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Due figli in chief

Il peso dei figli di Biden e Trump in campagna elettorale

Giulio Silvano

Mentre Hunter Biden vuole stare in disparte ma viene sempre coinvolto, Don Jr. è l’alfiere di Trump padre

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I panni sporchi non si lavano solo in famiglia, almeno non negli Stati Uniti, dove l’immagine privata è tanto importante quanto quella pubblica, se non di più. Si lavano in Congresso, su Fox News, nei talk-show, sul New York Post. Sono rimasti nell’immaginario gli scatti di John F. Kennedy che gioca con i figli sul tappeto dello Studio ovale più di quelli in cui svolge le sue funzioni governative. Quando scegli di lanciarti in politica si sa che la tua vita famigliare apparterà al popolo americano. Mogli e prole verranno trascinati nel circo mediatico fatto di accuse e rari elogi. Alcuni di questi figli verranno iniziati alla politica. Nella storia dei quarantasei presidenti americani ben due sono stati figli di precedenti inquilini della Casa Bianca: John Quincy Adams, sesto presidente, figlio del secondo presidente e padre fondatore della repubblica, John Adams, e poi, in tempi più recenti, George W. Bush, figlio di George H. W. Bush. Ci ha provato anche un altro Bush, Jeb, che secondo molti, e anche secondo Oliver Stone nel suo film W., doveva essere il prescelto, quello più intelligente della famiglia. Jeb ha fatto il governatore della Florida e quando si è candidato alle primarie repubblicane nel 2016 il suo sogno presidenziale è stato spazzato via dal populismo e dall’impeto prevaricatore di Donald J. Trump, che senza peli sulla lingua ha più volte fatto cadere su di lui le colpe del clan Bush. “Il World Trade Center è venuto giù durante il regno di tuo fratello, ricordatelo”, gli disse Trump a un dibattito delle primarie.

     

Trump ha sempre attaccato le famiglie altrui, come quando lasciava intendere che il padre del senatore Ted Cruz fosse coinvolto nell’omicidio di John F. Kennedy, e ha sempre usato la sua stessa famiglia, come in una casa-bottega, o una fattoria, dove tutti hanno una mansione. Ha coinvolto i familiari nelle attività propagandistica prima e di governo poi, spingendo i limiti della commistione pubblico-privato. Ha costruito una Versailles a Pennsylvania Avenue dove figli, figlie e generi hanno avuto dei ruoli decisionali. Ivanka, la figlia adorata, nata nel 1981 dal primo matrimonio di Trump, è stata direttrice dell’Office of Economic Initiatives and Entrepreneurship e consigliera del presidente. Anche suo marito, Jared Kushner, è stato consigliere e direttore dell’Office of American Innovation, posizione creata per lui dal suocero e subito abolita dall’amministrazione Biden. Ma i due figli maschi del primo matrimonio, Donald Trump Junior (nato nel 1977), noto come Don Jr., ed Eric Trump (nato nel 1984), sono stati soprattutto usati per la campagna elettorale del 2016, spediti in giro per il paese a presenziare a eventi e comizi, diventati poi strenui difensori delle politiche del padre mentre era in carica, e dopo la sconfitta ardenti megafoni cospirazionisti sui social, soprattutto quando si è cercato di convincere Congresso ed elettori che Biden non aveva legittimamente vinto le elezioni. Gli inquirenti considerano Don Jr. uno dei personaggi chiave del Russiagate, l’inchiesta sulle ingerenze putiniane nell’elezione di Trump. Il 6 gennaio 2021, il giorno in cui la folla ha provato a sovvertire l’ordine