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Quanto è profonda la rete delle spie di Putin in Europa

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Il giornalista Gershkovich è vittima della politica degli ostaggi di Mosca. Il copione di Putin, rimasto senza agenti, per riavere indietro i suoi uomini detenuti in Ue

Quando l’Fsb  ha arrestato con l’accusa di spionaggio il giornalista americano Evan Gershkovich, la Russia ha compiuto un passo avanti, più ambizioso, più radicale nella sua repressione. Gershkovich lavora per il Wall Street Journal, è il corrispondente da Mosca, è figlio di quella diaspora dei tempi sovietici che negli Stati Uniti ha prodotto il meglio della Russia di oggi. Subito dopo l’arresto, il giornalista  del New Yorker, Joshua Yaffa, che conosce bene Gershkovich, ha raccontato in un pezzo  come lui e il collega avevano visto cambiare la Russia.

 

Avevano assistito alla sua deformazione nel carattere, nella quotidianità, nelle sue paure, libertà e anche nel giornalismo. Mentre il Cremlino ha aumentato censura e repressione nei confronti della stampa locale, il giornalista straniero continuava a essere visto come un turista dell’informazione, al quale veniva lasciato il diritto di criticare e indagare in quanto lo faceva per un pubblico non russo.   Questa era la regola generale. Poi è arrivata la guerra, alcune testate hanno lasciato Mosca dopo le ultime leggi sulla stampa e Gershkovich aveva fatto altrettanto, salvo poi decidere di tornare non resistendo alla curiosità e all’impulso di raccontare un paese che stava calando un grosso sipario nero lungo i suoi confini. Dentro quel sipario nero è stato trattenuto anche Gershkovich. Dall’inizio della guerra, per Putin non è più importante soltanto il controllo sulle opinioni dei russi, ma vuole anche rendere impenetrabile e illeggibile  la Russia. Il giornalista straniero non è più un turista, ma un pericolo per il potere. Gershkovich  è accusato di spionaggio e potrebbe essere condannato fino a vent’anni di carcere. Ora con una spia finta tra le mani, Mosca cerca di riavere indietro le sue spie acclarate che sono detenute in vari paesi europei. A gennaio le è  già riuscito un colpo molto grosso, impensabile, quando ha ottenuto lo scambio tra la cestista americana Brittney Griner e il trafficante di armi Viktor Bout, uno degli uomini più ricercati dagli Stati Uniti. Se lo scambio con Gershkovich ci sarà, non sarà immediato. Intanto il giornalista è detenuto nella prigione moscovita di Lefortovo, dove era stato incarcerato anche l’ultimo giornalista occidentale vittima delle stesse accuse: era il 1986, si chiamava Nicholas Daniloff e venne scambiato per un diplomatico sovietico. Nel pezzo dedicato al suo amico, con cui ha condiviso lavori, feste e cene deliziose (Gershkovich aveva lavorato come cuoco a New York prima di diventare giornalista), Joshua Yaffa ha scritto: “E’ doloroso, e surreale, scrivere queste parole: Evan, Lefortovo, scambio di prigionieri. Nel corso degli anni, Evan e io abbiamo imparato che la Russia è un posto che può sorprenderti e deluderti, anche se attira la tua attenzione, eppure non avrei mai potuto immaginare che tutti quei sentimenti si sarebbero scontrati in una storia del genere, una storia che vorrei non aver mai dovuto scrivere”. 

 

Dopo aver riportato a casa Viktor Bout, chi sono adesso le spie che Mosca rivuole indietro in cambio di Evan Gershkovich? Finora ci sono supposizioni, dettagli, storie vecchie, ma una rete fitta e profonda di segreti che la Russia è ansiosa di portare fuori soprattutto dall’Europa, dove negli ultimi anni, gli agenti del Cremlino si sono dati parecchio da fare. 


