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la festa della liberazione

Crescere i figli a Kharkiv, resistendo a Putin

Paola Peduzzi

Il Cremlino non ha mai accettato la liberazione della seconda città più grande dell'Ucraina e quel che non può conquistare lo distrugge. La speranza resta: sopravviverà, dice la fotoreporter Olga Ivashchenko

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Nel marzo del 2014, le forze pro russe si radunarono attorno alla statua di Lenin a Kharkiv, gli ucraini sventolavano le loro bandiere sotto la statua di Taras Shevchenko, il poeta. Olga Ivashchenko, fotoreporter, ricorda perfettamente quei giorni, dieci anni fa, quando invasero i russi che chiamavamo “separatisti”  o “omini verdi” per negarne l’aggressività e rifugiarci nel disinteresse per una guerra civile che non ci appartiene: Olga è di Kharkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina, a trenta chilometri dal confine con la Russia. “I manifestanti pro ucraini si misero nel palazzo del governo di Kharkiv – racconta Ivashchenko su RadioFreeEurope – poi i pro russi sfondarono le porte e li attaccarono. Gli ucraini furono portati fuori e sottoposti a un rito di umiliazione. I russi formarono delle forche caudine, gli ucraini erano costretti a passare sotto, mentre venivano spintonati e colpiti. Poi gli ucraini furono portati in piazza, in ginocchio, e i russi li picchiavano e gli sputavano addosso. Quel giorno, la bandiera russa fu issata sul palazzo dell’amministrazione locale”.

I russi poi dovettero rinunciare a Kharkiv, così come hanno dovuto farlo quando sono tornati nel 2022, con i carri armati e l’esercito, forti di un decennio di impunità. Ma Vladimir Putin non ha mai accettato quella liberazione, e quel che non può conquistare lo distrugge. Lo sta facendo da settimane con insistenza criminale: va a caccia di “nazisti”, facendo il nazista e non accettando, proprio come i nazisti, la possibilità che la forza della libertà e della liberazione sia più resistente delle sue bombe, delle sue torture, delle sue esecuzioni di massa. La voglia di vita contro la repressione. 

Ivashchenko è tornata a Kharkiv, dice che i giornalisti non dormono lì la notte, mentre le sue amiche portano i figli a scuola, vanno a lavorare, imparano a cucinare al buio. Quando sono lontana, scrive, penso che possa accadere qualcosa di terribile alla mia città, in fondo è così vicina al confine, i russi possono colpirla senza nemmeno esporsi troppo, “poi torno a Kharkiv, ci passo un po’ di tempo, e inizio a essere fiduciosa: sopravviverà”, sopravviveremo. 

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