democratico cercando di impiccare Mike Pence e occupando le stanze del Campidoglio, tra elmetti vichinghi e bandiere, Eric e Don Jr. erano a fianco del padre. E hanno continuato a starci, a differenza di Ivanka che, vista come più sveglia, ha annunciato che non parteciperà questa volta alla campagna elettorale per il 2024 lanciata in anticipo a Mar-a-Lago dal padre. Entrambi, Eric e Don, hanno sempre lavorato nell’impresa di famiglia, la Trump Organization. Mentre Eric viene da anni ridicolizzato in televisione dai comici, diventato la macchietta del figlio meno amato, quello dimenticato, ignorato dal padre, il primogenito Don Jr. si è fatto notare dal pubblico a destra del GoP trasformandosi in un surrogato delle cause ideologiche della destra demagogica. Alcuni hanno addirittura fatto il suo nome come possibile candidato presidenziale, fedele e capace di continuare sulle orme di papà. Ha fatto “coming out” dicendo che si sente un redneck, un bifolco del sud, cercando di compensare il suo lifestyle da milionario businessman ereditiero di Manhattan, difendendo la sua passione per la vita all’aperto e per la natura (è un grande fan, come il fratello, della caccia). “Non voglio che i miei figli siano bambini di città”, ha detto. Un occhiolino alla pancia rurale del paese. Si fa i video con la collezione di armi alle spalle e i comici progressisti dei programmi serali lo dipingono come un cocainomane esaltato che passa le ore a difendere il genitore sui social, con dei video dove i suoi discorsi non sempre hanno senso. Attacca con fervore il wokismo e la politically correctness, Joe Biden, Kamala Harris, Pete Buttigieg, Nancy Pelosi e tutti i nemici, anche momentanei, della sua famiglia, cercando di fare battute non sempre riuscite. “Don Jr. prende il posto del padre come più grande stronzo di Twitter”, aveva titolato Vanity Fair Usa. La scorsa settimana Don Jr. ha partecipato al Cpac, l’importante conferenza dei conservatori americani molto incentrata sul padre, e ha preso di mira John Fetterman, senatore democratico eletto a novembre che ha permesso ai dem di non perdere il Senato. Fetterman era stato vittima di un ictus e di recente è finito in ospedale per una depressione. “La Pennsylvania è riuscita a eleggere un vegetale”, ha detto alla folla. Tale padre tale figlio, dicono i commentatori, riferendosi a quando Donald senior aveva preso in giro un giornalista disabile del New York Times facendo versi e gesti con le braccia come un bambino delle medie. Negli ultimi anni Don Jr. è stato più volte attaccato per le sue posizioni ambigue e ammiccanti rispetto a nazionalisti, suprematisti bianchi, e per la condivisione di varie teorie cospirazioniste che tengono viva la fantasia della destra Usa, postando anche immagini di Pepe the Frog, la rana simbolo internettiano dell’AltRight. Nel 2019 ha attaccato Pfizer perché secondo lui l’azienda farmaceutica avrebbe aspettato a distribuire il vaccino per il Covid-19 con l’obiettivo di danneggiare l’immagine del padre, commercializzandolo solo dopo il suo doloroso addio alla Casa Bianca. Il suo cv è pieno di queste storie. Su Instagram, dove si proclama “Meme Wars General”, oltre alla costante e quasi patetica difesa del papà, cerca di brandizzarsi e sul suo shop online vende magliette con scritto “Compra americano”, oppure “Fauci uccide i cagnolini”. Un attacco all’immunologo ed ex consigliere di Biden, il dottor Fauci, che avrebbe concesso dei fondi per degli esperimenti su cuccioli di beagle.

