La diaspora di Mosca

Cosa dicono (e a chi scrivono) i russi che hanno scelto l'esilio

Francesca Ebel e Mary Ilyushina

Le dimensioni dell’esodo dopo l’invasione dell’Ucraina sono storiche. Le nuove vite, da Yerevan a Dubai

Yerevan, Armenia. Quando lo scorso febbraio le truppe russe hanno fatto irruzione in Ucraina mettendo milioni di ucraini in fuga per salvarsi la vita, anche migliaia di russi si sono affrettati a fare le valigie e a lasciare casa, temendo che il Cremlino chiudesse le frontiere e imponesse la legge marziale. Alcuni si opponevano da tempo al crescente autoritarismo e l’invasione è stata l’ultima goccia. Altri erano spinti da interessi economici, per preservare i propri mezzi di sostentamento o per sfuggire alle sanzioni. Poi, lo scorso autunno, una mobilitazione militare ha spinto centinaia di migliaia di uomini a scappare. La guerra del presidente russo Vladimir Putin ha dato il via a un esodo storico del  proprio stesso popolo. I dati iniziali mostrano che almeno 500 mila, forse quasi un milione, sono partiti nell’anno trascorso dall’inizio dell’invasione – un’ondata pari all’emigrazione seguita alla Rivoluzione bolscevica del 1917 e al crollo dell’Unione sovietica nel 1991. Ora come allora, queste partenze sono destinate a ridefinire il paese per generazioni. E il flusso potrebbe essere ancora nelle sue fasi iniziali. La guerra sembra tutt’altro che finita. Qualsiasi nuovo sforzo di arruolamento da parte del Cremlino scatenerà nuove partenze, così come il peggioramento delle condizioni economiche, previsto con il protrarsi del conflitto. L’enorme deflusso ha ampliato le comunità di espatriati russi in tutto il mondo e ne ha create di nuove. Alcuni sono fuggiti nelle vicinanze, in paesi come l’Armenia e il Kazakistan, attraverso i confini aperti ai russi. Alcuni, muniti di visto, sono fuggiti in Finlandia, negli stati Baltici o altrove in Europa. Altri si sono avventurati più lontano, negli Emirati Arabi Uniti, in Israele, in Thailandia, in Argentina. Due uomini dall’Estremo oriente russo hanno persino navigato su una piccola barca fino all’Alaska. 

 

La scelta era tra: la prigione, l’arruolamento in Ucraina o andarsene via. Il pericolo reale, “all’improvviso”

 

Il costo finanziario, per quanto vasto, è impossibile da calcolare. Alla fine di dicembre, il ministero delle Comunicazioni russo ha riferito che il 10 per cento dei lavoratori informatici del paese era partito nel 2022 e non era più tornato. Il parlamento russo sta discutendo un pacchetto di incentivi per farli tornare in patria. Ma in parlamento si è anche parlato di punire i russi che hanno lasciato il paese privandoli dei loro beni in patria. Putin ha definito queste persone “feccia” e ha detto che la loro uscita avrebbe “ripulito” il paese – nonostante alcuni di quelli che sono partiti non si siano opposti a lui o al conflitto. Con il governo che limita severamente il dissenso e applica punizioni per le critiche alla guerra, anche coloro che sono rimasti nell’opposizione politica, ormai esaurita, quest’anno si sono trovati di fronte a una scelta: la prigione o l’esilio. La maggior parte ha scelto l’esilio. Attivisti e giornalisti sono ora raggruppati in città come Berlino e nelle capitali di Lituania, Lettonia e Georgia. “Questo esodo è un colpo terribile per la Russia”, ha detto Tamara Eidelman, una storica russa trasferitasi in Portogallo dopo l’invasione. “Lo strato che avrebbe potuto cambiare qualcosa nel paese ora è stato spazzato via”. Mentre i rifugiati ucraini sono stati accolti in occidente, molti paesi hanno evitato i russi, incerti se fossero amici o nemici e se, in qualche modo, l’intero paese fosse colpevole. Alcune nazioni hanno bloccato gli arrivi imponendo restrizioni all’ingresso o negando nuovi visti, seminando a volte il panico tra i russi già all’estero, soprattutto gli studenti.

