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EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Mentre il sovranismo europeo cade a pezzi

Paola Peduzzi e Micol Flammini

I partiti nazionalisti si azzuffano tra loro e il loro gruppo più corposo al Parlamento europeo si riduce a vista d'occhio. Cronache di calci nel sedere

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Alto tradimento!, urla Marine Le Pen mentre elimina dalla campagna elettorale per diventare presidente della Francia il suo portavoce, Nicolas Bay, eurodeputato del Rassemblement national, vicepresidente del gruppo più corposo del sovranismo in Europa, Identità e democrazia. Bay è accusato di “comportamento immorale e indegno” dal suo partito e dal suo capo, la Le Pen appunto, perché avrebbe approfittato della sua posizione apicale per passare informazioni a Éric Zemmour, leader del neopartito chiamato Reconquête! e candidato anch’egli all’Eliseo in quota sovranismo. Le Pen e Zemmour si rosicchiano consensi e visibilità a vicenda, si contendono il sostegno di politici e di parti dell’elettorato detestandosi senza troppa cortesia. Che questa sfida interna ai sovranisti poi si possa tradurre in un consolidamento delle alternative, il macronismo soprattutto, non è detto: questa è la fase di tutti contro tutti, ma le convergenze non sono da escludere. Intanto però il Rassemblement national e Reconquête! ben rappresentano il cannibalismo interno al sovranismo  europeo: questi scontri non sono un affare solamente francese.

 

Nicolas Bay è accusato dal suo partito di “un vero sabotaggio”, operato attraverso la trasmissione di “materiale strategico e confidenziale”: lui nega tutto, dice che non ha potuto nemmeno confrontarsi con il Rassemblement che aveva già ordinato la sua sospensione, definisce le accuse “grottesche e denigranti”, minaccia di denunciarli tutti per diffamazione. Ma pure se il sabotaggio è da dimostrare, Nicolas Bay, definito il “ponte” tra il Rassemblement e i suoi alleati europei, aveva già in mente di passare, come stanno facendo altri, con Zemmour. Il 29 gennaio alla riunione dei sovranisti organizzata a Madrid, Bay si era rifiutato di dire davanti alle telecamere se sosteneva Marine Le Pen oppure no. Una esponente del Rassemblement l’aveva già minacciato: ti abbiamo portato in palmo di mano, non sei nessuno senza Marine, ti conviene mostrare la tua fedeltà. Lui le aveva risposto: ta gaule, taci, è il contrario, senza di me Marine è perduta. Il suo collega eurodeputato Gilbert Collard, che lo aspetta tra i zemmouriani, sintetizza così la questione: il Rassemblement è come quei mariti che non vogliono ammettere di essere cornuti e quindi lasciano la moglie.

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Benvenuti nelle liti del sovranismo europeo – liti personali, ideologiche, politiche, opportunistiche. Le foto della famiglia unita del nazionalismo in formato europeo sbiadiscono, e si sente netto il rumore dei pezzi che cadono. 


Identità e democrazia. La migrazione da Le Pen a Zemmour è il paradigma dello spopolamento che si consuma dentro a Identità e democrazia. Ma  anche la Lega di Matteo Salvini, che con Marco Zanni ha la presidenza di Id, ha visto la sua delegazione ridursi in modo significativo per i conflitti sulla linea del partito a Roma e Bruxelles. Tre eurodeputati sono entrati nel gruppo del Ppe. Vincenzo Sofo è passato dalla Lega a Fratelli d’Italia: automaticamente, da Identità e democrazia al gruppo sovranista rivale, quello dei Conservatori e riformisti europei (Ecr). La no vax Francesca Donato avrebbe voluto restare, ma è stata espulsa da Identità e democrazia dopo la sua rottura con la Lega e oggi si ritrova tra i non iscritti. Anche il tedesco Jörg Meuthen è un non iscritto dopo aver lasciato il suo partito (ormai ex) Alternativa per la Germania (AfD). Il gruppo era stato fondato nel giugno del 2019, dopo una campagna elettorale che avrebbe dovuto portare il trionfo sovranista alle elezioni europee dello stesso anno. L’ambizione nel lungo periodo era diventare il polo attrattivo delle forze nazionaliste e antieuropeiste, perfino un gruppo unico del sovranismo europeo, che avrebbe dovuto fare concorrenza al Ppe, coinvolgendo il partito polacco PiS (Diritto e giustizia)  e il Fidesz di Viktor Orbán. I tre perni erano la Lega di Salvini, il Rassemblement national della Le Pen e l’AfD di Meuthen. Oggi questi tre partiti sono in fase di disgregazione e in difficoltà nei sondaggi nazionali. Salvini e la Le Pen subiscono la concorrenza di Giorgia Meloni ed Éric Zemmour, come l’olandese Geert Wilders deve fare i conti con Thierry Baudet e altre formazioni populiste.

