiamenti di supina condiscendenza nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata gelese”. A causa dell’interdittiva antimafia, l’azienda di Greco si vede revocare tutti gli appalti e si ritrova costretta a licenziare cinquanta operai.

   

Pochi giorni fa, a distanza di un anno e mezzo, il Tar del Lazio ha annullato tutti i provvedimenti adottati dal ministero dell’Interno e riabilitato la Cosiam. “Non si vede – scrivono i giudici – come altro possa reagire una impresa che non intenda farsi condizionare, se non denunciando i danneggiamenti e le richieste estorsive, presumibilmente provenienti da chi intenda assoggettarla a condizionamento”. I giudici aggiungono che “se è comprensibile che la vittima silente di pressioni e condizionamenti mafiosi possa ritenersi meritevole di interdittiva, posizione diversa riveste quell’imprenditore che si ribella, denuncia e chiede l’intervento repressivo dello Stato, facendo emergere proprio quei rapporti nei quali si sostanzierebbe il condizionamento mafioso”.

    

Peccato, come dicevamo, che la “riabilitazione” del Tar sia arrivata troppo tardi. Di fronte all’ennesimo affronto, quello dell’interdittiva antimafia, il 27 febbraio 2019 Rocco Greco ha deciso di farla finita, sparandosi un colpo di pistola in testa. Aveva 57 anni. Ha lasciato tre figli, che ora, con fatica e tenacia, stanno provando a rimettere in piedi l’azienda del padre. Un’azienda abbattuta, prima ancora che dalla mafia, dallo stato stesso.

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