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Pantani, 20 anni dopo

Pantani, Bartoli e gli acrobati dello Zovo

Giovanni Battistuzzi

Il Pirata attacca sul monte alle porte di Schio, poi cade in discesa. Zülle e Tonkov si impauriscono. Bettini, Guerini, Noè e Bartoli no e planano verso il traguardo. Vince il pisano, Brontolo conquista la maglia rosa

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I veci lo sapevano dalla mattina che sarebbe andata così. Avevano visto i monti, avevano annusato l'aria, avevano sentenziato: "Temporae". Ma i veci lo sapevano perché sono lì da sempre e da sempre è la stessa storia, la stessa cantilena: "Schio, l'orinale de Dio", un detto, esperienza antica. Mica lo potevano sapere i corridori che partivano da Carpi, il meteo diceva nuvoloso con possibilità di pioggia. Fu un acquazzone.

 

Tutti fradici che ancora mancava una vita all'arrivo. E lo Zovo lì in mezzo a determinare in quale ordine entrare a Schio. "I xé mati? Lo Zovo col piove par saon" (sono matti? Lo Zovo quando piove sembra sapone), borbottava qualcuno, qualcun altro annuiva. La settimana prima uno col furgone era andato dritto a una curva a causa dell'asfalto sciovoloso: muso spaccato, "da butàr via", "figurarsi con la bici". Se lo ricordavano tutti. E intanto guardavano seduti al bar la tv e quegli altri di Schio che si erano messi l'impermeabile ed erano saliti sul Passo dello Zovo per vedere passare i corridori, "mati anca quei". Un altro scroscio, un altro vecio che entra, un bicchiere di grappa, "bisogna scaldarsi". Quell'aria, che aria, più che maggio sembra autunno.

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Sarà per questo che Marco Pantani decide che bisogna a ogni costo fare scompiglio. Salire a tutta per non sentire il freddo e sperare che non ci sia nessuno in cima alle sue spalle. D'alta parte è già la 13esima tappa, mezzo Giro d'Italia è andato e lo svizzero ancora non l'ha mai staccato in salita. E poi ci sono ancora quelle due cronometro che gli stavano sullo stomaco già da Nizza, figurarsi ora. E tutti che dicono che se va bene lo svizzero gli dà cinque minuti. E allora su sui pedali e via a scattare. Uno, due, tre. E resta solo Oscar Camenzind alla sua ruota, che pure lui era svizzero, ma quello sbagliato. E ancora la bici che ondeggia, la strada che diventa sempre più dura, la velocità però non cala. Forza, si dice. Ma a Camenzind si aggiunge pure Pavel Tonkov e se in due erano in tanti, in tre sono in troppi. Quindi ancora su, ancora forza, ancora, ancora. Ma niente da fare, la strada diventa più facile e per uno svizzero che fatica e si stacca, un altro appare e recupera. Gli si mette a ruota, non si stacca più. E quello è lo svizzero sbagliato, quell'Alex Zülle che dicono che gli darà cinque minuti a cronometro e lui ha già cinquanta secondi di ritardo. Pantani scatta, gli altri non perdono un metro, un po' si stanca. Decide di aspettare la discesa.

 

Tre davanti e i veci applaudono il Pirata, ma si chiedono: "E Bartoli dov'è?". Perché non ci fossero stati loro due, Pantani e Bartoli, a movimentare un po' quel Giro, mica sarebbe stato così bello. Bastava una montagnola messa in mezzo al percorso e via, scatti e controscatti, a tentare l'impresa. Era andata male a entrambi. Certo Michele Bartoli si era vestito di rosa un giorno, ma vincere è altra cosa. "Dov'è Bartoli?", si chiedevano al bar e la televisione piantata su quei tre al comando. Nessuna risposta. "Rientra, rientra", dicono da dietro al bancone.

 

Intanto lo Zovo è finito, la cima passata. Pantani si mette davanti, accelera, cade. Il respiro trattenuto, tutti a pensare, "ecco, ancora una volta". Ma Pantani si rialza e lo fa pure Zülle che gli era andato a presso. Tonkov non cade, rimane da solo, può staccare tutti, ma è rigido come un baccalà. "Ti go dito che par saon", grida uno dei veci. E lo svizzero va dritto e Pantani cade ancora e Tonkov è sempre più rigido. C'è un Giro davanti da finire, ci vuole calma, si dicono i tre sfidanti. L'altro dei grandi, Ivan Gotti, si è disperso a salire. Bene così, uno in meno, pensano i tre.

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Ma mentre Pantani, Zülle e Tonkov preferiscono la prudenza, ci sono al Giro acrobati che cavalcano quel serpentone d'asfalto che scende dal monte per raggiungere Schio. E al bar è un boato, perché c'è Turbo Guerini che scende, Paolo Bettini che è un fulmine, soprattutto Michele Bartoli che supera uno a uno quelli da salita e da classifica. La sua è una planata dolce e precisa, un apparizione. Al bar applaudono. E' una planata di squadra perché con Bartoli ci sono Bettini e Noè. Bartoli è ciclamino, Bettini verde, Noè in blu e Turbo Guerini in giallo. Sembra un arcobaleno che si muove, un treno colorato che si muove verso Schio, che si lascia alle spalle prati e boschi e a Schio entra, accelera, sprinta. Primo Michele Bartoli, secondo Giuseppe Guerini, terzo Paolo Bettini, quarto Andrea Noè. Sedici secondi prima di Pantani e Tonkov, ventiquattro prima di Zülle, più di un minuto prima di Ivan Gotti. E questo basta per un nuovo colore tra le maglie della Asics-C.G.A.: il rosa di Andrea Noè.

 

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Dice Pantani: "Cadere in discesa è normale specie in una discesa come quella dello Zovo e con la strada bagnata dalla pioggia. Sono caduti tutti o quasi. Era una cosa che avevo messo in conto". Dice Zülle: "Una volta che sono caduto ho perso la fiducia in me. Questione di nervi. Ma ho visto che è stato un problema comune. Prendete Tonkov: quando io e Pantani siamo caduti ci ha superati, ma poi è finito fuori strada a sua volta e ha dovuto rallentare. L'ultima parte della discesa l'ho fatta piano, senza rischiare. Mi hanno passato in tanti, poi e' arrivato Belli e sono giunto fino al traguardo con lui". Dice Pantani: "Il dato più interessante è che Zülle si è staccato in salita, sia pur di poco e, anche se non sono riuscito a realizzare a pieno le strategie che avevamo preparato alla vigilia, questo mi conforta. Andrò ancora all' attacco

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