Tanta voglia di exit strategy
Nell’Europa che litiga per i soldi c’è fretta di uscire di casa: ma sarà sicuro? Ecco i metodi adottati in alcuni paesi. Lo scandalo del prof. Ferrari e il revival della ciambella
Nella serata dell’Eurogruppo senza risultati certi, uno di quei momenti in cui la convivenza europea sembra sul punto di spezzarsi e il sospetto prende il sopravvento sulla solidarietà, Mauro Ferrari, presidente del Consiglio europeo di ricerca, ha reso note le sue dimissioni. Dimissioni polemiche, un atto d’accusa (un altro) contro l’Europa che non capisce, che non aiuta, che non sostiene, che finge di esserci ma è assente. In questa stagione in cui gli esperti hanno di nuovo un ruolo rilevante, le parole del primo scienziato d’Europa, diciamo così, hanno avuto un effetto dirompente, ancorché esagerato. Perché ieri il comitato scientifico del Consiglio di ricerca ha reso note le sue ragioni che di certo ridimensionano quel che Ferrari aveva venduto come l’esempio perfetto dell’inutilità pericolosa dell’Europa.
Ferrari aveva assunto l’incarico il 1° gennaio scorso e in una lettera pubblicata ieri dal Corriere della Sera ha spiegato che la sua “dedizione verso gli ideali di un’Europa unita” e il suo “desiderio di essere al servizio” di questo progetto si sono scontrate contro “una realtà diversa”. Ferrari dice che i “segnali inquietanti” che aveva raccolto fin dall’inizio si sono “trasformati in raggelanti certezze”: lui cercava metodi per combattere la pandemia, ma la burocrazia europea lo ha bloccato. “Il mio idealismo”, come lo definisce lui, contro la solita Europa divisa, poco coordinata, poco solidale. Ferrari “torna al fronte”, dice, dispenserà consigli su richiesta, ma ha “visto abbastanza”.
Ieri il comitato scientifico del Consiglio di ricerca ha pubblicato le sue motivazioni, rivedendo “con dispiacere” la versione fornita da Ferrari, definita “nei migliori dei casi reticente”. Il 27 marzo, tutti i 19 membri attivi del Consiglio scientifico avevano “individualmente e all’unanimità” richiesto le dimissioni di Ferrari. Per quattro ragioni: il professore “ha mostrato una completa mancanza di apprezzamento nei confronti della raison d’etre del Consiglio” e “non ha compreso il contesto in cui il Consiglio lavora all’interno del programma europeo di ricerca e innovazione Horizon 2020”. Fin dall’inizio – questa è la seconda ragione – Ferrari “ha mostrato una mancanza di coinvolgimento, non ha partecipato a incontri importanti, ha passato molto tempo negli Stati Uniti e non ha difeso il programma e la missione del Consiglio pur rappresentandolo”. In più il professore – siamo alla terza ragione – ha preso “alcune iniziative personali all’interno della Commissione, senza consultarsi, senza metterne a conoscenza il Comitato scientifico, e usando la propria posizione per promuovere le proprie idee”. L’ultima ragione ha l’aria del conflitto d’interessi, di certo c’è una questione esplicita di “incompatibilità”: secondo il Comitato scientifico, il professor Ferrari era “coinvolto in molte iniziative esterne, accademiche e commerciali, che gli hanno portato via molto tempo e che in alcune occasioni sembravano avere la precedenza rispetto all’impegno preso al Consiglio”. Il comunicato ribadisce che di fatto c’era stato un voto di sfiducia nei confronti di Ferrari e soprattutto, “nel caso ci sia qualche dubbio”, che il Consiglio – vengono elencate molte iniziative già avviate – “sostiene completamente l’idea che la ricerca scientifica offrirà le soluzioni migliori per fermare le pandemie come quella del covid-19”. Nel maggio dell’anno scorso, il Foglio aveva scritto che la nomina europea di Ferrari pareva poco adeguata, viste le sue dichiarazioni favorevoli al cosiddetto “metodo Stamina”.