Lo scambio /1. Il 23 agosto del 2019, appena prima di mezzogiorno, Zelimkhan Khangoshvili stava attraversando in bicicletta il Kleiner Tiergarten, un parco nel cuore di Berlino, quando è stato colpito alle spalle da due colpi sparati da una Glock con silenziatore. E’ caduto e quando era a terra un terzo proiettile, da una distanza più ravvicinata, gli è entrato nel cranio, uccidendolo. Khangoshvili aveva quarant’anni, era georgiano e aveva organizzato una milizia antirussa durante la seconda guerra di Cecenia. Nel 2008, aveva organizzato un’altra unità paramilitare sempre contro i russi, questa volta in Ossezia del sud, che non era mai entrata in azione. Khangoshvili viveva in Germania da qualche anno, era sopravvissuto ad altri attentati e la sua famiglia continuava a ricevere minacce. Quella mattina di agosto, alcune persone che erano nel parco chiamarono la polizia fornendo informazioni precise: un uomo con una parrucca anche lui in bicicletta aveva accelerato all’improvviso e si era avvicinato all’altro uomo in bicicletta. I colpi non si sentirono, ma qualche ora dopo, vicino alla Sprea, furono ritrovate la parrucca, la pistola, una muta e alcuni vestiti abbandonati. Si risalì presto all’identità dell’uomo travestito: Vadim Sokolov, cinquantasei anni, passaporto russo. In seguito si scoprì che il suo vero cognome era Krasikov, e che era ricercato per l’uccisione a Mosca, nel 2013, dell’imprenditore russo Albert Nazranov. Il nome di Krasikov però era sparito da tutti i database russi nel 2015, era diventato introvabile. Di lì a poco sarebbe comparso Vadim Sokolov, ma la connessione è stata fatta dopo l’assassinio di Khangoshvili, grazie al lavoro  straordinario e tignoso dei giornalisti investigativi di Bellingcat. Nel dicembre del 2021, un tribunale di Berlino ha condannato Krasikov all’ergastolo: leggendo la sentenza, il giudice ha confermato la tesi dell’accusa, secondo cui la decisione di eliminare Khangoshvili era stata presa dal governo russo. Bellingcat aveva ricostruito, tramite i dati telefonici, che prima di recarsi a Berlino via Parigi e Varsavia, Krasikov era stato in contatto ripetutamente con ex agenti dell’Fsb e “aveva trascorso lunghi periodi di tempo in una base di addestramento  appena fuori Mosca”. Con tutta probabilità, Krasikov era stato un membro dell’unità d’élite “Vympel”  dell’Fsb, una squadra delle forze speciali formata nel 1981 addestrata per operazioni segrete in territori “ostili”. Poco dopo la sentenza di ergastolo, cui l’allora governo Merkel aveva fatto seguire l’espulsione di altri due dipendenti dell’ambasciata russa a Berlino, Vladimir Putin ha attaccato l’Ucraina: da allora il nome di Krasikov circola tutte le volte che i paesi occidentali hanno dovuto negoziare con Mosca il rilascio di loro cittadini arrestati e condannati con accuse pretestuose e processi sommari. Dopo l’assassinio di Khangoshvili, Putin non aveva nascosto la sua approvazione: era un uomo “crudele e assetato di sangue”, aveva detto il presidente russo a un vertice internazionale a Parigi, “uno degli organizzatori” dell’attentato nel teatro Dubrovka di Mosca del 2010.  

 

Sono tre i nomi che circolano per lo scambio con Evan  Gershkovich: Vadim Krasikov e la coppia “Maria e Ludwig”

 

Lo scambio /2. Maria Mayer e Ludwig Gisch erano andati a vivere a Lubiana, la capitale della Slovenia, nel 2017, con i loro due figli. Maria aveva aperto una galleria d’arte online, Ludwig, che diceva di essere nato in Namibia, gestiva una startup che forniva servizi per organizzare le email e sistemi antivirus. Ai nuovi amici che si erano fatti a Lubiana avevano raccontato di aver vissuto a lungo in Argentina, ma di essere rimasti spaventati dalla criminalità del paese, e di aver scelto la pacifica e montagnosa Slovenia per recuperare pace e sicurezza. Erano  una coppia molto tranquilla, hanno raccontato al Guardian i vicini del “numero 35”, in una via di Crnuce, nella periferia di Lubiana: in famiglia parlavano in spagnolo, con gli altri in inglese, sostenevano che lo sloveno fosse un po’ complicato ma lo stavano studiando, Ludwig diceva che avrebbe dovuto inventarsi un’attività più redditizia, e andava spesso via per lavoro per partecipare a congressi sulla sicurezza in rete. Anche Maria viaggiava spesso, era stata a fiere d’arte in giro per l’Europa, a Zagabria e a Edimburgo in particolare. I loro profili social riguardavano soprattutto cose di lavoro, poche foto personali, pochi follower. Una mattina dello scorso dicembre, in una operazione d’intelligence studiata nei minimi particolari, un gruppo di agenti dei servizi segreti sloveni è entrato nella casa degli “argentini”, ha arrestato la coppia e  ha affidato i figli agli assistenti sociali. Nel frattempo la polizia ha fatto irruzione in uno degli uffici della coppia, dove ha trovato “ un’enorme” quantità di denaro.  Alcuni fonti slovene hanno detto che “Maria e Ludwig” erano spie di un gruppo d’élite conosciuto come “gli illegali”: a segnalarli è stata l’intelligence di un altro paese europeo. Alla fine di marzo, le autorità slovene hanno formalizzato l’accusa: spionaggio da parte di cittadini russi cui è stata fornita un’identità e una vita fasulla – gli illegali appunto. Una vicina ha realizzato, vedendo la notizia, che forse la ragione per cui i due non volevano parlare sloveno è che sarebbe stato più difficile camuffare l’accento russo rispetto all’inglese e allo spagnolo (per ulteriori dettagli sulla formazione di questi illegali, ricordiamo la serie tv “The Americans”). Anche Maria e Ludwig sono tra i nomi che circolano per uno scambio con il giornalista del Wall Street Journal.
 

