Lorenzo Diana (foto LaPresse)

Parla Diana, l'ex "icona" antimafia che ora è indagata

Luciano Capone

Colui che fu l'idolo di Saviano ci spiega dove si abissa il metodo Saviano

Roma. “Le accuse non stanno in piedi, ho vissuto 20 anni sotto scorta perché la camorra mi vuole morto”, dice al Foglio Lorenzo Diana, “Ho il diritto-dovere di difendere il mio onore di persona innocente dal massacro mediatico”. La scorta non ce l’ha più da un anno, lo stesso tempo che è passato dalla chiusura delle indagini che lo accusano di essere stato l’esatto contrario della figura pubblica di paladino dell’antimafia.

 

L’assoluzione dei dirigenti della Cpl Concordia dall’accusa di concorso esterno in associazione camorristica, in uno dei processi più clamorosi degli ultimi anni, quello sulla metanizzazione di alcuni comuni dell’Agro aversano, riapre alcuni capitoli. Uno di questi riguarda la figura di Lorenzo Diana, ex senatore del Pds e segretario della commissione Antimafia, poi passato all’Italia dei Valori e infine in orbita De Magistris, premio Borsellino, ala dura della lotta alla criminalità organizzata, una vita sotto scorta. Si tratta dell’unico politico elogiato in “Gomorra” da Roberto Saviano: “Lorenzo Diana è uno di quei politici che ha deciso di mostrare la complessità del potere casalese e non di denunciare genericamente dei criminali – scriveva Saviano – è uno di quei rari uomini che sa che combattere il potere della camorra comporta una pazienza certosina”. Insomma, un’icona della legalità, che però è caduta dal piedistallo dell’anticamorra nella polvere dei sospetti di collusione con i Casalesi.

 

Dal luglio 2015 il politico di San Cirpiano d’Aversa è accusato dalla Dda di Napoli – pm Catello Maresca, aggiunto Giuseppe Borrelli – di concorso esterno in associazione mafiosa in qualità di “facilitatore” del presunto patto tra la coop emiliana e i clan, oltre che per una serie di frequentazioni, favori, raccomandazioni e rapporti con personaggi e imprenditori in odore di camorra. Le accuse si basano su prove concrete, sostengono i pm, e sono rafforzate dalle dichiarazioni del pentito Antonio Iovine, il superboss conosciuto come “’o Ninno”. Diana sostiene il contrario: “Le accuse fanno a pugni con la realtà storica accertata dallo stato”. 

 

La posizione di Lorenzo Diana è sospesa da un anno, ha ricevuto un avviso di chiusura indagini nell’ottobre 2016 e da allora attende la richiesta di rinvio a giudizio. E’ arrivata prima la sentenza di Cpl Concordia che ha condannato per mafia due imprenditori che hanno eseguito i lavori, ma ha escluso responsabilità da parte della cooperativa emiliana. L’assoluzione dei manager di Cpl alleggerisce la sua posizione. Diana sarebbe stato un “facilitatore” per aver sostenuto la metanizzazione, in un territorio in cui non veniva realizzata a causa delle infiltrazioni camorristiche nelle amministrazioni, adoperandosi a favore di Cpl Concordia davanti al prefetto e alle istituzioni. L’avrebbe fatto, ma per agevolare imprese dei clan, è l’accusa. “Tutto questo fa a cazzotti con la storia e la realtà. Io ero senatore della commissione Antimafia, sotto scorta per 20 anni, ero seguito in tutti i miei movimenti dalle forze dell’ordine”, dice l’ex senatore Diana. La sua versione è che quando arriva Cpl nel ’97, viveva già sotto scorta, perché in seguito all’operazione “Spartacus”, che portò a oltre 100 arresti, vengono raccolte minacce nei suoi riguardi.

 

Le minacce sono poi continuate a lungo negli anni successivi, ad esempio attraverso una lettera di Francesco Schiavone detto “Sandokan” scritta dal carcere e finita su un giornale. E poi altre intimidazioni da parte dei suoi familiari, il progetto confessato dai collaboratori di giustizia di eliminarlo con l’esplosivo sotto l’auto. “Io avrei quindi facilitato chi voleva ammazzarmi e mi contrastava in tutte le tornate elettorali”, commenta Diana. E’ possibile che fingesse. “Allora meriterei il premio Oscar e lo meriterebbero le forze dell’ordine e i magistrati che hanno seguito la mia vita giorno per giorno e nei processi”.

 

Diana sostiene di poter chiarire tutti gli aspetti più oscuri, dalle frequentazioni con imprenditori macchiati a presunti favori e raccomandazioni, fino alla storia del biglietto sul covo di Zagaria. Il sindaco antimafia di Casal di Principe e amico Renato Natale gli avrebbe dato un biglietto anonimo che indicava il covo del boss latitante da consegnare al procuratore Franco Roberti, che però non l’ha ricevuto. Anche a questo, come al resto, ci sarebbe una spiegazione, che però l’ex senatore vuole dare prima ai magistrati quando verrà ascoltato. Purtroppo, dice, i tempi della giustizia sono più lenti di quelli mediatici. “L’indagato diventa un mostro senza possibilità di difesa. I giornali sono megafoni dell’accusa, che diventa l’unica presenza sui media, ma così si crea una ferita nel diritto”. Gli stessi metodi che usava anche lei con gli avversari. “Sono stato duro nel giudizio politico, ma sempre cauto sulle persone. Comunque penso che le associazioni antimafia, la politica e gli intellettuali dovrebbero avere più coraggio ad affrontare le storture che fanno nascere mostri mediatici senza diritto alla difesa”. Ha avvertito una mancanza di solidarietà da parte di chi la elogiava, tipo Roberto Saviano, e poi è rimasto in silenzio? “Con Roberto ci sentivamo e vedevamo a Roma, ma dopo questa vicenda ho evitato di chiedere solidarietà a chiunque, anche se alcuni magistrati e politici l’hanno manifestata. Il fatto è che di fronte ad accuse che hanno uno spazio mediatico devastante, molti sono portati alla prudenza, altri all’antico vizio di don Abbondio. Io attendo che tutto si concluda positivamente”. E chi l’ha scaricata, come De Magistris che ha revocato il suo incarico al Caan? “Capisco le sue ragioni, la sua autotutela. Ma ho impugnato la decisione, perché ho il diritto-dovere di difendere il mio onore di persona innocente. Non posso lasciarmi cadere addosso anche una revoca che farebbe presupporre una qualche mia responsabilità”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali