La trasformazione di Kiliçdaroglu è iniziata tra i curdi, e può pagare

Mariano Giustino

A Diyarbakir, Erdogan sbaglia le alleanze e il suo sfidante offre quello che il presidente non sa più dare

Diyarbakir. Fa un certo effetto tornare a Diyarbakir nel cuore del Kurdistan turco dopo il doloroso conflitto che scoppiò in questa provincia nel 2015 con la rottura della cosiddetta “apertura curda” che il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) di Erdogan aveva avviato per  conquistare il voto curdo da sempre determinante per la vittoria alle elezioni. La fine del dialogo tra l’intelligence turca del Mit e il leader del Pkk incarcerato Abdullah Ocalan diede inizio a duri scontri che si trasformarono in una  guerra nel sud-est del paese contro i militanti dell’organizzazione armata del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). 
 

Il conflitto si sviluppò nelle province vicine al confine con Siria e Iraq e nella millenaria Sur, distretto centrale e antico insediamento storico sulla riva del Tigri. Di Sur, con la sua  architettura cristiana armena, testimonianza di un mosaico di civiltà,  è rimasto ben poco: ora si vedono edifici moderni, semplici scatole di cemento. Gli scontri si conclusero nel 2018 e da allora il governo Erdogan operò  una radicale operazione di trasformazione non semplicemente urbanistica, ma mirante al cambiamento della composizione sociale della popolazione. 
  
In questa provincia, così come in tutte le altre del sud-est anatolico il Partito repubblicano del popolo (Chp) del candidato alla presidenza  Kemal Kiliçdaroglu, ha fatto finora registrare percentuali da zero virgola e, da almeno trent’anni, non riesce a  eleggere un parlamentare repubblicano. Nelle ultime elezioni del 2018 gli unici partiti ad aver eletto deputati nella Grande assemblea nazionale turca sono stati l’Akp  di Erdogan, con 3 eletti e il Partito democratico dei popoli (filocurdo) di Selahattin Demirtas  con 9 eletti. Ora c’è la possibilità, dopo oltre trent’anni, di avere un eletto del Chp di Kiliçdaroglu. Il candidato del Partito repubblicano in questa città è l’avvocato e attivista per i diritti umani Sezgin Tanrikulu, la sua elezione farebbe perdere ulteriore terreno all’Akp e sarebbe un grande riconoscimento per il Chp, fino a pochi anni fa di impronta fortemente kemalista, ma che dal 2019, grazie alla guida di Kiliçdaroglu, ha  traghettato l’antico Partito repubblicano del popolo, fondato da Atatürk,  lungo un percorso post kemalista verso la socialdemocrazia.  

 
Fu soprattutto grazie al voto curdo dell’Hdp che nelle elezioni locali del 2019, il Chp vinse in tutti i maggiori centri urbani del paese, compresa la megalopoli di Istanbul, cuore economico e dell’islam politico, da un quarto di secolo feudo di Erdogan e del suo partito. L’accordo tacito di desistenza che vi fu tra l’Hdp e il maggior partito d’opposizione avviò la storica apertura e il 19 settembre 2021 quando il leader repubblicano affermò che il Partito democratico dei popoli è l’unico interlocutore legittimo per la soluzione del problema curdo. Mai Kiliçdaroglu si era spinto così in avanti, mai era stato così esplicito. 

  
Non è forse un caso che Erdogan abbia voluto inserire nelle sue liste candidati di un piccolo partito di estrema destra curdo, sunnita, l’Hüda par, il Partito della causa libera. Le radici di questo partito curdo affondano nell’Hezbollah turco (da non confondere con gli Hezbollah sciiti del Libano), che alla fine degli anni 90 aveva seminato il terrore nelle comunità curde di sinistra compiendo sanguinosi attentati contro leader curdi. E’  forse il segno della disperazione del presidente turco che sa che l’alleanza da lui voluta dal 2015 in poi con le componenti ultranazionaliste e islamiste non gli potrà consentire di intercettare un più vasto consenso curdo e dunque sembra voler raschiare il fondo del barile bevendo questo calice che potrebbe rivelarsi avvelenato perché lo Hüda par è un partito dichiaratamente curdo-indipendentista a differenza dell’Hdp, ora presente alle elezioni sotto la sigla del Yeşil sol parti (Parito dei verdi di sinistra), che invece è semplicemente autonomista. 


Nonostante la dura repressione subita, con 14 arresti dei suoi parlamentari, con circa 100 sindaci eletti nel 2019  sostituiti da fiduciari del governo turco, con oltre 20 mila arresti di suoi dirigenti e militanti e nonostante la trasformazione urbanistica operata nel sud-est anatolico per alterare la demografia, i curdi non si sono piegati e ora a riuscire a intercettare parte del loro voto potrebbe essere anche la coalizione di opposizione guidata da Kiliçdaroglu. Man mano che si avvicina la data del voto, si rafforza la retorica criminalizzante verso tutta l’opposizione che sostiene la minoranza curda accusata ingiustamente di essere il braccio politico del terrorismo.