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L'intervista

È l'Unione europea il miglior incentivo di Kyiv contro la corruzione

Andrea Braschayko

La struttura anticorruzione ucraina è formata da una triade, che se sgarra conosce i rischi. Le leggi di deoligarchizzazione hanno già colpito l’uomo più ricco del paese: Rinat Akhmetov. Colloquio con Roman Petrov

Lo scorso 16 maggio è stato arrestato il presidente della Corte suprema ucraina, il più importante organo giudiziario del paese. L’accusa verso Vsevolod Knyazev è di aver accettato una maxi tangente dall’oligarca Kostyantin Zhevago, arrestato lo scorso dicembre in Francia su richiesta dell’Ucraina. A casa di Knyazev hanno fatto irruzione gli investigatori del bureau nazionale anticorruzione, il Nabu, un organo indipendente creato da Kyiv. Hanno trovato 2,7 milioni di dollari, secondo l’accusa pagati da Zhevago affinché la Corte emettesse una sentenza favorevole in un contenzioso legale riguardante il controllo di una società. “Questo scandalo ha avuto un impatto negativo enorme, ma è anche il segnale di una dinamica in evoluzione”, racconta al Foglio Roman Petrov, capo del Centro di eccellenza Jean Monnet e professore di Diritto europeo all’Accademia Kyiv Mohyla, la più antica e importante università d’Ucraina.


Il campo della cosiddetta Eu Law è imprescindibile per comprendere i cambiamenti istituzionali di Kyiv nell’ultimo decennio. Da quando è stato siglato, nel 2014, e da quando è entrato in vigore, tre anni dopo, l’Accordo di associazione fra Ucraina e Unione europea ha prodotto innovazioni sostanziali nell’ordinamento ucraino per quanto riguarda lo stato di diritto, l’indipendenza dei giudici e la lotta alla corruzione. “Non bisogna mai dimenticare quanto l’accordo sia stato importante per l’equilibrio politico ucraino: le proteste di Maidan vennero innescate proprio dalla mancata firma del trattato”, ricorda Petrov. “Non è un accordo unicamente economico: ha prodotto novità sostanziali in molte aree, su tutte la lotta alla corruzione”. A partire dalle raccomandazioni comunitarie è stata creata la cosiddetta Triade anticorruzione costituita da tre organi. Il primo, l’Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione (Napc), è un organo governativo deputato a sviluppare leggi e regolamenti contro il fenomeno. Gli altri due uffici, invece, non possono essere influenzati nemmeno dal governo: sono il già citato Nabu e la Procura specializzata anticorruzione (Sapo), quest’ultima responsabile della supervisione sulle indagini penali inviate dal Nabu. Il sistema non è ancora perfetto. Nel 2018 il capo del Nabu ha accusato il suo omologo della Sapo di aver divulgato materiali relativi a indagini in corso di alto rango. “Appartenendo a diversi rami dello stato, i conflitti fra diversi organi sembrano inevitabili: pur se indipendenti, ognuno cerca di imporre la propria giurisdizione sull’altro”, secondo Petrov. 

Nel 2019 c’è stato un parziale rinnovamento del sistema giudiziario, fino a quel momento zeppo di procuratori e funzionari corrotti, eredità dell’ancien régime di Yanukovich. “Sono stati sostituiti, anche nella Corte suprema, da giudici giovani e preparati, con un background educativo e culturale diverso”. L’emancipazione della politica e della magistratura dalla corruzione ad alti livelli, soprattutto di origine oligarchica, è stata una delle richieste principali della Rivoluzione della dignità. La lotta alla corruzione è stata al centro dei programmi elettorali, anche in toni populistici, di Poroshenko prima e Zelensky poi. Nonostante i passi in avanti contro la corruzione di alto livello, il fenomeno continua a colpire ovunque, palesandosi nella quotidianità. “L’anello debole rimangono i doganieri e la polizia di frontiera, soprattutto con le ondate di aiuti volontari e transito di merci derivanti dalla guerra”, sottolinea Petrov. “Lo stesso avviene con chi dal Donbas e altre aree occupate arriva in Ucraina attraverso le frontiere ‘interne’”.

Un sondaggio di Usaid mostra come in un anno la percentuale di ucraini che ritiene la corruzione ingiustificabile è passata dal 40 per cento al 64, mentre coloro che denuncerebbero un caso di corruzione sono balzati dal 44 all’84 per cento. Dopo gli scandali dello scorso gennaio nei ministeri della Difesa e delle Infrastrutture, il direttore dell’Anti-corruption Action Center Vitaliy Shabunin ha ipotizzato un nuovo contratto sociale, sottoscritto informalmente da società civile, giornalisti e governo: meno critica intransigente al governo in tempi di guerra, ma quest’ultimo dovrà reagire immediatamente dopo ogni caso di corruzione ed inefficienza. “Non sono molto d’accordo con Vitaliy. Credo che più che dalla società civile, il governo sia spinto ad agire per motivi esterni, e ciò non è necessariamente un male perché garantisce l’accountability verso i partner occidentali”: una responsabilità (“mantenere salda la propria reputazione”) che Kyiv sente stringente anche per quanto riguarda gli aiuti militari. Anche il caso di Knyazev, secondo l’esperto, serve a dimostrare agli alleati come “nessuno in Ucraina sia immune, quando sbaglia”.

Le leggi di deoligarchizzazione hanno già colpito l’uomo più ricco del paese Rinat Akhmetov, e “seppur imperfette, sono un’interessante novità nel panorama legislativo mondiale”, conclude Petrov, che focalizza ancora una volta lo sguardo sul vero garante delle riforme contro la corruzione e per la modernizzazione del sistema giudiziario: il processo di adesione all’Unione europea. “Un percorso che non sarà veloce, e non dovrà esserlo, per essere compiuto al meglio. In ogni caso, segna una strada di cambiamento dalla quale non si torna indietro: combattere la corruzione sarà imprescindibile per non rallentare l’adesione all’Ue e attrarre gli investimenti per la ricostruzione post bellica”.

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