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EuPorn - il lato sexy dell'Europa

Quel brutto pasticciaccio sullo stato di diritto

Paola Peduzzi e Micol Flammini

C’è una doppia spaccatura dentro all’Unione europea così profonda che può mettere a repentaglio la partenza del Recovery fund. I voti, i veti e il ricatto

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Che cos’è l’Europa se non difende il rispetto dello stato di diritto nei suoi stati membri, se non sa resistere ai ricatti dei leader più illiberali che giochicchiano sprezzanti con i princìpi democratici e usano l’Unione europea come un bancomat? Ce lo stiamo chiedendo molto spesso in queste settimane, mentre l’Europa rifinisce il piano di aiuti europei anti Covid, prova a gestire in modo armonioso la minaccia della seconda ondata e aspira a un’autonomia strategica a livello internazionale, mentre America e Cina si fanno la guerra. 

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Che cos’è l’Europa se non difende il rispetto dello stato di diritto nei suoi stati membri, se non sa resistere ai ricatti dei leader più illiberali che giochicchiano sprezzanti con i princìpi democratici e usano l’Unione europea come un bancomat? Ce lo stiamo chiedendo molto spesso in queste settimane, mentre l’Europa rifinisce il piano di aiuti europei anti Covid, prova a gestire in modo armonioso la minaccia della seconda ondata e aspira a un’autonomia strategica a livello internazionale, mentre America e Cina si fanno la guerra. 

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Una doppia spaccatura. La questione della difesa dello stato di diritto – uno dei princìpi che tengono insieme il progetto europeo: anzi forse il principio – ha creato una doppia spaccatura dentro l’Ue tanto profonda che potrebbe mettere a rischio la partenza del Recovery fund e del bilancio 2021-27 all’inizio del prossimo anno. Da giorni si ripete l’allarme. “Ritardi con conseguenze per la ripresa economica dell’Europa saranno quasi certamente inevitabili”, ha detto di nuovo ieri Michael Clauss, ambasciatore della Germania che ha la presidenza di turno dell’Ue. Al cuore della discussione, e del ritardo, c’è il meccanismo sullo stato di diritto, che dovrebbe permettere di bloccare i fondi comunitari a chi vìola i princìpi fondamentali (soprattutto Ungheria e Polonia): “Stiamo correndo sempre più verso uno stallo nei negoziati complessivi sul bilancio”, ha detto Clauss. 

 

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Il compromesso tedesco. Lo stallo è tra il Consiglio – dove siedono i governi che a luglio avevano trovato un accordo su tutti i punti del bilancio e del Recovery fund tranne lo stato di diritto, appunto – e il Parlamento europeo –  che invece chiede più soldi per i prossimi sette anni, garanzie sulle nuove risorse proprie e un meccanismo più forte per sanzionare Ungheria e Polonia. Ma lo stallo è anche dentro al Consiglio, come dimostra il voto di ieri sul compromesso voluto dalla presidenza tedesca sul meccanismo sullo stato di diritto: due stati membri (Ungheria e Polonia) hanno votato contro perché troppo duro; sette paesi (Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia, Belgio e Lussemburgo) hanno votato contro perché troppo debole; gli altri 18 (tra i quali Francia, Italia e Spagna) hanno sostenuto la proposta della Germania. Il testo è passato grazie alla maggioranza qualificata. Questo consente all’ambasciatore Clauss di avviare formalmente i negoziati con il Parlamento europeo, dove però si fanno sentire sempre più voci in dissenso. “Non capisco la debolezza della presidenza tedesca sullo stato di diritto”, ha detto il liberale Guy Verhofstadt. Dopo essere stati “sempre all’avanguardia sulla condizionalità”, i tedeschi hanno presentato una proposta “senza denti”.

