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Cosa intende l’Ucraina quando dice: neutralità

Paola Peduzzi e Micol Flammini

I negoziati, la bozza di accordo, la Nato inaccessibile per Zelensky  e Putin che ci sputerà dalla bocca come mosche. Sulla linea del compromesso si è soli 

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Prima o poi dovrà finire, ripetono spesso gli ucraini. E detta da loro la frase ha un suono più speranzoso del consueto, perché per gli ultimi otto anni, prima di questa aggressione brutale, hanno combattuto un’altra guerra, quella nel Donbas, che non è mai stata risolta, non è mai finita. Qualcosa si sta muovendo e gira attorno a una parola che per Mosca e per Kyiv finora sembra avere un significato molto diverso: neutralità. Le delegazioni ucraina e russa continuano a parlare e dicono che lo spazio per un compromesso si è fatto più realistico.

 

I dettagli vanno curati, aggiustati, sul terreno ancora si combatte, ma inizia a emergere qualcosa che i russi presentano come qualcosa di concreto, gli ucraini un po’  meno. Il Financial Times ha ottenuto una bozza dell’accordo composto da quindici punti, ma si tratta delle richieste di Mosca: quindi non è un accordo. Secondo la Russia, Kyiv dovrebbe rinunciare alle sue ambizioni di aderire alla Nato e  a ospitare basi militari o armi straniere. In cambio le verrebbe assicurata la protezione dei suoi alleati: Stati Uniti, Regno Unito e Turchia. Un paese attaccato senza ragione ha bisogno di qualcosa di più per accettare il costo della sua neutralità.  

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E poi c’è quello che c’era anche prima, quello di cui le due nazioni discutevano già da prima del 24 febbraio, data di inizio della guerra: lo status della Crimea e di Donetsk e Luhansk, le due regioni che si sono dichiarate repubbliche indipendenti e che la Russia ha riconosciuto come tali. Mosca vuole che Kyiv si arrenda e ceda la penisola alla Russia e vuole anche che accetti lo status di indipendenza delle due repubbliche, che dovrebbero rimanere nel territorio ucraino ma avere requisiti speciali. Finora l’Ucraina ha rifiutato, è stata invasa, e il riconoscimento di Luhansk e Donetks, due cavalli di Troia dentro alla nazione, adesso è ancora più difficile.

 

Prima di parlare di qualsiasi cosa, l’Ucraina vuole ottenere la garanzia di un ritiro dell’esercito russo dai territori occupati dall’inizio dell’invasione. Mosca ha invaso, ora deve ritirarsi: che ceda il territorio occupato soprattutto a sud è poco probabile. I funzionari ucraini rimangono scettici, procedono lentamente e sanno che c’è una questione che interessa molto alla Russia nell’immediato, più di tutte le altre: allentare la pressione sulle sanzioni. Siamo andate alla ricerca del significato della parola neutralità, per capire perché suona tanto diversa sulla bocca di ognuno.   
 

Le garanzie di sicurezza. La natura delle garanzie che l’occidente può fornire all’Ucraina può essere un ostacolo a qualsiasi accordo. C’è un precedente: il memorandum di Budapest, siglato nel 1994. Questo accordo nasceva dall’esigenza di smantellare le armi nucleari presenti in territorio ucraino che corrispondeva alle terze riserve più grandi dell’ex Urss, circa 1.900 armi atomiche strategiche. In base al memorandum, l’Ucraina rinunciava all’arsenale nucleare (che è stato inviato in Russia per essere smantellato) e quindi alla possibilità di essere una potenza atomica e in cambio la Russia, gli Stati Uniti e il Regno Unito (si sono poi aggiunte nel tempo Francia e Cina)     concordarono di: rispettare l’indipendenza e la sovranità ucraina; astenersi da qualsiasi minaccia o uso della forza contro l’Ucraina; astenersi dall’utilizzare pressioni economiche per influenzare la politica ucraina; astenersi dall’usare armi nucleari contro l’Ucraina; consultare le altre parti interessate se sorgono controversie su questi impegni. Il memorandum di Budapest non è legalmente vincolante ed è stato già violato dalla Russia nel 2014. Le garanzie di sicurezza promesse allora non ci sono state da parte di Mosca evidentemente ma Londra, e soprattutto Washington, hanno invece rispettato l’accordo sostenendo militarmente e con investimenti civili la capacità ucraina di difendersi. Oggi come dovrebbero quindi essere formulate le garanzie di sicurezza del nuovo accordo? Con la neutralità, un termine che prima aveva una connotazione piuttosto semplice e chiara e che ora contribuisce a confondere i negoziati e la promessa di pace. 

