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Giorgio Abraham, il piacere della psicoanalisi

Davide D'Alessandro

Una rilettura attenta di alcuni suoi libri, a distanza di tempo, aiuta l’osservazione e la riflessione sul viaggio interiore che non ha mai fine

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Un’estate psicoanalitica in compagnia di Giorgio Abraham e di alcuni suoi libri, che hanno certo una data ma non scadono, poiché i temi sono eterni. I mille volti del piacere, per riattraversare con i sensi il piacere di mangiare, del sesso, della calma, del dolore, di ammalarsi, di sognare. In una parola, di vivere. Un amore tutto nuovo, che spiega come sia possibile e sperabile innamorarsi dopo i quarant’anni, a patto di non riferirci all’amore sempre e soltanto con termini come affetto, sentimento e così via, perché “rischiamo di ridurlo a un’entità astratta e disincarnata. Sappiamo invece che l’amore è anche sesso e che talvolta proprio il sesso può riservare le emozioni più profonde”. Le età della vita, per saper vivere al meglio ogni stagione dell’esistenza, dall’infanzia alla vecchiaia, passando per giovinezza e maturità, interrogandosi su Eros e Thanatos, sul dormire e il sognare. Proprio ai sogni è dedicato un altro suo libro, Sogni del giorno e sogni della notte. I misteriosi rapporti tra il sonno e la vita cosciente. E alla psicoanalisi, nel 1999, cent’anni dopo la sua nascita, sancita con la pubblicazione, da parte di Freud, di L’interpretazione dei sogni, lo psichiatra e sessuologo italiano, oggi novantunenne, per tanti anni docente all’Università di Ginevra, dedicò Il sogno del secolo.

Rileggerlo oggi, a distanza di tempo, aiuta l’osservazione e la riflessione. Un libro onesto, serio, sobrio, privo di enfasi, un libro giusto che attribuisce a Cesare ciò che è di Cesare, che tratta di conscio e inconscio, di sogno e di eros, di sessualità matura e immatura, scavando e praticando un’archeologia della psiche, che rispetta chi ne è abitato e chi alla psiche dell’altro si accosta, come medico, per indagare e favorire la ri(costruzione) dell’individuo. Con umiltà e saggezza. Il viaggio interiore è un’esperienza singolare e duale. Si scende in due nell’abisso e si risale entrambi trasformati. Scrive Abraham: “Tutte queste esperienze analitiche mostrano un indiscutibile merito di Freud e dei suoi allievi: aver tracciato una via, sia pur tortuosa, all’interno di noi stessi per far emergere una parte oscura che altrimenti non verrebbe presa in considerazione. La strada inaugurata dal creatore della psicoanalisi non prova semplicemente la validità delle sue teorie, l’efficacia scientifica del procedimento. Essa va oltre la guarigione dei disturbi nervosi. Dopo cento anni (oggi centoventi) è una via ancora aperta e abbastanza ampia da ospitare le nuove scoperte della scienza, intrecciabili con l’originario messaggio freudiano. È consentito qualche ricordo nostalgico, ma l’orizzonte promette bene”.

Sì, promette bene ma occorrono interpreti e operatori all’altezza del compito richiesto. Come Abraham, come altri che, pur navigando nuovi mari, non dimenticano l’opera del primo navigatore, le sue mappe che hanno ancora tanto da dire e da insegnare.

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