 


Polonia e Ungheria prendono in ostaggio i Ventisette. I voti sul compromesso tedesco, i negoziati nel Consiglio  europeo e con il Pe



I voti e i veti. Il fatto è che la Germania ha dovuto fare una scelta tra l’urgenza del Recovery fund – bisogna fare in fretta, i fondi servono – e i principi dello stato di diritto. In parte questo è dovuto al ruolo di presidente di turno dell’Ue : più che rappresentare la posizione di Berlino, Clauss deve fare “l’honest broker”, il mediatore onesto, tra gli altri 26 cercando compromessi dentro al Consiglio. Ma il rischio di paralisi sul bilancio dell’Ue e sul Recovery fund è reale, con conseguente ritardo nel lancio dei programmi e nell’erogazione dei 750 miliardi promessi per la ripresa post Covid. Di qui la decisione di Italia, Francia e Spagna di sostenere il tentativo di Clauss. Il voto italiano ieri è stato “decisivo” per far passare a maggioranza il compromesso tedesco sullo stato di diritto, dicono alcune fonti europee. Alcuni diplomatici dei tre paesi hanno accusato i cosiddetti paesi frugali (quelli che resero il negoziato sul Recovery fund molto complesso e gli stessi che oggi dicono che la proposta tedesca sullo stato di diritto è un cedimento) di manovrare segretamente contro il Recovery fund. In realtà, chi tiene in ostaggio il pacchetto di aiuti ricattando tutti gli altri paesi sono Ungheria e Polonia. Venerdì gli ambasciatori di Budapest e Varsavia hanno bloccato la cosiddetta “decisione sulle risorse proprie”, che è essenziale per il Recovery fund. Serve ad alzare il tetto del bilancio 2021-27 dell’Ue, consentendo alla Commissione di usare il margine aggiuntivo come garanzia per andare sui mercati a raccogliere risorse per finanziare il Recovery fund. Il governo di Viktor Orbán aveva esplicitamente minacciato di bloccare la decisione sulle risorse proprie, che deve anche essere ratificata dai parlamenti nazionali. Il compromesso tedesco sul meccanismo sullo stato di diritto avrebbe dovuto rassicurare Ungheria e Polonia. La proposta originale della Commissione del 2018 è stata considerevolmente annacquata. Le condizioni per sospendere i fondi europei per i paesi che violano lo stato di diritto sono decisamente meno stringenti. La condizionalità scatta solo in caso di violazione dei princìpi dello stato di diritto, e non più se si riscontrano “deficienze generalizzate”. Cambia il metodo di voto in Consiglio, consentendo a Polonia e Ungheria di organizzare più facilmente minoranze di blocco. Infine, la presidenza tedesca ha introdotto un “freno di emergenza” che consente a un paese minacciato da sanzioni di portare la questione al Consiglio europeo, congelando la decisione sulla sospensione dei fondi europei.

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Il compromesso comunque non è bastato. Il compromesso della Germania non è bastato a mettere tutti i 27 d’accordo. Non solo Ungheria e Polonia ieri hanno votato contro, ma continuano a tenere in ostaggio la decisione sulle risorse proprie. Lo stesso vale – per ragioni opposte – per i paesi frugali, ai quali si sono aggiunti Belgio e Lussemburgo: se uno solo del gruppo dei sette userà il veto riguardo alla decisione sulle risorse proprie perché insoddisfatto dal compromesso sullo stato di diritto, il Recovery fund sarà bloccato. Anche il Parlamento europeo può giocare la carta del veto sul bilancio europeo, che potrebbe bloccare tutto il pacchetto. La tattica tedesca è di usare la minaccia di un rinvio per costringere ogni paese a rinunciare ai veti. Tutti sono di fronte allo stesso dilemma finanziario, politico e morale: meglio i 1.100 miliardi del bilancio europeo e i 750 miliardi del Recovery fund subito, oppure difendere democrazia e stato di diritto fino alla fine?

