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Ahi: le modifiche sulla prescrizione sono una toppa peggiore del buco

Ermes Antonucci

Il “cedimento” dei grillini e lo spartiacque della proposta di Costa

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Roma. Nessun passo indietro sulla riforma che abolisce la prescrizione, ma al massimo una sua applicazione soltanto nei confronti dei condannati in primo grado; una legge che velocizzi i tempi dei processi; una norma con cui “poter chiedere conto del suo operato al magistrato che sfora i tempi in appello”. Sono queste le controproposte sulla prescrizione e sulla giustizia avanzate dal Guardasigilli Alfonso Bonafede agli alleati di governo (Pd, Italia viva, Leu) al termine del vertice di maggioranza di giovedì sera, che ha visto anche la partecipazione del premier Giuseppe Conte. Una partecipazione che sarebbe risultata decisiva a sbloccare l’impasse in cui erano di nuovo finiti i negoziati, ma che non ha evitato che alla fine i grillini elaborassero proposte dal carattere assolutamente generico, se non a tratti addirittura incostituzionale. Pd e Italia viva esultano per la “caduta del totem della prescrizione”, ma nessuno in fondo sa ancora quali sarebbero le misure ideate dal Guardasigilli per velocizzare la giustizia e garantire tempi certi, né tantomeno le norme che dovrebbero permettere un controllo disciplinare (con eventuali sanzioni) sull’operato dei magistrati ritardatari (e Dio solo sa quanto sia difficile in questo paese introdurre meccanismi effettivi di valutazione dell’attività delle toghe).

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Roma. Nessun passo indietro sulla riforma che abolisce la prescrizione, ma al massimo una sua applicazione soltanto nei confronti dei condannati in primo grado; una legge che velocizzi i tempi dei processi; una norma con cui “poter chiedere conto del suo operato al magistrato che sfora i tempi in appello”. Sono queste le controproposte sulla prescrizione e sulla giustizia avanzate dal Guardasigilli Alfonso Bonafede agli alleati di governo (Pd, Italia viva, Leu) al termine del vertice di maggioranza di giovedì sera, che ha visto anche la partecipazione del premier Giuseppe Conte. Una partecipazione che sarebbe risultata decisiva a sbloccare l’impasse in cui erano di nuovo finiti i negoziati, ma che non ha evitato che alla fine i grillini elaborassero proposte dal carattere assolutamente generico, se non a tratti addirittura incostituzionale. Pd e Italia viva esultano per la “caduta del totem della prescrizione”, ma nessuno in fondo sa ancora quali sarebbero le misure ideate dal Guardasigilli per velocizzare la giustizia e garantire tempi certi, né tantomeno le norme che dovrebbero permettere un controllo disciplinare (con eventuali sanzioni) sull’operato dei magistrati ritardatari (e Dio solo sa quanto sia difficile in questo paese introdurre meccanismi effettivi di valutazione dell’attività delle toghe).

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Quello che rappresenterebbe il principale cedimento di Bonafede e Conte, cioè l’ipotesi di distinguere fra sentenze di assoluzione e di condanna, confermando lo stop alla prescrizione solo nel secondo caso, in realtà rischia di configurarsi come una palese violazione del principio di presunzione di non colpevolezza stabilito dall’articolo 27 della nostra Costituzione: se si è considerati innocenti fino a sentenza definitiva, perché penalizzare i cittadini condannati solo in primo grado (e quindi formalmente ancora innocenti), gettandoli in pasto a processi molto più lunghi di quelli riservati agli “innocenti”?

La partita, dunque, resta ancora aperta, ma ciò che è certo è che il “cedimento”, evidenziato con enfasi da una certa stampa e che ci sarebbe stato da parte dei grillini attorno alla riforma della prescrizione da loro approvata (con la Lega), in realtà si è tradotto finora nell’elaborazione di minime e vaghe proposte di modifica e nell’ideazione di una toppa peggiore del buco. Al contrario, è evidente che l’eventuale adesione del Pd a queste proposte sarebbe un cedimento, in questo caso sì, di portata epocale rispetto ad alcuni princìpi costituzionali fondamentali e ai propri valori identitari di difesa dei diritti dei cittadini comuni. Sempre che, come notato ieri sul Foglio da Giovanni Fiandaca, i dem siano davvero culturalmente diversi dai pentastellati sul terreno penale. L’intervista rilasciata ieri al Dubbio da Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia, oggi eurodeputato Pd (“Lo stop alla prescrizione non serve a nulla, bisogna eliminare l’appello”), rafforza questa triste sensazione.

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A partire dalla prossima settimana, tuttavia, i dem saranno chiamati a prendere finalmente una posizione chiara. Da martedì in commissione Giustizia alla Camera si terrà la votazione sugli emendamenti e poi sul testo della proposta di legge del deputato di Forza Italia, Enrico Costa, che cancella la riforma Bonafede. Un testo divenuto ancora più attuale dopo l’ipotesi avanzata da Conte e Bonafede di fermare la prescrizione solo per i condannati in primo grado: Oggi il 48 per cento delle sentenze di appello riforma, in tutto o in parte, le sentenze di primo grado – ha ricordato Costa – Significa che l’appello ha una sua funzione ben specifica di controllo delle sentenze di primo grado che, una su due, vengono ribaltate o rimodulate. E cosa propone l’avvocato del popolo? Di fatto, di cancellare la celebrazione tempestiva del grado di appello e forse non celebrarlo mai. Inoltre si tenga conto che se c’è un condannato, di norma c’è una vittima del reato che non otterrebbe giustizia. Un obbrobrio incostituzionale”.

Italia viva si è detta pronta a votare la proposta Costa. Il Pd non si sbilancia. Eppure, dopo essersi visti bocciare dai grillini l’ipotesi di introdurre una “prescrizione processuale” (cioè l’estinzione dell’azione penale qualora i processi durassero oltre il dovuto), i dem si sono visti rifiutare anche la proposta più morbida di sospendere il decorso della prescrizione dopo le sentenze di condanna in primo grado e in appello, per un periodo massimo di tre anni e sei mesi. Ora di fronte c’è un bivio: tocca scegliere.

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