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OCCHI SULLA BIELORUSSIA

La nuova grande invasione che non c'è. Tutti gli indizi di un inganno

Oggi le ipotesi sono due: o non è grande o è piuttosto un’operazione psicologica per confondere gli ucraini e i loro alleati

Cecilia Sala

A novembre 2021 è stata previsto con esattezza e quattro mesi di anticipo quello che è succeso il 24 febbraio 2022 grazie alle informazioni d'intelligence e agli occhi dei satelliti. I preparativi per una grande offensiva si vedono: i russi non li fanno

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Roma. I dipendenti delle ferrovie bielorusse hanno chiacchierato in una chat pubblica su Telegram delle tecniche con cui starebbero camuffando i mezzi corazzati russi, che in questa fase starebbero arrivando a frotte nel loro paese, per renderli irriconoscibili agli occhi dei satelliti. Era una conversazione insolita e, quando è stata bloccata, la censura di Minsk non ha fatto che aumentare la visibilità della notizia. O è stato un errore imbarazzante del governo, che invece di nascondere meglio un’informazione segretissima le ha fatto una gran pubblicità, o l’errore non c’è e questo è un altro messaggio minaccioso per Kyiv: i russi stanno tornando. Però una grande offensiva si prepara per mesi e si vede con anticipo, come è successo a novembre 2021 per quella del 24 febbraio 2022. Oggi le ipotesi sono due: o non è grande o è piuttosto un’operazione psicologica per confondere gli ucraini e i loro alleati. 
Il capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov, che non ha mai preso troppo sul serio la possibilità di una nuova grande invasione che arrivasse anche da nord,  dalla Bielorussia, a un certo punto ha detto che i suoi agenti hanno osservato dei movimenti di armi e truppe russe che avevano tutta l’aria di essere una recita: varcavano il confine, stazionavano per un po’ nel sud della Bielorussia, si facevano fotografare, tornavano a casa in Russia. Magari per essere poi utilizzate in missioni meno velleitarie della chiacchieratissima nuova grande invasione  e più urgenti, come la conquista di piccole porzioni di territorio intorno a Bakhmut o a Vuhledar in Donbas. 
Uno dei massimi esperti di apparati e operazioni militari di Mosca, l’analista che dirige il Programma di studi sulla Russia del think tank americano Cna Michael Kofman, ha ripetuto più volte che le grandi offensive di terra hanno bisogno di molto tempo per essere preparate (ammassando uomini e armi) e che se questo stesse davvero accadendo non solo le agenzie d’intelligence occidentali, ma anche gli analisti, utilizzando strumenti di ricerca accessibili a tutti, lo avrebbero capito. 
In questo momento in Bielorussia ci sono circa 23 mila russi tra soldati regolari a tempo pieno, nuovi mobilitati e mercenari.  Quattro mesi prima dell’invasione, Vladimir Putin aveva mosso quasi duecentomila truppe professioniste verso i confini ucraini, in Russia ma soprattutto in Bielorussia. In quella fase, lo scorso inverno, il Cremlino negava con decisione che ci sarebbe potuta essere un’invasione e prendeva in giro primi ministri, alti ufficiali e spie occidentali che dicevano di temerla seriamente. Mentire non aveva funzionato, ma dal punto di vista di Putin era naturale non svelare i piani di guerra e continuare a negare fino all’ultimo. Le discussioni bizzarre dei ferrovieri bielorussi e la censura che le ha rese una notizia clamorosa sembrano invece un modo raffinato di confondere e minacciare una grande offensiva senza arrivare a farlo in maniera esplicita, proprio perché in quel caso l’annuncio stesso  svuoterebbe la minaccia. 
L’intelligence militare ucraina ha recepito le informazioni in questo modo, come anche quella che – alla fine dell’anno scorso – il ministero bielorusso della Sanità e quello per le Emergenze hanno rivisto i protocolli congiunti per  una distribuzione rapida di iodio in caso di necessità. Lo iodio serve a proteggersi dalle radiazioni: non è successo nulla di concreto, c’è stato solo un emendamento a una procedura burocratica che però doveva funzionare come indizio del fatto che i russi torneranno da nord e, visto che sulla strada del nuovo assalto a un certo punto si troveranno davanti la centrale nucleare ucraina di Rivne, potrebbero esserci dei combattimenti  in quella zona e di conseguenza dei nuovi pericoli. 
 L’obiettivo è confondere Kyiv, spaventare gli alleati, provocare reazioni concrete come spostamenti ucraini sul campo, ad esempio sguarnendo il Donbas per proteggere meglio il nord. Per Kofman, è proprio il Donbas l’unica cosa a cui Mosca mira nella prossima fase della guerra. La “grande” offensiva sarebbe piccola e al massimo potrebbe puntare a conquistare la porzione della oblast di Donetsk che manca. Al minimo, a congelare la situazione com’è, ma con uno stallo sanguinoso che logora l’esercito di Kyiv in previsione di una guerra lunga e con la speranza che a un certo punto si manifesti la stanchezza occidentale. I russi per primi stanno vedendo sul campo i vantaggi di aver accorciato la linea del fronte dopo il ritiro da Kherson, ora si riorganizzano per fare meglio ma sulle stesse linee di attacco. Se, in futuro, ritentassero un’operazione su larga scala, commetterebbero lo stesso errore (disperdere energie, complicare la logistica, sparpagliarsi esponendo agli agguati i mezzi e i soldati) che li ha rovinati all’inizio dello scorso anno.  

 

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