Ansa

una digressione storica

Stadi di antisemitismo. I fatti di Amsterdam (e Berlino) tra ebraismo e sport

Daniela Santus

Tifosi del Maccabi provocatori e di  destra? Pregiudizi antiebraici anche nelle presunte motivazioni  delle aggressioni

All’indomani degli scontri di Amsterdam tra gruppi pro Palestina e tifosi israeliani del Maccabi, sui media e social media italiani molti hanno definito questi ultimi come tifosi di estrema destra, probabilmente senza conoscere la storia dello sport ebraico. Sì, perché la storia del Maccabi nasce prima dello Stato d’Israele. Credo sia corretto, al fine di comprendere “che cosa” è accaduto ad Amsterdam e sta accadendo anche in altre capitali europee, partire dalla conoscenza storica, senza la quale non possiamo esprimerci con cognizione di causa.

Storicamente, ebraismo e sport non sono mai andati d’accordo. Si può far risalire questa avversione al III secolo a. C., quando i greci governavano la Terra d’Israele. Allora gli ebrei vedevano lo sport come un concetto alieno imposto dai greci ed era raro che gruppi di atleti ebrei prendessero parte ai classici giochi olimpici poiché chi vi prendeva parte era obbligato a offrire doni alla divinità Ercole. Nel periodo romano, gli sport vennero poi associati alla crudeltà e alla violenza dei combattimenti dei gladiatori. Ciononostante, il re Erode costruì stadi in tutto il paese e incoraggiò competizioni di pugilato, tiro con l’arco, corsa e discipline legate alle lotte gladiatorie. Il che non cambiò tuttavia l’opinione degli ebrei che, per molti secoli, videro lo sport come il diavolo “ellenistico” da rigettare. Posizioni del genere persistono ancora oggi tra alcuni ebrei ultraortodossi. Qualcosa cominciò a cambiare nel Medioevo quando il filosofo ebreo Mosè Maimonide, che era anche rabbino ed eminente medico, sottolineò l’importanza della salute del corpo, poiché in questo albergano mente e anima. Riferimenti storici del periodo medioevale rivelano un aumento della popolarità dei giochi di palla e alcune disquisizioni rabbiniche vertono sulla possibilità o meno di praticare tali giochi nel giorno dello shabbath (sabato, il giorno sacro per gli ebrei). 

L’atteggiamento verso lo sport nell’èra moderna è stato tuttavia delineato agli inizi del Ventesimo secolo, proprio quando il movimento Maccabi, istituito in Europa, riesce a organizzare lo sport ebraico. Nel 1914 c’erano oltre 100 club con il nome Maccabi.  Nel 1932 si tenne, nell’allora Palestina del Mandato britannico, la prima “Maccabiade”: i Giochi olimpici ebraici internazionali, autorizzati dal Comitato internazionale olimpico. Vi parteciparono 500 atleti ebrei provenienti da 23 paesi. La seconda Maccabiade si svolse nel 1935 con un livello di partecipazione simile a quello della precedente edizione: molti atleti riuscirono a rimanere in Palestina, scampando così alla persecuzione nazista che minacciava l’Europa e che, di lì a poco, sarebbe stata la causa dello sterminio di sei milioni di ebrei, compresi tantissimi atleti. Nel 1938 si consumò il tradimento dell’Italia nei confronti dei suoi atleti ebrei. Ricordiamo, a testimonianza di ciò, le parole siglate su un registro del Coni: “In ottemperanza alle direttive che la politica del Regime ha stabilito in ogni attività della Nazione, per la salvaguardia della purezza della razza, il Coni ha provveduto alla esclusione di ogni elemento ebraico dai suoi quadri. Tale epurazione razziale è oggi completa”. Sospese a causa della Seconda guerra mondiale, le Maccabiadi ricominciarono nel 1950, due anni dopo la nascita dello Stato d’Israele e alcuni mesi dopo la fine della Prima guerra arabo-israeliana.

 

Di fatto le Maccabiadi non sono esclusivamente israeliane, in Europa infatti si svolge un’analoga competizione che ha avuto origine a Praga nel 1929. Le competizioni cercano di alternarsi con quelle israeliane, ogni due anni e, nonostante vengano definite “olimpiadi ebraiche” in quanto aperte agli atleti ebrei di qualunque nazione, per quanto concerne gli atleti israeliani essi sono ammessi a qualunque religione appartengano. Come ha avuto modo di sostenere Asalla Shahada, nuotatrice diciassettenne proveniente dal villaggio arabo di Sakhnin, dopo aver vinto la prima medaglia d’oro alle Maccabiadi del 2005: “Le Maccabiadi non sono solo per gli ebrei, sono per tutti gli israeliani e io sono un’israeliana orgogliosa”.

