Ribaltone a Teheran

In Iran lascia l'uomo della “pace” con i sauditi che stravolge i connotati al medio oriente. Attenti ai falchi

Ali Shamkhani ha dato le dimissioni dalla posizione da cui si indirizzano i rapporti di Teheran con il resto del mondo: non è una buona notizia

Cecilia Sala 

Shamkhani è stato capace di smussare angoli e portare a casa risultati inaspettati, non solo in politica estera ma anche spendendo il proprio capitale di credibilità negli affari interni. Ha promosso il dialogo tra la Guida suprema e i “moderati”. Chi prende il suo posto è meno "dialogante"

A Teheran si è consumata una lotta politica intensa e l’uomo che è stato protagonista delle più importanti svolte iraniane recenti ne è uscito perdente. Ali Shamkhani è molte cose tra cui il volto della “pace” con i sauditi annunciata a marzo, ma ieri (quasi) a sorpresa ha dato le proprie dimissioni da segretario del Consiglio di sicurezza nazionale, cioè dalla posizione da cui si indirizzano i rapporti di Teheran con il resto del mondo. 

Il Consiglio conta più del ministero degli Esteri e Shamkhani lo guidava da dieci anni, aveva in mano molti dei fili dei rapporti iraniani con i paesi stranieri, frequentava Mosca e Pechino ma soprattutto i paesi del Golfo e in particolare gli Emirati Arabi e l’Arabia Saudita. Shamkhani è un raro esempio di massima autorità iraniana che appartiene a un minoranza, è etnicamente arabo e non persiano: alcuni osservatori locali dicono che questo ha aiutato nelle conversazioni proficue con le potenze del Golfo, quelle conversazioni hanno poi prodotto un disgelo che – se dura – può cambiare i connotati del medio oriente. 

Nel 2016 i manifestanti iraniani (di cui una parte istruita dai pasdaran) avevano assaltato l’ambasciata di Riad a Teheran per protestare contro la condanna a morte in Arabia Saudita di un mullah del clero sciita – quello che governa l’Iran ma che la grande comunità di musulmani sunniti guidata dai sauditi considera, dal punto di vista della dottrina, una casta di eretici. Nel 2019 Riad aveva accusato gli iraniani di essere dietro a un bombardamento sul territorio del regno lanciato dai ribelli houthi dello Yemen che sono sostenuti dalla Repubblica islamica. Per sette anni le relazioni diplomatiche tra Arabia Saudita e Iran sono state disastrose, fino a due mesi fa. 

Tra le conseguenze dirette e gli eventi che vanno di pari passo con le rinnovate relazioni diplomatiche tra i due (ex?) rivali, c’è l’ipotesi di una pace in Yemen che a giudicare dai colloqui si prospetta più a vantaggio degli alleati di Teheran che della coalizione guidata dai sauditi, e la riammissione nel consesso della Lega araba di un beniamino degli ayatollah come il dittatore siriano Bashar el Assad.  

Shamkhani è stato capace di smussare angoli e portare a casa risultati inaspettati, non solo in politica estera ma anche spendendo il proprio capitale di credibilità negli affari interni. Ha promosso il dialogo tra la Guida suprema, di cui resta consigliere, e i cosiddetti “moderati” che ha portato alla sparizione della polizia religiosa dalle strade dopo la morte di Mahsa Amini. Il gruppo di dialogo che è nato su proposta di Shamkhani discute anche della possibilità di abolire alcune delle punizioni severe per le donne che non indossano il velo. Quando, a gennaio, è stato giustiziato per spionaggio per conto dei britannici l’ex braccio destro di Shamkhani, gli analisti avevano sospettato che fosse una mossa contro il capo del Consiglio di sicurezza nazionale e già allora si era parlato di sue dimissioni imminenti. Shamkhani ha resistito, fino a ieri. 
Il nuovo capo del Consiglio di sicurezza nazionale si chiama Ali Akbar Ahmadian, è un generale pasdaran sanzionato da Stati Uniti, Regno Unito e Nazioni Unite per faccende relative al programma nucleare ed è considerato una figura molto meno “dialogante” di Shamkhani, che era al vertice del Consiglio quando l’Iran firmò l’accordo con l’occidente per limitare l’arricchimento di uranio nelle proprie centrali atomiche.