Quanto è protetto il nucleare dell'Iran

Netanyahu parla con Biden e prepara la rappresaglia contro la Repubblica islamica. L'America non ha mai dato a Israele le bombe che potrebbero sfondare il programma atomico di Teheran

Cecilia Sala

Per sfondare i siti costruiti in profondità nella montagne servirebbero le bombe anti-bunker da quattordicimila chili, quelle che nessun presidente americano ha mai voluto dare allo stato ebraico. Né Joe Biden, né George W. Bush, né Donald Trump, che pure ha detto che Israele dovrebbe bombardare il programma atomico iraniano subito

Due anni fa l’intelligence americana e quella israeliana si accorsero che i pasdaran stavano scavando tunnel dentro una montagna accanto al sito atomico di Natanz, dove Teheran custodisce gran parte delle sue centrifughe per l’arricchimento dell’uranio: era la dimostrazione che gli iraniani stavano prendendo precauzioni per proteggersi dalle bombe anti-bunker. La vecchia centrale di Natanz è costruita soltanto tre piani sotto la superficie, il rifugio di Hezbollah a Beirut dove alla fine di settembre è stato recuperato il cadavere di Hassan Nasrallah era due piani sotto terra. Anche Natanz, come il quartier generale del partito di Dio, era un bersaglio alla portata delle bombe da mille chili che gli americani forniscono a Tsahal. Ma i pasdaran, consapevoli del rischio, si erano messi a scavare le montagne per tempo  per proteggere meglio il  programma nucleare. Oggi per sfondare i siti costruiti in profondità nella roccia servirebbero le bombe anti-bunker da quattordicimila chili, quelle che nessun presidente americano ha mai voluto dare allo stato ebraico. Né Joe Biden, né George W. Bush, né Donald Trump, che pure ha detto che Israele dovrebbe bombardare il programma atomico dell’Iran subito. 

 

Nel 2006, sedici anni prima che gli occhi dei satelliti americani scoprissero il cantiere dei pasdaran per spostare le centrifughe di Natanz in un luogo più protetto dentro alle montagne, gli Stati Uniti e Israele avevano attaccato quello stabilimento in un’operazione congiunta conosciuta come “operazione Stuxnet” oppure “operazione Giochi olimpici”. Stuxnet è il nome del software malevolo che all’epoca aveva costretto  almeno mille centrifughe delle cinquemila custodite a Natanz  a girare fuori controllo a un ritmo impazzito e, secondo gli esperti, aveva riportato il programma atomico iraniano indietro di  un anno. L’attacco a Natanz è diventato famoso per essere uno dei primi casi di utilizzo di un’arma cibernetica e il presidente degli Stati Uniti George W. Bush aveva voluto tentare quella via, coinvolgendo gli israeliani, anche per prevenire un attacco convenzionale da parte di Tsahal contro lo stesso stabilimento tre piani sotto terra, che  sulla carta era alla portata dell’aviazione dello stato ebraico.

 

All’epoca alla Casa Bianca era in corso lo stesso dibattito che si è poi ripetuto molte volte fino a oggi: vogliamo noi Amministrazione americana che Israele   provi a cancellare il programma nucleare dell’Iran con le bombe? E vogliamo mettere Tsahal nelle condizioni di farlo? La risposta degli Stati Uniti è sempre stata no. Mentre i governi israeliani chiedevano gli ordigni anti-bunker da quattordici tonnellate e le amministrazioni americane davano risposta negativa, i pasdaran ampliavano il sito per l’arricchimento  dentro le montagne di Fordo e cominciavano a costruire un nuovo impianto altrettanto ben protetto per Natanz. Ma se nel 2006 l’ipotesi dell’invio delle bombe più grandi nell’arsenale americano era quantomeno sul tavolo (il vicepresidente Dick Cheney era favorevole, il presidente Bush era contrario, dopo lunghe discussioni  si fece come voleva il presidente), oggi non lo è.

 

Ieri pomeriggio Biden  e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si sono parlati al telefono per la prima volta dalla fine di agosto, da quando lo stato ebraico ha cominciato la sua campagna per mettere in ginocchio Hezbollah e ha subìto un attacco con quasi duecento missili balistici lanciati dal territorio dell’Iran, e i due hanno discusso la rappresaglia israeliana contro la Repubblica islamica. Il presidente americano aveva detto subito, la settimana scorsa, di essere contrario all’ipotesi di colpire   il programma atomico, e aveva chiesto di non bombardare nemmeno le raffinerie, per non punire anche la popolazione civile iraniana ed evitare un aumento del prezzo del petrolio sui mercati a meno di un mese dalle elezioni negli Stati Uniti. Anche se la capacità della Casa Bianca di condizionare le decisioni del governo Netanyahu – dalla richiesta di un cessate il fuoco a Gaza prima del voto  alla proposta di cessate il fuoco in Libano a cui Israele ha risposto con l’invasione di terra un giorno dopo – non sembra molta, per ciò che  riguarda un bombardamento in grado di sfondare gli impianti cruciali in cui  Teheran arricchisce il suo uranio: lo stato ebraico dipende, sul piano pratico delle armi e non su quello della diplomazia, da una decisione americana.