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Eredità Covid: il naufragio del processo penale telematico

Gian Domenico Caiazza

E pure sull’attuale modello di amministrazione e gestione degli uffici giudiziari la pandemia ci ha detto che il re è nudo

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Proviamo a farglielo noi il funerale, al maledetto coronavirus: ci portiamo avanti con il lavoro, e diamo una sbirciatina al suo testamento. Tanta roba in eredità, in materia di giustizia. Intanto, forse una valutazione sociale un po’ meno becera del bene supremo della libertà personale. Dopo due mesi di arresti domiciliari generalizzati e di cervellotici Dpcm che hanno preteso di dirti perfino entro quante centinaia di metri da casa puoi farti una corsetta e chi è autorizzato a essere qualificato come tuo congiunto, questo paese innamorato di forca, carcere e “butta la chiave” qualche pensierino nuovo, o almeno un po’ più prudente, magari riesce a farlo. Questa idea, insomma, di uno stato che, sebbene in nome del diritto alla salute tuo e di tutti noi, mette il naso nella tua vita privata, pretendendo di regolarla anche sul taglio dei capelli, avrà finalmente perso un po’ del suo fascino perverso? Speriamo di sì. Ma intanto altre buone cose le abbiamo ereditate con certezza.

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Proviamo a farglielo noi il funerale, al maledetto coronavirus: ci portiamo avanti con il lavoro, e diamo una sbirciatina al suo testamento. Tanta roba in eredità, in materia di giustizia. Intanto, forse una valutazione sociale un po’ meno becera del bene supremo della libertà personale. Dopo due mesi di arresti domiciliari generalizzati e di cervellotici Dpcm che hanno preteso di dirti perfino entro quante centinaia di metri da casa puoi farti una corsetta e chi è autorizzato a essere qualificato come tuo congiunto, questo paese innamorato di forca, carcere e “butta la chiave” qualche pensierino nuovo, o almeno un po’ più prudente, magari riesce a farlo. Questa idea, insomma, di uno stato che, sebbene in nome del diritto alla salute tuo e di tutti noi, mette il naso nella tua vita privata, pretendendo di regolarla anche sul taglio dei capelli, avrà finalmente perso un po’ del suo fascino perverso? Speriamo di sì. Ma intanto altre buone cose le abbiamo ereditate con certezza.

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Per esempio, il definitivo naufragio del processo penale telematico. A un certo punto salta fuori l’idea: già che stiamo tutti in casa a smanettare con Zoom, Teams e Skype, facciamo pure i processi da remoto. Giudici, pm, imputati, testimoni, più o meno tutti a casa tranne il cancelliere, che deve verbalizzare e dunque deve starsene in aula solo come un’anima in pena, tra linee che cadono, volti che si “freezzano”, parti che si scollegano, che vedono ma non sentono, che sentono ma non vedono, insomma tutto il noto armamentario. Prima che una idea autoritaria del processo penale, come noi avvocati abbiamo subito denunciato, essa è soprattutto – non si dispiaccia il dott. Gratteri, appassionato ideologo di questa roba qui – una delle idee obiettivamente più stupide che si siano mai sentite proporre in tema di processo penale. Questa fondamentale manifestazione della vita sociale costruita, attraverso i secoli, sulle due immutabili sue connotazioni, ritualità e fisicità, dovrebbe d’improvviso dissolversi dentro lo schermo di tanti computer quante sono le parti in gioco. E’ una sfida al principio della impenetrabilità dei corpi. Leggete “Il mistero del processo” del grande Salvatore Satta, prima di blaterare simili idiozie. Tanto è vero che perfino se non ci fossero stati i penalisti italiani a vincere questa guerra contro la riduzione a icona del diritto di difesa, state certi che il videogioco sarebbe stato usato da pochi, pochissimi magistrati e avvocati, fanatici della telematica ai limiti del disturbo della personalità. Game over.

 

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L’altra, grande eredità che ci lascia il Covid è il definitivo, eclatante naufragio del modello di amministrazione e gestione degli uffici giudiziari fino a oggi vigente. Non sempre ereditare un disastro è solo un male. Può aiutarti a capire che è finalmente giunta l’ora di mettere mano al problema, e questo è il nostro caso.

 

Gli uffici giudiziari – procure, tribunali, corti di appello eccetera – sono governati da magistrati, per meriti di carriera o di corrente qui non importa. Non per essere sempre autoreferenziali, ma sono decenni che noi penalisti poniamo una semplice domanda: in nome di quale know how un buon magistrato dovrebbe essere in grado di gestire realtà complesse quali un tribunale o una corte di appello? A fianco della guida giudiziaria, occorre una guida manageriale che sappia di gestione del personale, informatizzazione, accesso del pubblico, gestione delle emergenze. La pandemia ci ha detto che il re è nudo. Scoccata la fase due, la giurisdizione è nel più totale marasma. Ognuno per suo conto, senza gli strumenti minimi per governare una simile emergenza. Risultato? Tutto chiuso, ripresa dei processi tra lo zero e il venti per cento. Personale amministrativo in smart working all’amatriciana, visto che da casa non possono collegarsi alle banche dati riservate e nemmeno gestire una pec. E soprattutto, decisioni insindacabili. C’è chi apre due aule, chi cinque, chi fa i processi nel cortile, ma in linea di massima l’idea a oggi vincente è: tutto chiuso. Tanto gli stipendi arrivano puntuali in banca, e gli avvocati si arrangino.

 

In un sistema giudiziario già collassato, questo gioco irresponsabile all’accumulo di un futuro arretrato totalmente ingestibile va in scena senza che nessuno possa metterci bocca. Se un giudice oggi rinvia la causa a febbraio 2021,in una città con zero o dieci nuovi contagi al giorno, non c’è nessuno, ma dico nessuno, che possa chiedergliene conto, a cominciare dallo stesso capo dell’ufficio. Monadi ingovernabili in piccoli o meno piccoli granducati, governati da sovrani che stabiliscono loro se c’è il rischio epidemico oppure no. Un disastro catastrofico: vuoi vedere che sia la volta buona che lo si capisca?

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