 

Nel frattempo, l’afflusso di russi in paesi come il Kazakistan e il Kirghizistan, che da tempo inviano immigrati in Russia, ha scatenato scosse politiche, mettendo a dura prova i legami tra Mosca e gli altri stati ex sovietici. I prezzi degli immobili in questi paesi sono aumentati, causando tensioni con le popolazioni locali. A quasi un anno dall’inizio dell’invasione – e dal nuovo deflusso di russi – i giornalisti del Washington Post si sono recati a Yerevan e a Dubai per sentire come procede la vita degli emigrati e per chiedere loro se hanno intenzione di tornare. Yerevan, la capitale dell’Armenia, un’ex repubblica sovietica, è una meta per i russi con poca liquidità  finanziaria – un paese cristiano ortodosso dove il russo è la seconda lingua. Al contrario, la costosa Dubai, nel Golfo Persico, è prevalentemente musulmana e di lingua araba e attrae i russi più ricchi in cerca di sfarzo o di opportunità commerciali.


Yerevan


Per molti russi che hanno scelto di fuggire, l’Armenia è stata un’opzione facile – e rara. E’ uno dei cinque paesi ex sovietici che permettono ai russi di entrare con il solo documento d’identità nazionale, il che lo rende una destinazione popolare per ex soldati, attivisti politici e tutti quelli che hanno bisogno di una fuga rapida. Con la condivisione della religione e della lingua, in Armenia i russi non devono affrontare astio o stigma sociale. Anche l’ottenimento del permesso di soggiorno è semplice e il costo della vita è inferiore a quello dell’Unione europea. Yerevan ha attirato migliaia di lavoratori del settore informatico, giovani creator e operai, comprese famiglie con bambini, da tutta la Russia. Hanno fondato nuove scuole, bar, caffè e solide reti di supporto. Nel cortile della “Scuola libera” per bambini russi, fondata ad aprile, Maxim, dirigente di un’impresa edile, aspetta il figlio Timofey di 8 anni. La scuola ha iniziato con 40 studenti in un appartamento. Ora sono quasi 200 in un edificio a più piani nel centro della città. Maxim è volato a Yerevan da Volgograd per evitare la mobilitazione di settembre.

 

Bambini russi  diretti al parco giochi della "Scuola libera" durante la ricreazione, a Yerevan, in Armenia. Foto di Tako Robakidze, The Washington Post.

 

 

“Siamo partiti per lo stesso motivo per cui lo hanno fatto tutti: nel paese c’era improvvisamente un pericolo reale per me e, soprattutto, per la mia famiglia”, ha detto. La famiglia si è adattata senza problemi a Yerevan. Tutti parlano russo. Maxim lavora da remoto a progetti in Russia. A Timofey piace la scuola e sta imparando l’armeno. Maxim si è detto sicuro che la famiglia non tornerà in Russia. “Forse ci trasferiremo altrove, magari anche in Europa se le cose cominceranno a normalizzarsi”, ha detto. In un rifugio alla periferia di Yerevan, Andrei, 25 anni, ex ufficiale militare della regione russa di Rostov, dice che anche lui si sta adattando alla sua nuova vita dopo essere sfuggito al servizio di leva: “Non volevo essere un assassino in questa guerra criminale”.