E le linee guida sulla fase 2 dell’Europa? Il progetto della Commissione di presentare ieri delle linee guida per uscire dal lockdown, per coordinare la riapertura nei 27 paesi membri, non ha avuto successo. Le richieste di una regia europea per gestire il coronavirus erano venute proprio dai governi nazionali, i quali, non appena hanno saputo che Ursula von der Leyen stava per pubblicare in conferenza stampa la sua exit strategy per tutti, hanno detto: un momento, qui ancora facciamo fatica a tenere la gente in casa e voi parlate di riaperture. Il rischio era di dare segnali contraddittori in un momento in cui c’è ancora bisogno di dire ai cittadini di restare a casa. Progettare la fine di un lockdown è materia delicata e non esiste una soluzione valida per tutte le nazioni, ognuna colpita in modo diverso. La Commissione, vista la contrarietà dei governi che hanno chiesto di essere coinvolti in questo piano, ha allora trasformato la presentazione della road map in un dibattito tra i commissari. Von der Leyen ha detto che ne parlerà “dopo Pasqua” – tutti nutrono grandi aspettative per questo “dopo Pasqua” – durante una conferenza stampa, quando il piano, la tabella di marcia, sarà pronta e accettata da tutti. Un’altra inversione a U, scrive Politico, che mette in luce gli attriti tra i governi e l’esecutivo dell’Unione. Nel frattempo, mentre von der Leyen prometteva di svelare la sua exit strategy e si illudeva di poter coordinare tutti, c’è chi una sua road map l’aveva già. Austria, Danimarca e Repubblica ceca sono pronte, con cautela. E poi c’è un rumor sulla Germania. Ovviamente, tutti per “dopo Pasqua”.
Riaprire – versione austriaca.
Austria in lockdown dall’11 marzo: 12547 casi, 243 morti. Zona più colpita: Tirolo.
Riaprire – versione danese.
Danimarca in lockdown dal 13 marzo: 4.978 casi, 203 morti. Zona più colpita: Copenaghen.
Riaprire – versione tedesca.
Germania, in lockdown dal 22 marzo: 109.178 casi, 2.066 morti. Zona più colpita: Nord Reno-Vestfalia.
Riaprire – versione ceca.
Repubblica ceca in lockdown dal 14 marzo: 4.828 casi, 80 morti. Zone più colpite: Praga e regione orientale di Olomouc, tra la Moravia e la Slesia.
Un futuro a ciambella. Ve la ricordate la teoria della ciambella? Se ne parlava un paio di anni fa quando l’economista di Oxford Kate Raworth aveva pubblicato il libro “Doughnut Economics: Seven Ways to Think Like a 21st Century Economist” che, scrive il Guardian, per molto tempo ha abbellito i comodini di personaggi come l’ex ministro per la Brexit David Davis. La teoria funzionava più o meno così: avete presente una ciambella di quelle con il buco? Bene, l’anello interno delimita il minimo necessario per condurre uno stile di vita buono che derivi dagli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, che chiamiamo “livello minimo sociale”. Questo è costituito da: cibo e acqua, lavoro, servizi, energia, istruzione, assistenza sanitaria, uguaglianza di genere, reddito e libertà di espressione. Una società che non raggiunge questi obiettivi minimi vive nel buco della ciambella. L’anello esterno invece è il limite ambientale, sarebbe a dire i confini oltre i quali il genere umano non dovrebbe andare per non danneggiare il clima, i suoli, gli oceani, lo strato di ozono, l’acqua dolce e l’abbondante biodiversità. Tra i due anelli c’è l’impasto, che dovrebbe essere fatto dalle esigenze dell’uomo e del pianeta, la parte che si mangia deve essere uno spazio sicuro e giusto per l’umanità, generato da uno sviluppo economico inclusivo e durevole. Il comune di Amsterdam per far rinascere la città dopo il coronavirus ha deciso di adottare questo modello a ciambella, il sindaco è convinto che possa servire a “superare gli effetti della crisi” e ha detto al Guardian di essersi coordinato con la Raworth che ha disegnato per Amsterdam una ciambella tutta sua con una particolare attenzione per il porto, che darà sì ricchezza, ma anche diseguaglianza (per non parlare dei combustibili fossili), dice la studiosa. La città olandese vuole diventare testimonial di un nuovo benessere che “sta nell’equilibrio”. Le crisi servono anche a questo, dice la Raworth, e confessa: prima del lockdown aveva portato la sua ciambella pure a Bruxelles.