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L'editoriale del direttore

La nuova agenda Draghi ha messo in mutande i populismi di destra e sinistra

Claudio Cerasa

Vota Antonio? No: vota Mario! La nuova agenda Draghi non riflette solo un notevole buonsenso trasversale. Ma anche una trasformazione in corso tra molti elettori sul terreno delle priorità. Ragioni per rilanciarla in Europa

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Vota Antonio? No: vota Mario! La politica italiana, tranne qualche piccola e meritoria eccezione (Renzi, Bonino, Calenda), ha scelto di ignorare con una certa trasversalità il formidabile discorso sulla competitività dell’Europa tenuto martedì scorso a Bruxelles da Mario Draghi. La ragione dell’imbarazzo è evidente anche se a prima vista può apparire sorprendente. Draghi ha rimproverato le classi dirigenti europee per essersi rivolte eccessivamente verso l’interno, per aver fatto della concorrenza tra paesi europei un tema più importante della concorrenza tra l’Europa e il resto del mondo. E così facendo, ha detto Draghi, pur avendo una bilancia commerciale positiva, nessuno ha davvero prestato sufficiente attenzione alla nostra competitività fuori dai confini del nostro continente.

 

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“I nostri rivali – ha detto Draghi – ci stanno precedendo perché possono agire come un unico paese con un’unica strategia e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie. Il discorso di Draghi ha messo in imbarazzo sia gli europeisti sia gli anti europeisti perché ha squadernato alcune verità imbarazzanti. È imbarazzante per gli europeisti con il pilota automatico perché indica loro che le vere priorità per l’Europa non riguardano le lotte contro i fascismi, le battaglie retoriche contro le diseguaglianze, le campagne pigre a favore dell’unità europea, ma riguardano l’economia, riguardano la crescita, riguardano la concorrenza, riguardano le politiche climatiche da riadattare, riguardano la capacità di saper creare nuova ricchezza, riguardano la capacità di governare la globalizzazione, non di combatterla, riguardano le necessarie strategie per uscire dalla stagione dei campioni nazionali per entrare nella stagione dei campioni europei.
 

C’è un modo pigro di essere europeisti e c’è un modo attivo di essere europeisti e di concentrarsi più sulle sfide future che sui fantasmi del passato. Ma il discorso di Draghi ha messo in imbarazzo anche gli anti europeisti perché ha mostrato loro un modo originale, interessante e utile di criticare l’Europa senza lisciare il pelo al mostro dell’euroscetticismo. Essere insoddisfatti di questa Europa è giusto, forse è persino doveroso, ma per essere insoddisfatti in modo costruttivo occorre criticare l’Europa per quello che non ha ancora fatto e non per quello che ha fatto.
 

Esempio: “I nostri principali concorrenti stanno approfittando del fatto di essere economie di dimensioni continentali per generare scala, aumentare gli investimenti e conquistare quote di mercato per i settori in cui conta di più. In Europa abbiamo lo stesso vantaggio in termini di dimensioni naturali, ma la frammentazione ci frena”. Essere scettici sull’Europa del presente senza essere euroscettici è possibile. Per farlo, come ha sintetizzato bene uno dei pochi politici del Pd ad aver valorizzato il discorso di Draghi, Pierfrancesco Maran, serve un protagonismo europeo che consenta un cambio di scala: da piccoli stati nazionali a un continente che condivide risorse, tecnologie, industrie per difendere un mercato interno che può essere sempre più messo in crisi dal contesto internazionale dove le regole di ingaggio sono cambiate.
 

Dedicare una maggiore attenzione alle parole di Draghi non è solo un tema che riguarda il desiderio di seguire il buonsenso ma è anche un tema che può riguardare la ricerca del consenso. Ieri, l’Eurobarometro, il sondaggio del Parlamento europeo condotto tra il 7 febbraio e il 3 marzo 2024 in ciascuno dei 27 stati membri dell’Ue, ha offerto uno spunto di riflessione interessante, mettendo in luce quanto i temi che si trovano oggi in cima all’agenda dei partiti populisti siano molto lontani da quelli che si trovano in cima all’agenda della maggioranza degli elettori. In cima, si trovano temi economici: la lotta alla povertà e all’esclusione sociale (prioritario per il 33 per cento dell’elettorato), la salute pubblica (32 per cento), il sostegno all’economia e alla creazione di nuovi posti di lavoro (31 per cento). Accanto ai temi economici, si trovano i temi legati alla difesa e alla sicurezza dell’Ue (31 per cento). L’immigrazione irregolare non è più la massima priorità per gli elettori europei (24 per cento). E anche i temi su cui i populisti investono di più (alimentare i dubbi nei confronti del sostegno all’Ucraina) appaiono quanto mai poco popolari. Alla domanda su quali priorità dovrebbe dare il prossimo Parlamento europeo, il sostegno maggiore è stato per la pace e la democrazia, seguito dalla tutela dei diritti umani, dalla libertà di parola e di pensiero e dallo stato di diritto. Ad avere una visione negativa sulla Russia è l’83 per cento degli interpellati.
 

La nuova agenda Draghi non riflette dunque solo un notevole buonsenso trasversale. Ma riflette anche una trasformazione in corso tra molti elettori sul terreno delle priorità. Meno populismo, più pragmatismo. Meno nazionalismo, più europeismo. E se trasversalmente, dopo il 9 giugno, l’Italia si muovesse, con tutte le sue forze politiche, per dare un sostegno alla candidatura di Draghi alla presidenza della Commissione (difficile) o del Consiglio europeo (meno difficile) qualche speranza in più di avere un italiano in un posto che conta potrebbe esserci. Diceva Totò: vota Antonio! Per questa volta no. Per questa volta, come suggerisce il fotomontaggio con la nuova tessera del Pd leggermente modificata che trovate in prima pagina, meglio dire: vota Mario!

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