 

Il Tuf prende il nome dalla roccia vulcanica rosa di Yerevan ed è il “bar-famiglia” della nuova comunità russa

 

Andrei lavora come fattorino e condivide una modesta stanza con altri due uomini in un rifugio allestito da Kovcheg, un’organizzazione di sostegno per gli emigranti russi. “Prima della guerra non avevo mai seguito la politica, ma dopo l’invasione ho iniziato a leggere di tutto”, racconta Andrei. “Mi vergogno molto per quello che ha fatto la Russia”. Nel frattempo, in uno spazio di co-working in centro, gruppi di attivisti russi organizzano dibattiti, incontri politici e sedute terapeutiche. Sulle pareti sono appesi messaggi di sostegno all’Ucraina e la bandiera bianca e blu adottata dall’opposizione russa. In una riunione di fine gennaio, decine di russi erano curvi sui tavoli e scrivevano lettere ai prigionieri politici in Russia. “Più lettere ci sono, meglio è”, dice Ivan Lyubimov, 37 anni, attivista di Ekaterinburg. “E’ importante che non si sentano soli”. Solleva una vignetta di un panda sorridente. Per eludere la censura carceraria, devono evitare di scrivere qualsiasi cosa di carattere politico, ma i disegni vengono sicuramente consegnati.

 

A Timofey piace la scuola e sta imparando l’armeno. Maxim è sicuro che la sua famiglia non rientrerà in Russia

 

Tanya Raspopova, 26 anni, è arrivata a Yerevan lo scorso marzo con il marito, ma senza un piano, sopraffatta e spaventata. Poi ha sentito che un altro emigrato cercava soci per creare un bar, uno spazio in cui gli espatriati russi potessero riunirsi, e ha voluto dare una mano. Il Tuf, che prende il nome dalla roccia vulcanica rosa comune in tutta Yerevan, ha aperto i battenti nel giro di un mese. Hanno iniziato con un bar e una cucina illuminati al neon al piano terra, che presto si è allargato in un piccolo cortile. Poi hanno aperto un secondo piano, quindi un terzo. Al piano superiore ci sono uno studio di registrazione, una boutique di abbigliamento e un salone di tatuaggi. Un mercoledì sera di gennaio, il locale era pieno di giovani russi e armeni che cantavano al karaoke, bevevano cocktail e giocavano a ping pong. “Da allora abbiamo creato una grande comunità, una grande famiglia”, dice Raspopova. “Tuf è la nostra nuova casa”.


Dubai

I russi sono ovunque a Dubai: in aeroporto stringono borse di Dior appese a valigie di Louis Vuitton, girano per i centri commerciali in tuta da ginnastica e filmano video per TikTok e reel per Instagram vicino al Burj Khalifa. I ricchi e i potenti della Russia hanno viaggiato a lungo a Dubai, ma era solo uno dei tanti luoghi caldi. Le cose sono cambiate quando la guerra ha tagliato fuori i russi dall’occidente. Migliaia di persone hanno scelto gli Emirati Arabi Uniti, che non hanno aderito alle sanzioni occidentali e hanno ancora voli diretti per Mosca, come loro nuova casa. I russi godono dell’esenzione dal visto per 90 giorni ed è relativamente facile ottenere una carta d’identità nazionale per affari o investimenti per un soggiorno più lungo. L’alto costo della vita fa sì che non ci siano attivisti o giornalisti. Dubai è un rifugio e un parco divertimenti per fondatori tech russi, miliardari sotto sanzioni, milionari non puniti, celebrità e influencer. Poco dopo l’invasione, le conversazioni nel ricco quartiere Patriarch Ponds di Mosca si sono spostate sui migliori affari immobiliari di Dubai, ha detto Natalia Arkhangelskaya, che scrive per Antiglyanets, un blog su Telegram sprezzante e influente incentrato sull’élite russa. Un anno dopo, i russi hanno spodestato inglesi e indiani tra i principali acquirenti di immobili a Dubai, yacht di proprietà russa attraccano al porto turistico e jet privati vanno su e giù da Dubai a Mosca. I russi possono ancora acquistare appartamenti, aprire conti bancari e acquistare articoli di pelletteria firmati che prima acquistavano in Francia. “Dubai è costruita sul concetto che le persone con i soldi vengono qui”, ha detto Arkhangelskaya. L’abbraccio degli Emirati Arabi Uniti alle imprese straniere ha attirato un flusso di lavoratori informatici russi che cercano di tagliare i ponti con la Russia e di rimanere collegati ai mercati globali. Le start-up cercano finanziamenti da acceleratori sostenuti dallo stato. Le aziende più grandi cercano clienti per sostituire quelli persi a causa delle sanzioni.