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Come sta lo stato di diritto in Ue? Ieri mentre la presidenza tedesca otteneva il mandato per negoziare con il Parlamento europeo, la Commissione ha pubblicato il rapporto annuale sullo stato di diritto negli stati membri. La relazione, approvata dal collegio dei commissari, prende in esame quattro aspetti delle democrazie dei ventisette: il sistema giudiziario, il pluralismo, la lotta alla corruzione e i contropoteri istituzionali. Se il rapporto tra queste quattro componenti non viene rispettato, ha detto la vicepresidente Vera Jourová, si crea un “cocktail imbevibile”. Quindi, in Unione europea lo stato di diritto come sta? Non bene come dovrebbe stare in ventisette democrazie. La situazione del sistema giudiziario secondo il rapporto, è “gravemente preoccupante” in Ungheria e Polonia ma non mancano motivi di allarme  anche in altri paesi: Bulgaria, Romania, Croazia e Slovacchia. La Commissione esprime preoccupazione per la politicizzazione delle Authority sulle comunicazioni e per le pressioni sui media in Ungheria, Polonia e a Malta. Ci sono stati attacchi contro i giornalisti in Bulgaria, Croazia, Ungheria, Slovenia e Spagna. Per quanto riguarda la corruzione i sorvegliati speciali sono: Bulgaria, Croazia, Slovacchia, Repubblica ceca, Ungheria e Polonia. Nella parte che riguarda l’Italia invece, la Commissione denuncia che alcune ong, soprattutto quelle che si occupano di immigrazione, sono soggette a “campagne diffamatorie”. L’Italia viene criticata per non aver istituito un organismo indipendente per monitorare il rispetto dei diritti fondamentali e invece viene lodata per la legge anticorruzione adottata nel 2019. 

 

Macron nei paesi baltici. Macron è tornato ieri da una visita di tre giorni in Lituania e Lettonia dove si è occupato di molte cose ma ha ripetuto spessissimo una parola che tra i baltici non è molto gradita: Russia. Ci sono stati piccoli episodi di incomunicabilità in cui il presidente francese continuava a sottolineare quanto sia necessario il dialogo, quanto sia importante riprendere i rapporti con Mosca. Di fronte all’insistenza dell’ospite, i capi di stato lituano e lettone  sono rimasti calmi, ma le loro posizioni e paure  in Europa sono ben note. Durante l’incontro con il presidente lettone, Egils Levits, Macron ha detto di essere consapevole dei problemi che Riga ha avuto con il suo vicinato, della sua storia, ed è in questo spirito di comprensione e di protezione che la Francia vorrebbe rilanciare un “dialogo strategico con la Russia”. Ma Lituania e Lettonia sanno che il dialogo è difficile, anzi impossibile.  Macron ha anche fatto visita a trecento soldati francesi stanziati a Rukla, in Lituania, e ha detto che ai confini dell’Ue si gioca la sicurezza di tutti. Non ha spiegato, come ha fatto notare la giornalista di Politico Rym Momtaz che lo ha seguito in questo viaggio, che se c’è da proteggersi, su quei confini, è soprattutto dalla Russia. La morbidezza di Macron nei confronti del Cremlino è parte del suo progetto di creare un’autonomia strategica per l’Unione europea, ma ci sono punti in cui non riesce ad andare d’accordo con i suoi colleghi baltici e neppure con la Polonia, che hanno ragioni storiche ben fondate per diffidare di Mosca. Altro punto su cui Macron e i baltici non riescono proprio ad andare d’accordo riguarda la Nato. Il presidente francese crede che l’Ue dovrebbe creare un sistema di difesa complementare al progetto transatlantico, mentre per questi paesi, che si sentono molto ben protetti dallo scudo della Nato, qualsiasi piano alternativo rischia di ledere i rapporti con gli Stati Uniti. L’indipendenza, o meglio l’autonomia che Macron auspica coinvolge anche le armi, in un incontro all’Università di Vilnius ha detto che l’Unione ha accettato di rendersi dipendente dal punto di vista strategico, e non può accettare di vivere in un mondo bipolare fatto da Stati Uniti e Cina. In questo viaggio tra le incomprensioni e i punti di attrito – la visita è stata molto cordiale in realtà ma in un’atmosfera di sfumata incomunicabilità – Macron ha anche incontrato la leader dell’opposizione bielorussa Svjatlana Tikhanovskaja che gli ha chiesto qualche consiglio. Il presidente le ha assicurato che farà qualsiasi cosa per aiutare i bielorussi, che ci saranno sanzioni contro il regime di Minsk da parte dell’Ue e anche dialogo con Mosca, su questo in realtà la Tikhanovskaja non la pensa come lituani e lettoni, sa che per far cedere Lukashenka bisognerà parlare con Putin. La prossima a incontrare la Tikhanovskaja sarà Angela Merkel: la statura internazionale della candidata poco generosamente conosciuta come “l’ex casalinga moglie di un blogger” si fa sempre più grande.