 

Il portavoce di Marine Le Pen passa con Éric Zemmour. Questo è il paradigma di quel che sta avvenendo non solo in Francia 

 

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Un po’ di calcoli. A inizio legislatura il gruppo Identità e democrazia aveva 73 membri. Dopo la Brexit, grazie al rimpasto di deputati europei provocato dall’uscita dei britannici, i membri del gruppo erano saliti a 76 con rinforzi italiani, francesi e olandesi, a un passo dal superare i Verdi come quarta forza del Parlamento. Oggi Identità e democrazia conta  66 deputati, solo due in più di Ecr, che è solo più moderatamente antieuropeo,  è pilotato dai polacchi del PiS e dagli italiani di Fratelli d’Italia. Il suo copresidente Raffaele Fitto ha convinto il PiS a non ascoltare le sirene di Orbán, che sta cercando di federare i sovranisti in un gruppo unico. Con un paio di acquisizioni in più, magari recuperate tra i non iscritti, l’Ecr può effettuare un insperato sorpasso di Identità e democrazia.

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I problemi. Uno dei principali ostacoli alla formazione di un unico grande gruppo politico al Parlamento europeo è la linea da adottare nei confronti di Russia e Cina. E’ soprattutto Mosca ad aver alimentato con le campagne di propaganda e disinformazione l’ondata sovranista nell’Ue. Ma anche Pechino in passato ha potuto fare affidamento su alcuni dei leader della destra nazionalista in Europa. Le storie nazionali e l’attualità hanno un peso prevalente. Per i polacchi del PiS  è impensabile allearsi con un partito pro Cremlino. Per questo il partito di Jaroslaw Kaczynski ha sempre rifiutato un patto con Marine Le Pen. La Lega di Matteo Salvini, da quando è entrata nel governo di Mario Draghi, ha compiuto una giravolta  sulla Russia, passando dalle magliette pro Putin all’approvazione delle sanzioni economiche.  In realtà, Orbán stesso è all’origine e al cuore delle contraddizioni sovraniste su Russia e Cina. Il premier ungherese si considera il miglior alleato di Putin nell’Ue e ha bloccato dichiarazioni dell’Ue critiche nei confronti di Pechino. Ha comprato il vaccino russo Sputnik V e cinese Sinopharm. Spera di trarne vantaggio con contratti su gas e nucleare con i russi e investimenti cinesi in Ungheria.  Fare il cavallo di Troia di una potenza che minaccia la guerra e di un regime comunista è troppo anche per gli ammiratori della sua democrazia illiberale. A queste difficoltà però se ne aggiunge un’altra, più incurabile: se si litiga in casa, come si fa ad andare d’accordo in Europa?

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L’effetto domino tedesco. Buona parte della crisi sovranista europea è legata all’implosione del partito tedesco AfD, che è da tempo attraversato da una disputa tra l’ala più estremista e quella meno (definirla “moderata” non è opportuno). Jörg Meuthen, coleader dell’AfD e riconoscibile anche a livello europeo, ha lasciato il partito a fine gennaio dicendo: “Il cuore del partito batte sempre più a destra: qui sento echi di totalitarismo in modo limpido”. Meuthen aveva già pensato di andarsene lo scorso anno, ma poi a causa del Covid il congresso non si era tenuto e lui era rimasto dov’era, litigando molto e gestendo anche un’accusa di finanziamento illecito al partito. E’ proprio a questa accusa che ha fatto riferimento Alice Weidel, coleader anche lei, quando ha detto che “gettando fango” sui suoi compagni Meuthen mostra il suo vero volto e che la ragione della sua dipartita non ha a che fare con l’estremismo ma con l’inchiesta in corso. In ogni caso ora per capire in che direzione andrà (se già non lo avete capito) l’AfD bisogna seguire Björn Höcke, leader del partito in Turingia, la regione che è il teatro dei conflitti ideologici e identitari dentro il conservatorismo, moderato ed estremo, tedesco.

 

Bisticci in casa (nostra). In Italia si consuma forse il litigio più grande e più importante della galassia sovranista. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, e Matteo Salvini, leader della Lega, si contendono elettori e strattonano l’idea di riformare il centrodestra italiano. La Lega guarda con timore la crescita di Fratelli d’Italia e al suo interno c’è chi è convinto che bisogna rincorrere Meloni e chi invece crede che la soluzione giusta siano il centrismo e la moderazione. In Europa, questa guerra per il posizionamento prosegue, è più sotterranea, si urla meno, ma se possibile, ci si guarda ancora più in cagnesco. Fratelli d’Italia non vuole il gruppo unico, la Lega, o meglio: quella parte della Lega che non punta alla moderazione, lo vuole. Meloni si trova bene con i conservatori e riformisti,  in una federazione prima delle prossime europee, il suo partito sarebbe più sparuto e sicuramente più sparuto della Lega. Quindi se in Italia ci si finge amici, all’occorrenza, in Ue ci si risparmia anche quella fatica.   