Tuttavia molti cominceranno a chiedersi da dove derivi l’identificazione politica della squadra di calcio Maccabi Tel Aviv che sta attualmente giocando in Europa League. Il movimento del Maccabi, a Gerusalemme, è stato inizialmente affiliato al Movimento sionistico generale, il precursore del Partito liberale che successivamente diviene parte del Likud. Ma il Maccabi – ironia della sorte per chi vuole vedere nel Maccabi un movimento di destra – divenne presto apolitico. Ciò è accaduto molto meno rapidamente con l’Hapoel (in italiano, “l’operaio”), che è stato fondato nel 1924 e affiliato all’ Histadrut – la Federazione generale del lavoro (il sindacato) – dominato dai successivi partiti laburisti. Lo scopo dichiarato dell’Hapoel, sin dal suo inizio, era di ispirazione socialista: intendeva cioè portare lo sport alle masse, non era sua intenzione produrre campioni. Tuttavia dalla nascita dello stato nel 1948, anche le squadre sportive più rappresentative dell’Hapoel sono soprattutto state mosse dalla volontà di essere rappresentative nei campionati. Soltanto il movimento sportivo Beitar, fondato nel 1924, era affiliato al Movimento revisionista di destra, mentre l’Elitzur, fondato nel 1939, venne costituito dal partito religioso Hapoel Mizrachi.  Si noti come tutti e tre questi movimenti sportivi siano nati in Terra d’Israele prima della nascita effettiva dello stato, a testimonianza della significativa e solida presenza ebraica in quella terra sotto Mandato britannico.

 

Che cosa ci insegna tutto ciò? Che per tutti i primi anni di esistenza dello stato, lo sport è stato indissolubilmente legato ai partiti politici, fatta proprio eccezione per il Maccabi. Soltanto a partire dagli anni Ottanta lo sport si è del tutto staccato dalla politica, sebbene i vari movimenti mantengano i vecchi legami. L’Hapoel è rimasto affiliato all’Histadrut, ma gran parte delle sue squadre sportive di maggior prestigio sono state vendute a imprenditori privati. La stessa cosa vale per il Beitar. L’Elitzur è invece rimasto legato alle sue radici religiose ed è per questo che, pur essendoci squadre di pallacanestro di spicco come “Elitzur Netanya”, non vi sono squadre dell’Elitzur di equivalente importanza nel calcio: infatti le partite del calcio professionistico, in Israele, si giocano principalmente di sabato (giorno in cui i religiosi rispettano il divieto assoluto di compiere alcun lavoro).

Ma se il legame tra sport e politica nel paese si è gradualmente allentato già a partire dagli anni Settanta, questo si è invece intensificato in campo internazionale, quando i vicini paesi arabi hanno tentato di isolare lo stato ebraico a partire dal 1973. E’ stato per questo motivo che Israele, espulso dalle federazioni sportive asiatiche, è stato accettato nell’ambito degli organismi sportivi europei: questo gli ha permesso di prender parte a molte delle più prestigiose competizioni a livello mondiale come i Campionati europei di atletica, di nuoto, le coppe messe in palio dalla Uefa, l’Eurolega di pallacanestro (vinti dal Maccabi Tel Aviv nel 1977, 1981, 1997, 2001, 2004, 2005, 2014) e tutti i maggiori tornei europei. Incredibilmente, da quando sono nati nel 1951, Israele non è mai stato ammesso a partecipare ai Giochi del Mediterraneo, ovvero a quelle Olimpiadi riservate agli atleti dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Una strana geografia plasmata dalla politica esclude Israele, che si affaccia sul Mediterraneo, e include San Marino, Andorra, Repubblica di Macedonia, Serbia, Kosovo, Portogallo.

Escludendo pertanto una vendetta politica contro tifosi israeliani che tifano per una squadra di destra, cosa possiamo evincere dai fatti di Amsterdam? Credo che termini come pogrom o antisemitismo vadano adoperati con prudenza e soltanto in contesti di certezza. Per questo le parole della squadra rivale calcistica cittadina – l’Hapoel Tel Aviv, la cui tifoseria è identificata come “di sinistra” – sono importanti per capire. In un comunicato il club scrive: “Siamo inorriditi dagli incidenti terribili e violenti di Amsterdam. Questo è un atto di terrore basato sul più profondo antisemitismo, che non fa altro che aumentare la portata dell’orrore e del dolore”. Dunque, antisemitismo. 

Sappiamo che i supporter di calcio non sono notoriamente delle novizie in gita con la madre superiora: bevono, fanno trambusto, cantano cori. In questo caso eravamo di fronte a giovani e meno giovani che si erano regalati una pausa in un luogo ritenuto sicuro: Amsterdam. Una pausa dai missili balistici dell’Iran, dalle sirene che ti tolgono il sonno, dai droni degli Houthi, dai razzi di Hezbollah e di Hamas che ti distruggono casa, se non la vita. Una pausa dall’angoscia quotidiana degli ostaggi in prigionia, dalla possibilità di essere chiamati per andare al fronte, dalle notizie degli amici caduti in combattimento. Hanno strappato una bandiera palestinese da un balcone? Sì, quando la caccia all’ebreo era già cominciata. Attacchi violenti che, come ormai sappiamo, erano stati organizzati da giorni. E non soltanto ad Amsterdam, non soltanto per quella bandiera strappata e neppure per l’ipotetica errata convinzione del Maccabi come squadra di destra. Diversamente non potrebbe spiegarsi quanto accaduto a Berlino, lo stesso giorno, nei confronti della squadra giovanile Maccabi Berlin: una squadra di ragazzini composta da ebrei e non ebrei tedeschi che, per tutta la durata della partita, hanno sentito cori Free Palestine dagli spalti e dagli stessi giocatori avversari, senza che gli arbitri – evidentemente impauriti – intervenissero. Ma dopo la partita la situazione è degenerata. I giocatori del Maccabi Berlin vengono insultati, minacciati e cacciati dal campo con bastoni e coltelli. Con quale colpa se non quella di essere ebrei?

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