 

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Mosca vuole che sia Kyiv a sembrare intransigente nelle trattative, mentre distrugge e conquista l’Ucraina


 

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La neutralità austriaca, e quella svedese. Mosca ha proposto una neutralità come quella austriaca e svedese, Kyiv ha detto di no, finendo in quel cono d’ombra in cui il presidente Zelensky si ritrova sempre più spesso: è lui a non volere la pace, che è una contraddizione in termini essendo a capo di un paese invaso, ma di contraddizioni vive Putin, le sue e soprattutto quelle che riesce a far passare nel mondo occidentale. La neutralità austriaca, il Neutralitätsgesetz, è una legge costituzionale approvata dal Parlamento nel 1955. In quello stesso giorno, il 26 ottobre, le ultime truppe straniere presenti in Austria avevano lasciato il paese: da dieci anni, dalla fine della Seconda guerra mondiale, c’erano truppe sovietiche, americane, inglesi e francesi e la stessa Vienna era divisa in quattro aree e il centro era considerato una zona internazionale alla cui guida si avvicendavano le forze straniere ogni mese. Secondo questo trattato, l’Austria non può partecipare ad alcuna organizzazione militare né ospitare basi militari straniere né partecipare ad alcuna guerra. Da allora l’Austria ha adottato quella che definisce “una neutralità attiva” partecipando a missioni di peacekeeping (in Kosovo c’è il contingente più grande, 273 soldati) e ospitando i negoziati più importanti, come quello sul nucleare iraniano. All’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il ministro degli Esteri austriaco ha definito bene il concetto di neutralità: “Pure se l’Austria è uno stato neutrale da un punto di vista militare, non siamo affatto neutrali di fronte alla violenza. Se si tratta di integrità territoriale di uno stato sovrano ci muoveremo in modo risoluto”. L’Austria non fa quindi parte della Nato ma fa parte di due progetti dell’Alleanza: la Partnership for Peace e l’Euro-Atlantic Partnership Council. La neutralità della Svezia è di tutt’altra natura: dura dall’Ottocento, è resistita fino a metà degli anni Novanta, quando missioni svedesi sono andate nei Balcani e in Afghanistan e ha cambiato natura nel 2009, quando la Svezia, già membro della Comunità europea, ha iniziato a partecipare ai progetti di difesa comune e a dare contributi alla Nato, oltre che ad armonizzare il proprio esercito sulle linee guida dell’Alleanza (come ha fatto l’Ucraina). Nel 2011, per dire, la Svezia partecipò alla missione a guida Nato in Libia. Poiché quindi il modello austriaco e quello svedese sono molto diversi tra loro e non sono nemmeno definibili del tutto neutrali, sono solo fuori dalla Nato, la proposta russa appare molto confusa: può voler dire tutto, forse non vuole dire niente. 


