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Strategie

Le manovre macroniane per contrastare la destra alle prossime europee: fallisce "l'operazione mucca"

Mauro Zanon

Mentre i membri di Renaissance masticano amaro cercando di togliersi di dosso l'etichetta di fighetti parigini, i lepenisti ambiscono a un trionfo alle europee. La sinistra resuscitata e il partito del presidente si contendono il secondo posto

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Parigi. Che Valérie Hayer non fosse la candidata ideale di Renaissance per insidiare il primo posto di Jordan Bardella, capolista del Rassemblement national accreditato al 30 per cento in vista delle europee, era evidente fin dai primi giorni della campagna elettorale. La scommessa di Emmanuel Macron, che ha puntato su un volto poco noto al grande pubblico, su una figlia della Francia profonda cresciuta in una famiglia di agricoltori, per provare a riconnettersi con le campagne e scrollarsi di dosso l’etichetta di partito Parigi-centrico, è stata troppo rischiosa. E il pericolo, ora, è che il prossimo 9 giugno si trasformi in una Bérézina per la macronia. L’ultimo sondaggio Harris Interactive indica infatti che Raphaël Glucksmann, frontman della lista dei progressisti composta dal Partito socialista e da Place Publique (Ps-Pp), è al 14 per cento nelle intenzioni di voto, a soli due punti dalla capolista di Renaissance, ferma al 16: un distacco lieve, che suscita molte inquietudini nel partito macronista.
 

Non esagerava, il Point, quando a inizio marzo parlava di “mission impossible” per l’ex presidente del gruppo Renew, chiamata a fermare la dinamica Bardella e allo stesso tempo a evitare il sorpasso socialista. “Une solution par défaut”, aveva commentato il settimanale, ossia una scelta di ripiego in mancanza di candidati migliori. Eppure, all’inizio, certi macronisti dicevano che era “l’opzione migliore” per rimobilitare le truppe e dare un nuovo slancio a Renaissance, sulla scia della rupture generazionale impressa da Macron con la nomina di Gabriel Attal a primo ministro. Erano convinti, soprattutto, che il suo pedigree rurale, il suo profilo da anti star poco avvezza a Instagram e TikTok, potesse essere un atout. “Sa mungere una mucca e guidare un trattore”, disse al Point un macronista, sottolineando che Valérie vive ancora a Laval, nei paesi della Loira, e che Renaissance, dunque, non è solo un partito di fighetti parigini, come scrive una certa stampa. Ma la campagna di Hayer, nonostante i corsi di comunicazione accelerata dell’ex giornalista di Cnews oggi portavoce di Renaissance Loïc Signor, nonostante la vicinanza dei pesi massimi del governo, nonostante la moltiplicazione di meeting di campagna lì dove il macronismo non ha messo radici, non è mai decollata. “È solo una Nathalie Loiseau con il sorriso”, ha commentato, velenoso, un parlamentare della maggioranza, riferendosi alla gelida e scorbutica capolista dei macronisti nel 2019, oggi eurodeputata.
 

Nel quartiere generale della lista Ps-Pp si respira invece grande entusiasmo, si sogna il sorpasso sui macronisti e si guarda anche oltre il 9 giugno, quando la gauche progressista dovrà continuare il suo processo di demélenchonizzazione, allontanarsi dalle idee radicali della France insoumise per allargare il suo bacino di elettori. “Riprenderemo la bandiera europea dalle mani di Emmanuel Macron”, ha promesso Raphaël Glucksmann lo scorso 3 aprile dal palco di Rouen, accanto al patron del Partito socialista, Olivier Faure. La sua fermezza nel condannare la Russia di Vladimir Putin e la sua strenua difesa di Kyiv, perché “se crolla l’Ucraina, crolla l’Europa”; la sua denuncia delle ambiguità antisemite della France insoumise e di Hamas come organizzazione terroristica; la sua mobilitazione per una “sovranità europea” e allo stesso tempo il suo ancoraggio atlantista, lontano dalla retorica del sud globale e dalle tentazioni bolivariste di Mélenchon; il suo impegno, infine, contro le ingerenze dei regimi autoritari, russo, iraniano e cinese, che minacciano le democrazie: sono questi i punti chiave della dinamica Glucksmann. L’ex direttore del Novueau Magazine Littéraire, come ha scritto il Figaro, è “l’ala sinistra della macronia”, è il candidato che sta riuscendo a riunire sotto lo stesso tetto i delusi della virata a destra intrapresa da Macron e gli elettori disorientati dalla radicalizzazione della France insoumise. Ma anche a risvegliare una formazione che sembrava moribonda come il Ps.
 

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Per questo, Glucksmann, è attaccato anche dai suoi concorrenti a sinistra, a partire dalla capolista dei Verdi francesi, Marie Toussaint, soffocata dall’ascensione dell’intellò. “Capisco quelle e quelli che mi dicono che Glucksmann non è male. Ma a queste persone rispondo che il rischio è quello di addormentarsi il 9 giugno avendo votato Raphaël Glucksmann e di risvegliarsi il 10 giugno con il ritorno di François Hollande. Attenzione alla pubblicità ingannevole. Leggete bene fino in fondo il contratto”, ha attaccato Toussaint, accreditata al 7 per cento, ossia la metà di quanto raccolto dal capolista dei Verdi nel 2019 Yannick Jadot. Insomma, la logica del voto utile, a sinistra, potrebbe premiare il figlio del filosofo André Glucksmann, e garantirgli una percentuale anche superiore a quella indicata dalle ultime rilevazioni sondaggistiche.
 

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Dal canto suo, il condottiero dei lepenisti alle europee, Jordan Bardella, continua a volare nei sondaggi. E nel caso in cui la sua lista raccogliesse il doppio dei voti dei macronisti, chiederà la sera stessa dello scrutinio “la dissoluzione dell’Assemblea nazionale”. “Le elezioni europee sono le uniche elezioni nazionali del quinquennio, che permettono ai francesi di esprimersi sulla politica del governo, di far sentire la loro rabbia a Emmanuel Macron e di conseguenza di designare il movimento politico che sarà incaricato di preparare l’alternanza”, ha detto Bardella a BfmTv ieri mattina. Il capolista dei sovranisti francesi, in caso di dissoluzione, accetterebbe di essere “un primo ministro di coabitazione”. Le accuse di putinofilia e di assenteismo al Parlamento europeo provenienti dalle opposizioni non hanno attecchito: Bardella, stando all’ultimo sondaggio Ifop-Fiducial, è al 32,5 per cento nelle intenzioni di voto. Sarebbe un risultato trionfale per i lepenisti, che con tutta probabilità costringerebbe Macron e Attal a un riequilibrio istituzionale.

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