 

La guerra ha cambiato il paese per sempre: “Più dura, più la dittatura continua, meno persone torneranno”

 

Un appartamento al 40esimo piano di una delle torri del Jumeirah Beach Residence, con vista mozzafiato, è riservato agli incontri settimanali aperti ai nuovi arrivati. In una ventosa serata di gennaio, l’organizzatore, Ivan Fediakov, a capo di una società di consulenza, ha accolto gli ospiti indossando una felpa nera con sopra stampato “Tutti capiscono tutto”, uno slogan reso popolare da Alexey Pivovarov, un giornalista russo bollato dalla Russia come agente straniero il cui canale YouTube conta 3,5 milioni di abbonati. Circa una decina di persone sono arrivate per discutere di opportunità economiche in India, che ha mantenuto i legami con la Russia nonostante la guerra. La maggior parte ha espresso amarezza per la politica del Cremlino e nostalgia di Mosca quando era un aspirante hub globale. Alexandra Dorf, imprenditrice informatica, si è trasferita a Dubai con i suoi due figli ad aprile. “Nessuno sapeva cosa sarebbe successo dopo”, dice Dorf. “I confini possono essere chiusi all’improvviso”. “Bisognava prendere una decisione: o si resta o si va via in fretta”. 

 

Anastasia Smernova, istruttrice di fitness e influencer russa, sul suo balcone in uno spazio di co-living occupato principalmente da russi che si sono trasferiti a Dubai. Foto di Natalie Naccache, Washington Post.

 

 

Nel 2022, Dorf ha tagliato i ponti con la Russia: ha venduto il suo appartamento e la sua auto e ha trovato un nuovo lavoro a Dubai come responsabile dello sviluppo commerciale presso un’azienda che si occupa di intelligenza artificiale. “Per i primi due mesi sei costantemente stressata, i tuoi figli sono stati strappati dal loro solito stile di vita e non puoi iscriverli a scuola a metà anno”, spiega. “Ma Dubai è un centro in piena espansione. La cosa più importante per me è poter sviluppare progetti internazionali e integrare i miei figli in una comunità globale, in modo che crescano in un ambiente libero”. Oltre al settore tecnologico, molti russi della classe media hanno seguito il denaro a Dubai, per lavorare nell’ospitalità, per aprire saloni di bellezza o semplicemente per lavorare a distanza. 


Il terzo esodo

Come gli emigrati russi bianchi dell’èra bolscevica e gli immigrati post-sovietici degli anni ’90, molti di coloro che hanno lasciato la Russia a causa della guerra in Ucraina probabilmente sono andati via per sempre. Lo storico russo Eidelman dice che più lunga è la guerra, più profonde sono le cicatrici. “Ogni mese in più porta le persone ad abituarsi a un paese diverso”, ha detto. “Trovano un lavoro, i loro figli vanno a scuola, iniziano a parlare una lingua diversa. Più dura la guerra, più la dittatura nel paese continua, meno persone torneranno”. Ma la tecnologia rende questo esodo diverso dai precedenti, garantendo che i russi all’estero rimangano legati al loro passato. Per Matthew Rojansky, presidente della U.S. Russia Foundation, un gruppo con sede a Washington, gli espatriati russi potrebbero diventare “un deposito di competenze rilevanti per una Russia migliore, più libera e moderna”. Per il momento, però, Rojansky dice che il flusso in uscita invia un messaggio chiaro: “E’ un fatto storico”. “Queste persone stanno votando con i piedi. Se ne vanno a causa di ciò che sta facendo il regime di Putin”.

Copyright Washington Post