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il rapporto con le autocrazie

Volete Draghi? Allora zero compromessi con gli Orbán e i Khamenei

Oscar Giannino

Da una parte l'ex premier è un federalista globalista postmoderno, dall’altra ha un’anima kissingeriana: vuole un’Europa più forte e credibile nella difesa comune perché sa che Putin può permettersi quel che vuole finché non ci sarà una vera deterrenza europea

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Le analisi sul governo di Giorgia Meloni convergono nel concludere che sulle politiche di bilancio la premier ha mostrato molta più prudenza degli sconquassi promessi quando stava all’opposizione, e che su Ucraina-Russia ha ferreamente ripudiato in senso euro-atlantico le simpatie verso Putin che accomunano le destre estreme europee. Sul primo punto, la devastante e perdurante eredità del Superbonus edilizio metterà a dura prova la sua capacità reale di ridurre il debito pubblico. Ma sulla politica internazionale le cose si son fatte ancor più complicate.

Dopo le europee di giugno, temi come la scelta Draghi-Ue, l’atteggiamento sull’Ucraina a fronte dell’imminente nuova offensiva russa di primavera che strizza l’occhio a Trump e quale ruolo debba in concreto giocare l’Italia nella conflagrazione medio orientale a cui punta l’Iran contro Israele e i paesi sunniti del patto di Abramo, tutte queste fondamentali partite, compreso anche l’atteggiamento verso i paesi della sponda sud del Mediterraneo a cominciare dalla Tunisia, sempre più difficilmente possono essere gestite con una tattica fai-da-te e day-by-day. Su ognuna di esse non si può decidere seguendo i sondaggi domestici, bisogna sapere a che cosa si punta davvero, con quali alleati e con quali disponibilità di partecipare a coalizioni politiche, economiche e militari.

Per capirlo, prendiamo a prestito una classificazione delle quattro diverse scuole di pensiero oggi presenti in occidente, elaborata da Gabriel Elefteriu, vicedirettore del Council on Geostrategy UK e fondatore di AstroAnalytica che conduce ricerche su sicurezza e difesa spaziale.   

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La prima scuola è quella “globalista postmoderna”. Ancora molto forte nelle élite euro-occidentali, ma sempre meno capace di conquistare elettori. Il suo nocciolo duro è la persistente fiducia nei valori di libertà e democrazia occidentale, e in un ordine mondiale basato su libertà civili e di mercato. Ne facevano parte i tramontati Neocon americani all’epoca di Cheney e Rumsfeld, ne fanno oggi parte i liberal-federalisti in Europa, convinti che l’Europa sarà una “fabbrica mondiale degli standard” in materia di transizione green, anche se i loro obiettivi vengono rifiutati dalla maggior parte del mondo. 

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La seconda scuola è quella “multipolare”. E’ il refugium peccatorum di tutti i pentiti su liberalizzazioni di mercato, libero commercio e difesa delle democrazie. Oggi è maggioritaria nell’accademia, nel pensiero economico e in molti forum occidentali. Si batte il petto per gli errori dell’occidente e molti suoi adepti sono persuasi del suo declino inevitabile, come sia inevitabile che il mondo G20 e degli ex Brics cada sotto l’influenza di Cina e Russia. Non credono più a un ordine internazionale basato su elementi comuni dello stato di diritto, pensano sia sbagliato pretendere democrazia e diritti umani dalle potenze autoritarie. Dopo la Brexit, gli scombiccherati governi Tories succedutisi hanno fatto diventare ufficialmente multilateralista anche il Regno Unito, come si legge nella 2023 Integrated Review, il più importante documento di strategia internazionale di Downing Street: “Il mondo non può più essere ridotto a democrazie contro autocrazie”.  C’è poi una corrente multipolarista che esplicitamente si appella al credo del conservatorismo realista, tipo John J. Mearsheimer i cui libri descrivono il futuro come una serie successiva di “arretramenti strategici” di Usa e occidente, ripiegati a difesa di interessi nazionali, prima che globali. 

La terza scuola è quella “euroasiatica”: il nocciolo duro del pensiero di Putin e Xi. Fanaticamente convinta che l’individualismo occidentale alla base dei diritti di libertà sia una teoria pressoché satanica: erode i poteri dei governi e travolge ogni idea tradizionalista di ferrea controllabilità sociale. Che invece è dottrina assoluta in stati-imperi autocratici, alla cui ombra devono allinearsi un numero crescente di paesi grazie alla forza economica e commerciale della Cina e alla spregiudicatezza con cui Putin fa uso di armi, galera e propaganda. In Europa questa impostazione ha raccolto parti crescenti delle ali estreme di sinistra e di destra, unite dall’antioccidentalismo, antiamericanismo, antimercatismo. Si sono aggiunte constituency tradizionaliste nemiche dei nuovi diritti sessuali e bioetici. 

Infine la quarta scuola, quella classica del “primatismo”. Affonda le sue radici nella visione dei Churchill e degli Eisenhower. Assolutamente convinti della superiorità del nostro modello occidentale, ma spietatamente realisti nel non credere che si affermerà in maniera inerzial-illuminista, e dunque occorre invece essere machiavellici, impegnandosi ogni giorno a mantenere un equilibrio tra potenze senza predicare la nostra superiorità. Kissinger, per dirla in un nome. Per questa scuola l’essenziale è che l’occidente resti maestro nell’architettare e sostenere alleanze concentriche e di area di paesi anche non vicini ai nostri valori, ma impegnati collettivamente a difendersi dalle potenze autoritarie.  Costruendo bastioni economici perché Cina e Russia non prevalgano. Di questa visione, il pilastro è mantenere una forza militare costantemente aggiornata in modo che sia l’unica al mondo capace di interventi multiteatro: per usarla però come istrumento costante di deterrenza, più che per interventi diretti a raffica.

Torniamo al punto. Draghi è da una parte – vedi le proposte di nuovi strumenti finanziari europei – un federalista globalista postmoderno. Ma dall’altra ha un’anima kissingeriana: vuole un’Europa più forte e credibile nella difesa comune perché sa che Putin può permettersi quel che vuole finché non ci sarà una vera deterrenza europea. Se vuoi Draghi, devi tagliare ogni compromissione con partiti e governi europei di scuola “eurasiatica”, e con le vaste frange del “multipolarismo” rassegnate al predominio delle autocrazie. Se vuoi dare un senso al tuo Piano Mattei in Nord Africa, devi incardinarlo in uno sforzo proattivo di difesa che ha visto insieme i paesi sunniti degli accordi  di Abramo contro Teheran e a difesa di Israele. E via continuando. Draghi, Orbán e Khamenei non si tengono per mano tra loro. Credere di poterlo fare da italiani è un errore che costerebbe caro. 

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