Il modello ucraino di neutralità. Zelensky è intervenuto davanti al Congresso americano e  ha detto di avere una necessità da chiedere, la più difficile, quella che ripete lui e che ripetono gli ucraini in coro: chiudete il cielo. Il presidente ucraino lo ripete, ma sa che è un obiettivo poco realistico, gli sfuma via dalle labbra ogni giorno di più e finirà per evaporare del tutto, come le sue ambizioni di diventare parte della Nato. L’ha detto, non c’è scelta alternativa alla neutralità, una neutralità subìta che viene dal prendere atto che le porte dell’Alleanza atlantica gli sono state chiuse, non sbattute in faccia, ma accostate, gentilmente. Zelensky si è rivelato un leader molto pragmatico e agli americani ha chiesto quindi armi per consentire al suo popolo di continuare a combattere da solo ma almeno armato e Washington ha annunciato 800 milioni di dollari in aiuti militari. Zelensky ha ricordato agli Stati Uniti Pearl Harbor e l’11 settembre, ha evocato il ricordo del sentirsi attaccati. La parola neutralità nei discorsi di Zelensky ha un significato tutto suo che Mikhailo Podolyak, uno dei consiglieri del presidente, ha iniziato a disegnare: un modello ucraino di neutralità con nuove garanzie di sicurezza come partecipazione immediata al conflitto dalla parte dell’Ucraina di un certo numero di paesi garanti, se qualcuno violerà nuovamente la sua integrità territoriale. Kyiv non vuole nessun modello austriaco o svedese, la neutralità può solo essere costruita secondo le sue necessità.

 

Per Stubb far parte della Nato non è una questione di pro e di contro, ma una scelta di  appartenenza a dei valori

 

La Finlandia non è neutrale. Prima dello scoppio della guerra, si continuava a immaginare un’Ucraina finlandizzata, per dire neutrale. Ma i russi non hanno tirato fuori il modello finlandese nel parlare della neutralità di Kyiv. Probabilmente perché la Finlandia neutrale non lo è già da un po’. Alexander Stubb, ex premier finlandese, ci ha detto che  il suo paese “non è neutrale dalla fine della Guerra fredda, quando lo era per necessità. Poi la partnership con la Nato è diventata sempre più profonda e la ragione per cui nel 1995 non ne siamo diventati parte è che allora la maggior parte della popolazione non era a favore ed è mancata la determinazione politica. Adesso la situazione è cambiata e il 62 per cento dei finlandesi è a favore dell’ingresso nell’Alleanza atlantica, 16 è contro, 21 è indeciso”. Per Stubb l’adesione del suo paese alla Nato non è più questione di bilanciare i pro e i contro, piuttosto di aderire apertamente a un sistema di valori: “Serve a determinare a quale mondo vogliamo appartenere”. Gli ucraini la loro scelta l’hanno già fatta. Questa guerra per Putin non ha mai avuto a che vedere con questioni di sicurezza, “non ha mai riguardato l’appartenenza di Kyiv alla Nato, è una guerra per il cuore e l’anima dell’Ucraina – ci ha detto Stubb – è per questo che Putin ha iniziato la guerra e l’anima di Kyiv, il presidente russo l’ha già persa”. 

 


Vladimir Putin ha detto che la guerra in Ucraina procede  secondo i piani, e ha ribadito che la Russia non aveva altra scelta. Nel suo ultimo discorso in televisione però si è concentrato su un’altra guerra, che invece, secondo lui, è fallita: la guerra lampo economica occidentale. Ha cercato di rassicurare i russi, con toni che di rassicurante avevano poco, ha detto loro che tutto verrà superato con dignità e duro lavoro. Poi ha fatto uno dei suoi paragoni storici pericolosi e ha detto che la valanga di sanzioni ricorda la violenza antisemita dei fascisti. Ha detto che l’occidente sta cercando di cancellare la Russia, di dividere la sua società ma i russi sanno distinguere i traditori e “li sputeranno fuori come una mosca che gli è volata accidentalmente in bocca”. Zelensky e Putin sono sempre di più il contrario l’uno dell’altro, sappiamo con chi sta il primo: noi. E sappiamo contro chi agisce il secondo: noi. E’ soprattutto per questo che essere neutrali non si può più.

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