Lo stato della disunione

L'America è a pezzi ma Biden sa tenere insieme l'asse delle democrazie

Paola Peduzzi

Nella fotografia del discorso del presidente americano si vede una frattura interna insanabile. Non impatta sulla guerra di Putin

Nell’America che si scatta la tradizionale   fotografia  con il discorso sullo Stato dell’Unione del presidente Joe Biden, si parla solo di un muro, o meglio di una barriera. E’ quella che la Casa Bianca ha voluto attorno al Congresso, perché ci sono state alcune minacce e quel palazzo è già stato violato da una massa eversiva e antidemocratica due anni fa. I repubblican-trumpiani sono insorti, in modo contraddittorio. C’è chi dice a Biden: i muri funzionano, perché non ne vuoi uno al confine sud  contro i migranti? C’è chi dice: abbasso il muro di Biden, la gente deve poter protestare contro questa presidenza che impoverisce l’America. Questa è già una piccola fotografia rappresentativa: ecco l’America della disunione interna, ma  anche l’America che ha tenuto insieme l’alleanza internazionale delle democrazie. E’ un lavoro quotidiano che non ammette distrazioni, come dimostrano le frasi di ieri del premier ungherese Viktor Orbán, che ha nuovamente chiesto un cessate il fuoco immediato, colloqui di pace e una discussione franca sulle sanzioni europee “che stanno distruggendo l’economia dell’Ue”, ha riferito il suo portavoce. Orbán dovrebbe rivolgersi a Vladimir Putin piuttosto che a Bruxelles o a Washington, visto che il presidente russo è l’unico che può mettere fine alla guerra in qualsiasi momento, ma naturalmente le provocazioni del premier ungherese – sempre le stesse, ma sempre più pericolose – trovano varchi per insinuarsi in un dibattito che nelle ultime ore, almeno sui media italiani, era declinato seguendo due vie alternative: o lo scontro nucleare o la tregua.  

 

Ancora una volta: è Mosca che evoca il fungo atomico ed è Mosca che rifiuta la tregua, gli ucraini e i suoi alleati si difendono e difendono un ordine liberale che Putin vuole stravolgere con la forza. Per fortuna Joe Biden, il presidente che non riesce a costruire un’unione interna in cui i due partiti che gestiscono il paese – i repubblicani hanno la maggioranza alla Camera – trovano una qualche forma di dialogo, è riuscito a costruire un’unità occidentale che ha capito che cosa c’è in gioco e che è disposta a proteggere le proprie democrazie aiutando l’Ucraina fino a quando ci sarà bisogno. Certo, ci sono tentennamenti, ripensamenti, discussioni sui mezzi militari da mandare all’esercito ucraino, così come sul processo di adesione di Kyiv all’Unione europea e sulla ricostruzione, con tutti i timori sulla destinazione effettiva degli aiuti finanziari occidentali (Volodymyr Zelensky ha avviato una lotta alla corruzione dimostrativa per ribadire agli alleati, che hanno sempre bisogno di rassicurazioni anche controproducenti per lo stesso governo di Kyiv: potete fidarvi di noi); certo, c’è l’Inflation reduction act che è davvero un grattacapo per le economie europee e sembra uno sgarbo grosso da parte di Washington, ma l’unità sulla necessità di respingere l’aggressione russa regge e si evolve e spintona via i propri tabù. Ci mette troppo tempo, ed è tempo in cui civili e militari ucraini vengono falcidiati da Putin, ma regge, e non era affatto scontato. Basta guardare com’è il dibattito interno all’America, quello che fa dire a Biden che è più facile difendere la democrazia a livello internazionale che dentro il suo stesso paese: buona parte dei repubblicani, imboccati da Donald Trump, pensa che bisogna negoziare in fretta una tregua e ridimensionare il sostegno all’Ucraina.

 

Anche qui, i repubblicani farebbero meglio a chiedere a Putin di sospendere attacchi e bombe, ma intanto si infilano, a seconda dell’occasione del giorno, in molte contraddizioni: c’è chi dice che Biden è debole ed è ostaggio dei falchissimi ucraini; c’è chi dice che Biden è un guerrafondaio e ha sempre desiderato la distruzione di Putin; tutti concordano nell’America first: invece di aiutare gli ucraini, “l’assegno in bianco” va girato ai cittadini americani. Il pallone-spia mandato da Pechino sui cieli americani ha mostrato ancora più chiaramente questa confusione: prima Biden è stato criticato perché non aveva abbattuto subito il pallone e aveva aspettato; poi perché aveva abbattuto il pallone e che cosa vuole ora questo presidente, fare la guerra alla Cina e a Putin contemporaneamente?; tutti concordano sul fatto che Pechino rappresenti una minaccia, ma nessuno ha il coraggio di dire che ne è convinta anche la Casa Bianca.  La disunione americana finora è risultata non emendabile: Biden deve fronteggiare il rincaro dei prezzi, andare avanti con la sua riforma sociale (cui aggiunge un tetto al prezzo dell’insulina, diventata un prodotto di lusso, e la lotta alle droghe sintetiche che stanno flagellando il paese), affrontare la questione controversa della propria ricandidatura. Non lo aspetta un anno facile, ma questa disunione ci dà un assaggio di quel che potrebbe succedere a livello internazionale se non ci fosse una guida determinata e paziente come quella di Biden, il presidente che non è riuscito a rimettere insieme i pezzi dell’America, ma sta tenendo insieme i pezzi dell’alleanza delle democrazie. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi