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E a palazzo come va?

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Governare il Covid, fare opposizione durante il Covid. Viaggio negli equilibri politici d’Europa ora che il motore franco-tedesco ci regala il nostro “momento Hamilton”

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Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno fatto una proposta di aiuto all’Europa che è una rivoluzione, non solo per la generosità – 500 miliardi di euro – ma anche perché apre la strada a un debito comunitario, a una fiscalità condivisa, a quella maggiore integrazione che l’Unione europea cerca e respinge e ricerca da molti anni. Avete presente il punto in cui solidarietà e responsabilità s’incontrano, l’equilibrio della convivenza europea? Ecco. “Di nuovo l’amore”, ha titolato la posatissima Zeit tedesca raccontando l’incontro e la conferenza stampa del presidente francese e della cancelliera tedesca: amore tra i due leader, amore per un progetto comune. C’è chi azzarda e chiama questo “il momento Hamilton” dell’Europa. Hamilton è uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, il più pop grazie al celebre musical di Lin-Manuel Miranda (che il 3 luglio sarà su Disney+ e non vediamo l’ora) e il primo segretario al Tesoro della storia americana. A scomodarlo per primo è stato Henrik Enderlein, direttore dell’Hertie School di Berlino, che su Twitter ha scritto: “L’assunzione a livello federale dei debiti statali ideata da Alexander Hamilton giocò un ruolo cruciale nella formazione dell’identità degli Stati Uniti”. Il “momento hamiltoniano” dell’Ue, dice Enderlein, rompe il tabù tedesco sulla condivisione del debito e soprattutto costruisce identità europea. Il primo esponente politico a utilizzare il simbolismo hamiltoniano – che ricorda anche un’America che ora proprio non riusciamo più a vedere: l’America che ispira – è stato Olaf Scholz, ministro delle Finanze tedesco, socialdemocratico. Il momento sembra storico ma, come tutte le rivoluzioni, va digerito. E c’è chi non ne vuole sapere.

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Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno fatto una proposta di aiuto all’Europa che è una rivoluzione, non solo per la generosità – 500 miliardi di euro – ma anche perché apre la strada a un debito comunitario, a una fiscalità condivisa, a quella maggiore integrazione che l’Unione europea cerca e respinge e ricerca da molti anni. Avete presente il punto in cui solidarietà e responsabilità s’incontrano, l’equilibrio della convivenza europea? Ecco. “Di nuovo l’amore”, ha titolato la posatissima Zeit tedesca raccontando l’incontro e la conferenza stampa del presidente francese e della cancelliera tedesca: amore tra i due leader, amore per un progetto comune. C’è chi azzarda e chiama questo “il momento Hamilton” dell’Europa. Hamilton è uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, il più pop grazie al celebre musical di Lin-Manuel Miranda (che il 3 luglio sarà su Disney+ e non vediamo l’ora) e il primo segretario al Tesoro della storia americana. A scomodarlo per primo è stato Henrik Enderlein, direttore dell’Hertie School di Berlino, che su Twitter ha scritto: “L’assunzione a livello federale dei debiti statali ideata da Alexander Hamilton giocò un ruolo cruciale nella formazione dell’identità degli Stati Uniti”. Il “momento hamiltoniano” dell’Ue, dice Enderlein, rompe il tabù tedesco sulla condivisione del debito e soprattutto costruisce identità europea. Il primo esponente politico a utilizzare il simbolismo hamiltoniano – che ricorda anche un’America che ora proprio non riusciamo più a vedere: l’America che ispira – è stato Olaf Scholz, ministro delle Finanze tedesco, socialdemocratico. Il momento sembra storico ma, come tutte le rivoluzioni, va digerito. E c’è chi non ne vuole sapere.

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L’opposizione austriaca. Nel gruppo degli scontenti, che forse sono anche incontentabili, c’è l’Austria, con il suo cancelliere-Wunderkind Sebastian Kurz che cerca di afferrare lo scettro del rigore ora che (persino) la Merkel ha deciso di non brandirlo. Kurz, che guida i cosiddetti frugali, ha detto ieri al quotidiano Oberösterreichischen Nachrichten che vuole mostrare solidarietà, ma i mezzi per attuarla sono “i mutui e non i contributi”. Il cancelliere austriaco annuncerà nei prossimi giorni una controproposta, si può “far ripartire l’economia ed evitare la comunione del debito”, ha ribadito, “esiste più di una definizione di ‘solidarietà’”. Nelle cinquanta sfumature di questa solidarietà austriaca c’è anche un posto per l’Italia: sempre ieri Kurz ha detto che non intende aprire i confini con l’Italia, sarebbe davvero troppo pericoloso. Sul Brennero si sono ormai consumate tante di quelle polemiche politiche che abbiamo perso il conto, ma Kurz è ostinato, e per noi dirimpettai questa fase in cui i primi della classe del coronavirus fanno accordi selettivi sulla riapertura dei confini rende ancora più punitivo il confinamento degli altri. Kurz ha intenzione di cementare l’alleanza con gli altri paesi “frugali”, in particolare l’Olanda, sulla proposta franco-tedesca e vorrebbe far leva anche sugli oppositori interni della Merkel, nella Germania del rigore. Ma nella Cdu, che da tempo cerca di ribellarsi alla moderazione merkeliana, le voci di dissenso sono poche, e temono le cattive compagnie. E’ probabile che il rigore sia ripreso in mano dall’AfD che prima della svolta nero-xenofoba nasceva proprio su una linea di austerità, ancora più austera della linea merkeliana (erano i tempi della crisi greca). Ma esiste un veto nella Cdu nei confronti dell’AfD, no patti no alleanze, e pure Kurz è già stato scottato da questo genere di politici (la sorella austriaca dell’AfD, l’Fpö, era al governo con Kurz, ma è finita in uno scandalo di affari con i russi condannando quell’esecutivo alla sfiducia). La battaglia contro la proposta Merkel-Macron rischia di ridisegnare anche i contorni delle alleanze di governo: per questo abbiamo deciso di sbirciare le situazioni politiche nazionali, a quasi due mesi dall’inizio dei lockdown, quando si parlava tantissimo di unità nazionale e di convergenze inevitabili. Com’è andata?

 

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L’Austria rifiuta la proposta Merkel-Macron, prende la guida dei “frugali” e cerca punti d’appoggio anche dentro alla Germania.  L’Olanda che vota a marzo 2021 ha iniziato la campagna elettorale durante la pandemia e la sfida più che all’Aia si gioca a Bruxelles


 

Una premessa sulla luna di miele. Qualche settimana fa, guardando i dati strabilianti del consenso dei leader europei, avevamo chiesto a Giovanni Diamanti, cofondatore di YouTrend, quanto sarebbe durato questo effetto, che ha un nome: rally ‘round the flag. Ci aveva detto di non abituarci troppo, che con gli effetti della riapertura le cose sarebbero cambiate. “La fase due dell’opinione pubblica non c’è ancora”, ci dice oggi Diamanti, “ma i leader iniziano a flettere. I governi europei, soprattutto Conte, ma anche Merkel, anche Johnson e in parte Macron, mantengono un livello di consenso più elevato rispetto alla loro media. La discesa “è fisiologica” e forse “è un sintomo del fatto che la percezione della crisi sta leggermente passando e si sta riacutizzando la polarizzazione politica”. Luna di miele finita? “La patina di fair play”, dice Diamanti, “sta venendo meno. Il fatto che l’indice di gradimento dei leader si stia flettendo indica che la polarizzazione politica, una delle grandi caratteristiche della politica contemporanea, sta tornando”.

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Macron senza maggioranza. Due giorni fa, il partito del presidente francese Macron ha perso la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale: ha 288 seggi, quando ne servono 289. Il gruppo indipendente di diciassette ex marcheurs si chiama “Ecologie, démocratie, solidarité” e dice di non essere “un gruppo di opposizione, ma un gruppo positivo, di proposte, di coalizione, e di innovazione politica”. Il copresidente del gruppo è Matthieu Orphelin, che è molto vicino all’ex ministro-star dell’Ambiente, Nicolas Hulot, e tra i nomi noti c’è un ribelle macroniano famoso: Cédric Villani, ex candidato sindaco di Parigi che ha cercato di conquistare il cuore di Macron senza riuscirci, e se l’è presa tantissimo (in ogni caso per ora la socialista Anne Hidalgo batte tutti alle comunali). La perdita della maggioranza del partito presidenziale ha conquistato molti titoli, ma in realtà l’operazione è andata meno bene del previsto: pareva che la fronda comprendesse 54 parlamentari, ma ne è rimasto un quarto. Per di più molti di questi frondisti dicono che sostanzialmente voteranno sempre con il governo, volevano soltanto svincolarsi dai cavilli del partito, che è come dire: la République en marche è diventata adulta, ha persino una fronda. Ed è come dire un’altra cosa: fare opposizione oggi non è semplice. Macron sta perdendo popolarità, ci sono molte controversie sulla gestione della pandemia (come dappertutto) e la riapertura a chiazze rosse e verdi sta creando molti squilibri interni. Per questo tra tutti i paesi europei, la Francia è stata quella che più ha sognato un governo di unità nazionale, con pettegolezzi insistenti sul ritorno di leader come l’ex ministro socialista Dominique Strauss-Kahn e l’ex premier Manuel Valls (la sua campagna catalana è stata un fallimento). Non se n’è fatto nulla, anche perché a differenza di altri paesi europei, l’opposizione populista qui è stata più accorta delle altre. Marine Le Pen ha inizialmente fatto gli stessi errori di Matteo Salvini – teniamo aperto, chiudiamo tutto – ma poi ha cercato di tenersi lontana dalle polemiche aspettando il momento giusto. Che è ormai qui: l’occasione dei sovranisti e dei populisti sono l’impoverimento e la rabbia, cioè le conseguenze della crisi economica. La Le Pen ambisce a mettersi a capo della prossima ondata di gilet gialli, magari senza nemmeno aver bisogno del gilet.

 

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Macron ha perso la maggioranza in Parlamento, la Le Pen aspetta di poter riprendere il discorso interrotto dei gilet gialli. In Spagna i movimenti politici da notare sono tutti a destra: l’apertura di Ciudadanos verso il governo e Vox che vuole copiare gli Indignados


 

L’unità impossibile /1. Per François-Xavier Bourmaud, giornalista politico del Figaro e autore di due libri su Macron, “il centro di gravità della maggioranza si sposterà ora verso il MoDem di François Bayrou, che avrà più peso nelle scelte”. Senza Bayrou, il governo “non avrebbe più la maggioranza”, ci dice Bourmaud. Lo slittamento verso il centrodestra, tuttavia, “non cambierà molte cose, perché la politica dell’esecutivo, fin dall’inizio, è stata all’ascolto della sua ‘aile droite’”. Sulle chiacchierate divergenze tra Macron e il suo primo ministro, Edouard Philippe, Bourmaud dice che sicuramente “ci sono state delle tensioni”, ma non così gravi da causare un divorzio nel giro di poco tempo. Anche perché con la crisi “la popolarità di Philippe è salita, e quando un premier è popolare protegge il suo presidente”. Meglio vicino che lontano, insomma, non sia mai che a qualche gollista venga l’idea di creare un movimento attorno a Philippe. Nelle ultime settimane, si è parlato molto di “union sacrée”, ma secondo Bourmaud “vista la situazione politica del paese, non può avere nessuna applicazione pratica”. “L’unità nazionale implicherebbe di imbarcare nella scialuppa di governo Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon, presidente della France insoumise, e ciò è impossibile. ‘Union sacrée’ è un termine che suona bene, ma che attualmente non può sfociare in nulla di concreto”. Gli irriducibili dei gilet gialli, ora che è iniziato il deconfinamento, si preparano a tornare nelle piazze. “Probabilmente non ci saranno più le grandi mobilitazioni cui abbiamo assistito nel 2018 e nella prima parte del 2019, ma torneranno a farsi sentire. Tra di loro si è creato un legame di amicizia che va oltre la solidarietà tra manifestanti”. C’è infine uno scenario che preoccupa molto i servizi segreti interni di Parigi. “E’ in corso una strutturazione dell’estrema sinistra in azioni radicali e violente”, dice Bourmaud. Il timore è che si crei “un legame tra l’ultrasinistra facinorosa e ciò che resta dei gilet gialli”.

L’unità impossibile /2. Helen Lewis ha scritto un articolo sull’Atlantic che sembra un appello contro la luna di miele: “Le crisi non sono il momento dell’unità politica”. La Lewis parla del caso inglese (tecnicamente non è più Ue, ma per noi sì) e in particolare del leader del Labour, Keir Starmer. Anche nel Regno Unito si è discusso molto di unità nazionale, soprattutto quando il premier, Boris Johnson, è stato ricoverato a causa del coronavirus. Starmer è stato eletto ad aprile, quando il lockdown era già iniziato: è “nato come un leader di crisi”, scrive la Lewis. Dev’essere per questo che ha saputo trovare un equilibrio tra la solidarietà nei confronti di un governo che sta gestendo una crisi enorme e la denuncia degli errori di alcune politiche. Johnson sembra in difficoltà, persino i suoi sodali lo ammettono a denti stretti. Ieri c’è stato il confronto in Parlamento tra il premier e il leader dell’opposizione, un altro esempio dell’equilibrio raggiunto da Starmer, e ci sono giornalisti veterani che dicono di essersi rimessi ad aspettare il mercoledì trepidanti. Il leader del Labour invece aspetta altro, cioè che tanto fervore diventi consenso: per ora non è così.

L’unità impossibile /3. Pedro Sánchez è stato cauto nella gestione della pandemia e anche adesso, in fase di riapertura, procede con la stessa cautela, attento, a ogni passo, a non far tremare la Spagna e nemmeno il suo fragile governo. Non ha potuto fare sfoggio di forza da grande leader, ogni decisione è stata conquistata in Parlamento, anche ieri è riuscito a ottenere la proroga dello stato di emergenza per due settimane anziché per un mese, come avrebbe voluto. Gli spagnoli hanno apprezzato l’operato anche se Sánchez non è mai arrivato alle percentuali da capogiro di Giuseppe Conte o di Sebastian Kurz. In aprile l’87,8 per cento degli spagnoli pensava che tutti i partiti politici avrebbero dovuto sostenere il governo lasciando da parte le critiche, ma i numeri stanno cambiando e le persone che adesso pensano che l’opposizione dovrebbe ricominciare a fare l’opposizione rappresentano il 19,7 per cento. Quel che si muove si muove a destra nella politica spagnola, dove sono Ciudadanos e Vox a determinare i cambiamenti più importanti, che vanno in senso opposto, ma che possono avere ricadute importanti. Ciudadanos è stato l’artefice di una nuova apertura verso il premier, i suoi voti sono stati fondamentali per prorogare lo stato di emergenza. Ieri però il portavoce del partito ha messo le cose in chiaro e ha ricordato al Psoe che Ciudadanos non è un nuovo socio, non è una stampella, ma è un partito moderato e di centro, un partito responsabile. L’altro partito che si sta muovendo a destra è Vox, l’estrema destra il cui leader, Santiago Abascal, è risultato positivo al coronavirus e il partito ha in mente rivolte contro il governo, rivolte di piazza, una strategia movimentata ispirata all’impensabile: ricordate gli indignados? Il 15 maggio scorso Vox ha pubblicato un video per ricordare le proteste sotto la Puerta del Sol a Madrid nel 2011, le stesse che hanno dato origine a Podemos, che adesso governa assieme a Sánchez e che la crisi sanitaria potrebbe aver reso più ragionevole.

L’Olanda per tre. Joris Luyendijk è un giornalista olandese che è intervenuto spesso nel dibattito politico del suo paese, che secondo lui ha una caratteristica: le questioni di politica interna si giocano a Bruxelles, non nei Paesi Bassi. Il governo olandese è formato da una coalizione di quattro partiti: liberali, popolari, cristiano-democratici e calvinisti dell’Unione cristiana. Un’alleanza nata nel 2017 per bloccare l’avanzata dei sovranisti, ma al suo interno i rapporti di forza stanno cambiando e in vista del prossimo voto, a marzo 2021, tutti hanno pensato di iniziare la campagna elettorale durante la pandemia. Il premier Mark Rutte ha fatto pubblicare un video in cui assicura a un netturbino che non darà i suoi soldi agli italiani. “No, no, no”, risponde il premier. E anche per questo il ministro delle Finanze Woepke Hoekstra ha voluto mostrarsi così intransigente durante le trattative europee. La lotta è tutta dentro alla maggioranza, Rutte nei sondaggi va molto bene, il suo partito Vvd ha il 35 per cento e va meglio di tutti, potrebbe facilmente essere riconfermato. Hoekstra sta cercando di emergere sia dentro al suo governo sia dentro al suo partito, la Cda, di cui ancora non è leader. La durezza dimostrata in Europa e la nuova partita che si apre tra i “frugali” verranno sfruttate anche internamente. C’è un altro contendente che pure ha avuto un ruolo da protagonista durante la pandemia: il ministro della Sanità, Hugo de Jonge, della Cda e aspirante leader. La sfida a tre è su due piani. La prima la giocano tutti uniti per non cedere consensi all’estrema destra di Thierry Baudet. La seconda, che è più sottile, la giocano uno contro l’altro in un clima sereno, da luna di miele. Per ora sta vincendo Rutte, ma Hoekstra, l’alfiere del rigore, è un tipo cocciuto e metodico. Dispiace per Hugo de Jonge, che probabilmente sarà il primo di cui si smetterà di parlare.

La scorsa settimana i polacchi hanno ascoltato e canticchiato spesso una canzone, che è finita in cima alla classifica di Radio Trojka, che da trentotto anni si occupa delle classifiche settimanali della musica polacca. La canzone però è improvvisamente scomparsa: dalla classifica, dalla radio, dal sito della radio. Non c’era più. Il rocker Kazik canta “Il tuo dolore è meglio del mio”, e il dolore in questione è di Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito di governo PiS, che il mese scorso, per l’anniversario della morte di suo fratello, il gemello Lech, avvenuta quando era presidente durante un incidente aereo, è potuto andare al cimitero Powazkowski di Varsavia. In realtà la tomba di suo fratello non si trova lì ma nel castello del Wawel a Cracovia dove sono seppelliti i re polacchi, ma lì c’è un’iscrizione. In quel periodo i cimiteri erano chiusi, ma non per lui, perché “il tuo dolore è meglio del mio”. Mentre in Polonia si parlava di elezioni, dovevano tenersi il 10 maggio, e di colpi notturni alla democrazia polacca da parte del partito di governo che voleva votare a tutti i costi, la canzone sul cimitero è diventata un po’ l’inno dell’opposizione. Scelta bizzarra, che ha fatto venire giù una montagna di critiche, soprattutto contro la radio da cui si sono dimessi molti giornalisti. Nel frattempo il maggior partito di opposizione, il Ko, ha cambiato il suo candidato alle presidenziali, che ancora non si sa quando si terranno. E’ stato presentato Rafal Trzaskowski, attuale sindaco di Varsavia, più giovane, molto amato, spostato un po’ più a sinistra e decisamente più social. Non ha ancora detto nulla sulla canzone, forse della classifica dei dolori è meglio non parlare ora che stiamo vivendo il nostro momento hamiltoniano: se davvero cerchiamo di costruire un’integrazione che non parli di lacrime.

 

(ha collaborato da Parigi Mauro Zanon)

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