 

In lotta per   Strasburgo. C’è un altro punto della visita di Macron nei paesi baltici che merita una descrizione tutta per sé. In questi giorni il presidente francese ha un tormento grandissimo, non fa altro che pensare e che parlare della sede del Parlamento di Strasburgo. Il fatto è che il presidente del Pe, David Sassoli, ha annullato ancora una volta la plenaria a Strasburgo – gli eurodeputati non vanno più nella sede francese dall’inizio della pandemia – ha assicurato che si tornerà presto nella città francese, ma per adesso è più sicuro rimanere tutti a Bruxelles. Macron gli ha scritto dicendogli che sarebbe il caso di riconsiderare Strasburgo – “dobbiamo guardare al futuro per sistemare la situazione il più rapidamente possibile ”. Il suo tormento per la città Macron se lo è portato fino alle rive del Baltico e per parlare delle battaglie che ci sono da combattere nell’Ue ha fatto proprio l’esempio della sua missione ardimentosa per salvare il Parlamento di Strasburgo. E sempre agli studenti riuniti all’Università di Vilnius ha detto: “In questo momento sto lottando con le unghie e con i denti perché il Pe si riunisca a Strasburgo, perché se noi accettiamo che il Parlamento si incontri soltanto a Bruxelles siamo fregati, tra dieci anni tutto avverrà a Bruxelles, le persone si incontreranno soltanto a Bruxelles (...) questa non è l’Europa”. Tom Nuttall dell’Economist ha commentato su Twitter: “E’ davvero confortante vedere come anche un uomo intelligente come Macron sia in grado di dire certe sciocchezze”.

 


La visita di Macron nei paesi baltici, tra il dialogo con la Russia e l’ossessione di far tornare in attività la sede di Strasburgo



Oggi si apre il vertice europeo slittato dalla settimana scorsa a causa dell’autoquarantena del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. In agenda ci sono molti temi e soprattutto le aspettative sono alte. Andrew Moravcsik, direttore del programma sull’Unione europea dell’Università di Princeton, ha scritto qualche giorno fa su Foreign Policy che analisti, giornalisti, diplomatici e politici hanno da sempre la tendenza a sottostimare l’Europa, a prevedere per il progetto europeo collassi inevitabili – sull’allargamento, sulla crisi economica, sulla pandemia. Ma Moravcsik dice che l’ultimo decennio mostra che Bruxelles è una capitale ben più solida e intelligente di Pechino, Londra, Mosca e Washington. Molti americani, come abbiamo visto in questi mesi di epidemia, hanno preso a guardare  l’Europa con invidia, stravolti come sono dal loro attuale presidente. L’Europa se la merita, questa invidia, anche se ha un effetto collaterale: l’aspettativa, a volte la pretesa che l’Europa si comporti con la stessa fermezza che ha dimostrato negli ultimi mesi. Wolfgang Munchau ha scritto questa settimana la sua ultima column per il Financial Times (continueremo a leggerlo su EuroIntelligence) in cui prova a spiegare come questo meccanismo delle attese e delle pretese possa essere pericoloso: “Ci sono molte storie che ci dicono cosa succede quando ripeti a te stesso, ai tuoi elettori, ai tuoi lettori o ai tuoi clienti la stessa storia troppe volte. E quando ci credi tu stesso. Il successo a volte parte dal dubbio, seguito dal coraggio di esplorare narrazioni differenti”. Che è un modo per dire che non si può dare nulla per scontato: la solidità dell’Europa, la sua capacità di ottenere compromessi virtuosi, la sua determinazione. Ci vuole cura e attenzione anche nell’essere forti, anzi forse proprio perché si è forti: vale se le minacce vengono da fuori, vale ancora di più se chi ti tiene in ostaggio abita dentro casa tua. 


(ha collaborato David Carretta)

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