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Dall’altra parte dello spettro politico di un paese sempre più polarizzato troviamo l’unico figlio maschio ancora in vita di Joe Biden: Hunter. Beau, il primogenito destinato a un’eventuale carriera governativa, è morto per un glioblastoma a 46 anni nel 2015. Nel suo libro Joe Biden scrive: “Ero piuttosto certo che Beau potesse candidarsi alla presidenza, un giorno”. Veterano della guerra in Iraq e procuratore generale del Delaware, come Hunter era figlio della prima moglie del presidente, Neilia, morta in un incidente d’auto insieme alla figlioletta di un anno nel 1972. Sia Beau che Hunter si trovavano in macchina e se la cavarono con qualche mese in ospedale e un po’ di ossa rotte. Joe Biden ha poi avuto un’altra figlia dalla seconda moglie – e ora first lady – Jill. Ma quello sotto i riflettori è Hunter.

 

Negli ultimi anni è diventato il feticcio della destra americana, un bersaglio facile utilizzato dai repubblicani per attaccare il presidente e le sue policies. Il progressista New Yorker nel 2019 si chiedeva “Hunter metterà a repentaglio la campagna elettorale del padre?”. Cinquantatré anni, Hunter ha lavorato come lobbista per poi mollare sotto le pressioni della campagna Obama-Biden, e qui iniziano le accuse perché poi è stato nel board di una private equity cinese e ha collaborato con il miliardario Ye Jianming per la costruzione di un gasdotto in Louisiana – “E’ un burattino della Cina”, ha detto più volte Donald Trump. Poi ha lavorato in Ucraina, con l’ex ministro Mykola Zlochevsky per una società che si occupa di produzione energetica, Burisma. Il primo impeachment di Trump parte proprio nel 2019 dall’abuso di potere nell’aver telefonato a Zelensky e avergli chiesto, in cambio di aiuti economici alla nazione, di investigare bene i traffici di Hunter dentro Burisma e un’eventuale coinvolgimento di Joe negli affari del figlio. Nel marzo del 2022, con l’invasione già in corso, Donald Trump, dopo averlo chiamato “genio”, ha chiesto a Putin di rivelare informazioni sui presunti intrallazzi di Hunter in Ucraina. E poi c’è la storia del portatile – Hunter avrebbe lasciato un computer in un negozio, per aggiustarlo, senza tornare a ritirarlo. Avvertiti dal proprietario, gli agenti dell’Fbi l’hanno preso in custodia. Dentro, secondo i teorici della cospirazione, ci sarebbero stati materiali compromettenti su Joe Biden che avrebbero potuto cambiare il risultato delle presidenziali del 2020. I trumpiani hanno attaccato Facebook perché avrebbe dato poca luce alla vicenda. Allora Trump aveva detto che quella di Biden era una “famiglia della criminalità organizzata”. Quando i repubblicani a novembre hanno preso il controllo della Camera hanno promesso che avrebbero iniziato un’inchiesta ufficiale sul Laptopgate. “C’è qualcosa di losco dietro agli affari internazionali di Hunter”, è lo storytelling che cerca di fare una certa destra Usa, “e suo padre è sicuramente coinvolto”. E anche l’establishment del GoP ha cavalcato questa narrazione per riuscire in qualche modo a scalfire una presidenza che, contro ogni pronostico, è piuttosto solida. Le altre invettive che arrivano, e che cercano di creare macchie sulla Casa Bianca, sono indirizzate allo stile di vita di Hunter. Dipendenza dalle droghe, cocaina e crack, anni di alcolismo (Donald Trump, d’altra parte, è astemio). L’energia per mettere Hunter sotto i riflettori è così tanta che la Breitbart, per un po’ controllata dal rasputin trumpiano Steve Bannon, ha prodotto il suo primo film proprio sul figlio del presidente, un biopic dark un po’ ridicolo che mostra un Hunter Biden tra prostitute e stupefacenti, con un creepy Joe Biden coinvolto nei più loschi traffici. Il sottotitolo del film è “La famiglia viene prima di tutto”. La vita privata del first son è stata rappresentata come risultato della sua anima dannata: un terribile divorzio dalla prima moglie con cui aveva avuto tre figli, poi una relazione con la vedova del fratello Beau e infine un secondo matrimonio con un’attivista sudafricana. In mezzo ha avuto un figlio con una sua ex dipendente, riconosciuto solo dopo un test del Dna che è stato obbligato a fare. Joe, da presidente, ha sempre difeso Hunter dagli attacchi, ma da un punto di vista elettorale i vecchi scandali, seppur spesso gonfiati o inventati dall’Alt Right, e la sua immagine pubblica non lo aiutano in nessun modo. Mentre l’Iran minaccia di costruire la bomba, mentre Putin invade l’Ucraina, mentre i treni pieni di materiale tossico deragliano in Ohio, e con la recessione alle porte, ci si occupa dei figli dei presidenti, sempre e comunque al centro del dibattito. Hunter rappresenta, per i populisti di destra, quel simbolo degli intrallazzi dei democratici di potere, gli irresponsabili protetti dai poteri forti perché “figli di”. Don Jr. rappresenta, per la sinistra, il primogenito che cerca in ogni modo di ottenere l’attenzione del padre megalomane ed egocentrico, a rischio di andare sempre più a destra per trovare un’audience che lo ascolti.

   

Il tempo cambia molte cose, cantava Battiato, e tante ne cambierà da qui alle prossime presidenziali, ma se restiamo oggi a guardare i sondaggi sembrerebbe che la sfida più probabile per il 2024 sia un re-match. Potrebbero cambiare le scelte dei vicepresidenti, sicuramente per i repubblicani (Mike Pence è uscito dal gruppo dopo che i rivoltosi del 6 gennaio volevano impiccarlo), ma potremmo assistere a uno scontro geriatrico, Donald vs Joe, un settantottenne contro un ottantaduenne, perché al momento, nonostante qualche fugace innamoramento per le meteore, le rispettive basi continuano a voler andare sul sicuro. Secondo l’oracolare sito di sondaggi, FiveThirtyEight, i due sono in bilico con un 50/50, mentre la vicepresidente Kamala Harris perderebbe contro chiunque. Nel campo repubblicano Ron DeSantis, il governatore della Florida post-trumpiano, avrebbe invece un po’ più chance, ma comunque non quanto Trump. Ma i due oldies continuano oggi ad avere la meglio. In questo caso i due figli, Junior e Hunter, avranno un peso nella campagna elettorale. Il primo attivamente, come surrogato e portavoce, come rappresentante della famiglia nel sottobosco cospirazionista dei social network, e chissà, magari di nuovo come collegamento con qualche potenza straniera che cerca di intervenire nel gioco della democrazia americana. Il secondo invece, suo malgrado, vorrebbe solo nascondersi per non infangare il buon nome dei Biden e invece viene trascinato nell’arena, diventando bersaglio della Camera a maggioranza repubblicana e delle folle al Cpac.

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