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Ermes Antonucci

I processi senza prove sulle Rsa e le strutture mancanti. Il garantismo vero salverà i medici dagli sciacalli

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Roma. Ora che anche Fabrizio Starace, psichiatra del Consiglio superiore di sanità e membro della task force di Vittorio Colao, ha sottolineato che “circa la metà dei decessi da Covid-19 in Europa riguarda persone in condizioni di assistenza residenziale” (ospitate nelle famose Rsa), e che dunque il problema non riguarda soltanto l’Italia (né tantomeno esclusivamente il Pio Albergo Trivulzio di Milano), diventa sempre più urgente chiedersi quale sia il vero obiettivo della feroce campagna mediatico-giudiziaria scatenatasi nel nostro Paese attorno alle case di cura per anziani. Mentre, cioè, emerge sempre più chiaramente come si sia di fronte a una vicenda che chiama in causa responsabilità soprattutto di natura politica e amministrativa, anziché penale, c’è da chiedersi se lo scopo delle inchieste sia individuare comunque eventuali colpe tra dirigenti e medici delle strutture oppure dare vita a una gigantesca caccia alle streghe. Che lo scenario più plausibile, in un paese assetato di capri espiatori, sia proprio quest’ultimo è confermato da un dato di fatto che nessuno in queste ore ha messo in luce: gli eventuali processi che dovessero nascere sarebbero processi senza prove. “In questo momento le autopsie giudiziarie in Italia sono praticamente bloccate. La medicina legale italiana, nella stragrande maggioranza dei casi, è priva della possibilità di eseguire autopsie, soprattutto sui soggetti morti o sospettati di essere morti per Covid-19, per la mancanza di strutture tecniche adeguate”, spiega al Foglio Franco Marozzi, medico legale e responsabile comunicazione della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (Simla).

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Roma. Ora che anche Fabrizio Starace, psichiatra del Consiglio superiore di sanità e membro della task force di Vittorio Colao, ha sottolineato che “circa la metà dei decessi da Covid-19 in Europa riguarda persone in condizioni di assistenza residenziale” (ospitate nelle famose Rsa), e che dunque il problema non riguarda soltanto l’Italia (né tantomeno esclusivamente il Pio Albergo Trivulzio di Milano), diventa sempre più urgente chiedersi quale sia il vero obiettivo della feroce campagna mediatico-giudiziaria scatenatasi nel nostro Paese attorno alle case di cura per anziani. Mentre, cioè, emerge sempre più chiaramente come si sia di fronte a una vicenda che chiama in causa responsabilità soprattutto di natura politica e amministrativa, anziché penale, c’è da chiedersi se lo scopo delle inchieste sia individuare comunque eventuali colpe tra dirigenti e medici delle strutture oppure dare vita a una gigantesca caccia alle streghe. Che lo scenario più plausibile, in un paese assetato di capri espiatori, sia proprio quest’ultimo è confermato da un dato di fatto che nessuno in queste ore ha messo in luce: gli eventuali processi che dovessero nascere sarebbero processi senza prove. “In questo momento le autopsie giudiziarie in Italia sono praticamente bloccate. La medicina legale italiana, nella stragrande maggioranza dei casi, è priva della possibilità di eseguire autopsie, soprattutto sui soggetti morti o sospettati di essere morti per Covid-19, per la mancanza di strutture tecniche adeguate”, spiega al Foglio Franco Marozzi, medico legale e responsabile comunicazione della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (Simla).

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“La comunità scientifica internazionale e nazionale – prosegue Marozzi – ha stabilito che per eseguire autopsie su soggetti con Covid-19 occorre ristrutturare le sale anatomiche con particolari accorgimenti, in modo da garantire la sicurezza degli operatori. Le sale anatomiche attrezzate, però, non sono più di una decina in tutta la penisola e fanno riferimento soprattutto ai grandi centri in cui vengono studiate le malattie infettive, come il Sacco di Milano o lo Spallanzani di Roma. Ne è risultato un blocco quasi totale dell’attività necroscopica nazionale, con due conseguenze molto rilevanti: da un lato, è impossibile acquisire rilievi anatomo-patologici che potrebbero risultare utilissimi nella ricerca contro la pandemia, dall’altro vengono a mancare rilievi estremamente importanti per le indagini giudiziarie. Si discuterà delle cause di morte delle persone in mancanza di dati fondamentali. Ma se non sono ben chiare le cause di morte, accusare qualcuno di strage o di omicidio diventa molto difficile”.

 

  

La mancanza di autopsie, tuttavia, non è l’unico problema delle inchieste sui decessi nelle Rsa: “In ambito penalistico, il criterio stabilito dalla giurisprudenza per affermare se vi sia un nesso causale tra un’azione antigiuridica e il suo effetto (ad esempio la morte di un soggetto) è quello della certezza o quasi certezza – spiega Marozzi – In più, in ambito medico legale, il legame causale deve essere soggetto ad una copertura che si basa su leggi scientifiche consolidate. L’associazione dei due concetti in un caso come quello delle Rsa rende notevolmente difficile stabilire che un determinato comportamento abbia prodotto l’effetto del reato (nel caso di specie l’omicidio). Del virus sappiamo poco o nulla, non abbiamo la possibilità di eseguire autopsie, le misure preventive per impedire il diffondersi dell’infezione sono teoriche soprattutto se si pensa al singolo caso, i deceduti erano gravati di altre patologie che potevano anche da sole determinare il decesso. Insomma, raccogliere prove è difficile e sostenere relazioni eziologiche con comportamenti difformi a regole che non ci sono, anche di più”.

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In altre parole, conclude Marozzi, se “le responsabilità potrebbero risultare nette in ambito politico (e parrebbero certe se si paragonano i dati sulla mortalità e la diffusione della malattia delle diverse regioni del Nord), non altrettanto potrebbero risultare all’interno del sistema giudiziario e scientifico, in senso medico-legale, ove esistono norme e prassi molto rigide in ossequio ad un garantismo non di facciata ma reale”.

 

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E’ proprio per queste ragioni, e anche per ridurre il rischio che, al termine della pandemia, medici e operatori sanitari siano inondati di cause e richieste di risarcimento da pazienti positivi (e non) al Covid-19, che la Simla ha richiamato, con una lettera, tutti i medici legali alla cautela. Nel documento si sottolinea la particolare difficoltà del contesto attuale di pandemia da Covid-19, dovuta sia alle “scarse e contraddittorie conoscenze scientifiche (ancora in fase di validazione) di questa peculiare patologia”, sia alla “insufficienza infrastrutturale e strumentale territoriale ed ospedaliera con dirottamento di sanitari a mansioni emergenziali assai diverse da quelle attinenti alla propria preparazione e specializzazione”. Per questi motivi, la Simla invita tutti i medici legali “al pieno ed intransigente rispetto dei principi deontologici che devono ispirare la buona pratica professionale in ossequio alle evidenze scientifiche disponibili”, e “alla necessità di fornire pareri e supporto peritali che, pur senza perdere di vista il legittimo interesse del patrocinato, siano massimamente ispirati alla più prudente e cauta valutazione della condotta degli operatori sanitari impegnati in questo difficile momento e siano piuttosto rivolti, con indefettibile riferimento alle condizioni di oggettiva operatività, alla valutazione della complessiva gestione sanitaria del singolo caso”. Un richiamo alla serietà e al garantismo, ancor più coraggioso in un tempo dominato da tendenze forcaiole.

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