 

La montagna delle spie. L’unità dell’intelligence militare russa  (Gru)   più famosa in Europa, soprattutto dopo l’avvelenamento con il novichok di Sergei Skripal nel Regno Unito, è la  29155. A darne una descrizione dettagliata per la prima volta nel 2017 è stato ancora Bellingcat, che ha individuato il terzo uomo nella squadra che ha avvelenato Skripal e l’ha ritrovato in Bulgaria, dove il commerciante di armi Emilian Gebrev, suo figlio e un manager della sua azienda, erano stati ricoverati d’urgenza per un’intossicazione che risultò poi essere un avvelenamento. Nel 2019, la  29155 sembrò anche a noi particolarmente vicina quando il Monde diede notizia di una base di questa squadra   sulle Alpi francesi. La   29155 è  operativa dal 2009 ma è entrata nel mirino delle intelligence europee soltanto nel 2016, dopo che erano  stati scoperti un tentativo di golpe in Montenegro e una campagna di destabilizzazione in Moldavia. L’unità compare in un decreto del 2012 firmato dall’allora ministro della Difesa russo, Anatoly Serdyukov, in cui si stabilivano dei bonus per “meriti in servizio”. Sono stati documentati i molti viaggi  in Europa con obiettivi di: sabotaggio, disinformazione, omicidi mirati  o più in generale quel che Putin chiama “guerra ibrida”, al netto dei cyberattacchi.  Sul profilo dei membri dell’unità 29155 ci sono alcuni dettagli importanti: i comandanti sono molto addestrati, gli operativi lo sono invece molto meno, ma sono disposti a fare la manovalanza dei lavori sporchi.      

 

Dal 2022 l’Ue ha espulso circa 400 agenti sotto copertura. Ora Mosca vuole agenti per spiare i trasferimenti di armi verso Kyiv

 

Le maglie rotte. Anche l’Italia ha i suoi casi di spionaggio e il più recente riguarda la rumorosa esfiltrazione della spia Artem Uss, l’imprenditore accusato dagli Stati Uniti di rifornire la Russia di microprocessori e tecnologia per le armi che è ricomparso a Mosca nonostante fosse agli arresti domiciliari in Italia. Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, Mosca ha perso circa quattrocento uomini dell’intelligence non dichiarata di stanza sul territorio europeo. E’ un dato importante fornito dal capo dell’MI5 britannico, Ken McCallum. Le forze di spionaggio di Mosca si sono ridotte parecchio, le agenzie europee ora vigilano con più attenzione, ma il Cremlino non ha abbandonato la sua ambizione di ricostruire la  rete. Lo scorso anno, la Bulgaria, un paese considerato meno ostile alla Russia rispetto ad altri, cacciò in un colpo solo 70 diplomatici russi accusati di spionaggio, superando la più fragorosa espulsione che c’era stata fino a quel momento in Unione europea quando la Repubblica ceca, dopo aver scoperto che c’era il Gru dietro all’esplosione di un deposito di armi in cui morirono due civili, aveva cacciato sessanta spie. Secondo le intelligence occidentali ora  Mosca punta su uno spionaggio meno tradizionale, più concentrato sulla tecnologia, ma il piano è lento da realizzarsi. L’intelligence lituana ha anche raccontato del tentativo di assumere spie meno convenzionali, come cittadini russi o bielorussi che vivono all’estero, che non hanno addestramento ma sono già  più integrati. L’obiettivo della nuova rete dovrebbe essere quello di mandare informazioni sull’afflusso di armi occidentali verso l’Ucraina. La Polonia a marzo ha arrestato alcune spie che tenevano sotto osservazione gli snodi ferroviari, la Slovacchia nel 2022 aveva invece arrestato il colonnello Pavel Buczyk e lo scrittore Bohuš Garbár che agivano per il Gru e prezzolati mandavano video e informazioni. Finora Mosca non è riuscita a fermare i sentieri delle armi, ma è determinata a farlo e per questo cerca reclute, profili diversi, meno vistosi, e anche più sacrificabili se scoperti. 

 

 Lo spionaggio russo da materiale letterario si è fatto un argomento sempre più concreto nella vita dell’Unione europea. Negli ultimi anni gli agenti di Mosca non hanno brillato per competenza, sono stati spesso scoperti, esponendo anche il decadimento della scuola d’intelligence russa. Da una buona spia dipende la vittoria o la sconfitta, dipende la capacità di prevenire un attacco o limitarne i danni, dipende il successo e la protezione di una nazione. Richard Sorge era una zelante spia al servizio di Stalin in Giappone. Aveva il padre tedesco e la madre russa, era nato a Baku, in Azerbaigian. Fu inviato in Germania, in Cina e in Giappone e come copertura diceva di essere – e nei fatti era – un giornalista. Sorge era abilissimo e apprese con un buon anticipo del piano di Hitler di rompere il patto Molotov-Ribbentrop e attaccare l’Unione sovietica. Con audacia e accortezza, riuscì a informarne Stalin, ma il dittatore credeva ciecamente al suo alleato nazista, sicuramente più che alle sue spie. Non preparò la difesa, l’Urss rimase scoperta, i nazisti avanzarono e Sorge fu impiccato a Tokyo.