 

Due facce di PiS. La famiglia sovranista polacca non è messa meglio delle altre in fatto di crisi esistenziali. A Varsavia si litiga moltissimo, le faide dentro al governo sono logoranti e come spesso accade, i più insidiosi sono i più piccoli. Il partito del ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, si chiama Solidarna Polska, Polonia solidale. E’ al governo con il PiS, il partito del premier Mateusz Morawiecki e soprattutto di Jaroslaw Kaczynski. Ziobro, artefice della riforma della Giustizia, vuole che il governo promuova una politica ancora più conservatrice. Morawiecki, che pure è un conservatore, cerca di ribilanciare. Kaczynski accontenta ora l’uno ora l’altro. Il risultato è un governo che rimane in bilico. In Europa, Ziobro vuole la rottura, vuole che Varsavia porti avanti le sue riforme illiberali, smantelli lo stato di diritto, andando in rotta di collisione con l’Ue. Morawiecki cerca di mediare. Kaczynski accontenta ora l’uno ora l’altro. Sia il PiS sia Polonia solidale siedono  tra i conservatori e riformisti, ma Ziobro vuole il grande gruppo sovranista  per smantellare l’Ue. Per crearlo è disposto a infrangere due tabù polacchi: l’inimicizia con la Russia e l’amicizia con l’America. Morawiecki no, ritiene che il rapporto con gli Stati Uniti sia imprescindibile e dei russi non è  mai disposto a fidarsi. Kaczynski per ora non si espone.

 

Russia e Cina spaccano le alleanze e al cuore del problema c’è Orbán. Come può un cavallo di Troia fare da federatore?

 

In Spagna Vox vale doppio. Nel gruppo Ecr ci sono anche i sovranisti spagnoli di Vox, guidati da Santiago Abascal, tra i pochi in  buona salute. E non tanto e non solo per i risultati nelle urne: il 17,6  per cento ottenuto alle regionali  in Castilla y León. Ciò che più conta è invece la centralità che Vox mantiene in un sistema politico in cui, quando la maggioranza non c’è, si può giocare con i governi di minoranza. Vox, che negli ultimi anni ha spesso aiutato il Partito popolare con astensioni o appoggi esterni, ora pretende invece di entrare nei governi. Ma il Pp tentenna. Bisogna tener lontano Vox, accettandone un po’ sdegnosamente solo voti o astensioni (come vorrebbe il leader popolare Pablo Casado), o farci alleanze senza troppi complessi (come vorrebbe invece la sua avversaria interna Isabel Díaz Ayuso)? Intanto, anche i socialisti offrono al Pp una loro astensione in Castilla y León. Ma solo in cambio di un esplicito isolamento di Vox in ogni ordine di elezioni. E proprio in questo spazio tra cordone sanitario sì o no i voti di Vox continuano a valere doppio e cercano più spazio anche in Europa. 

 

Polvere olandese. Nei Paesi Bassi la disgregazione è arrivata presto, perché i due olandesi che volevano partecipare alla rivolta sovranista, il Partito per la libertà di Geert Wilders e il Forum per la democrazia di Thierry Baudet, alle europee ottennero ben poco. Wilders, con il suo capello trumpesco prima di Trump, si ritrovò con un seggio e Baudet a Bruxelles non ci arrivò proprio. Wilders sta con Id, Baudet in teoria starebbe con Ecr, ma ora non sta da nessuna parte. Durante la campagna elettorale del 2019 si diceva che era lui a condurre la riscossa sovranista, che era il volto che piaceva, il dandy di origini ugonotte. Doveva togliere a Wilders i voti degli uomini della strada, degli Henk e delle Ingrid, come si dice in Olanda, invece è sempre più emarginato, soprattutto dopo i suoi commenti antisemiti. Wilders preserva il suo fortino nella politica nazionale, agli incontri con i compagni europei va ma all’Europa pensa sempre meno anche perché ha le sue perdite interne: Marcel de Graaff è appena uscito dal Partito della libertà per passare al Forum per la democrazia per un conflitto con Wilders sui vaccini, anche se continua a essere membro di Identità e democrazia, anzi, è proprio lui quell’unico eurodeputato olandese. 

 

Ve li ricordate i sovranisti davanti al Duomo a Milano che urlavano tutti insieme reclamando più sovranità nazionale? Ecco, Wilders si deve essere reso conto che la sovranità nazionale si chiede uno alla volta, tutti insieme è solo un baccano. 

(hanno collaborato David Carretta 
e Guido De Franceschi)

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