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Sui migranti le minacce non funzionano: lezioni dalla Manica per Meloni

Luca Gambardella

Sunak e Macron vicini a un'intesa per arginare gli sbarchi a Dover: più soldi a Parigi in cambio di maggiori controlli alle frontiere. I compromessi funzionano

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Il primo a stringere la mano a Giorgia Meloni e il primo, anche, ad aprire una crisi diplomatica con la nuova premier, sull'immigrazione Emmanuel Macron vive da tempo una situazione analoga a quella italiana, ma a parti invertite, con il Regno Unito. Un anonimo giurista citato ieri dal Figaro ha definito la politica della fermezza decisa dall'Eliseo nei confronti del nostro paese come “l'arroseur arrosé”. Letteralmente significa “l'annaffiatore annaffiato” o, in senso più figurato “colui che assaggia la sua stessa medicina”. “Con l'Italia, la Francia sposa la postura che la Gran Bretagna ha a sua volta adottato contro il nostro paese”, spiega il magistrato. Basterebbe capovolgere la mappa d’Europa per vedere come la Francia, da principale paese di destinazione dei movimenti secondari provenienti dall’Italia, sia a sua volta la spina nel fianco dell’accoglienza britannica. 

    

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I migranti che hanno raggiunto le coste di Dover attraversando la Manica, solo quest’anno, sono stati già 40 mila e sul controllo delle frontiere  il governo di Rishi Sunak si gioca buona parte della propria credibilità. In occasione della Cop27 di Sharm el Sheik, mentre scambiava convenevoli con Meloni, Macron ha posto le basi per un accordo in piena regola con Sunak sulla gestione delle frontiere. Accordo che ora sarebbe prossimo a una conclusione. Lo ha confermato il portavoce del premier britannico: “Se ne è parlato (in Egitto, ndr) e siamo vicini al traguardo”. Il presidente francese, da parte sua, ha detto che c'è un clima di “ottimismo e fiducia”: “Dopo la diplomazia del megafono di questi ultimi anni – ha aggiunto Macron – un accordo sul tema dei migranti cementerà le relazioni franco-britanniche”. Toni radicalmente diversi da quelli spesi in passato dall'ex premier Liz Truss, che aveva pubblicamente messo in dubbio l'amicizia del capo dell'Eliseo, quando si parlava di immigrazione.

 

I termini del nuovo patto sui migranti fra Parigi e Londra potrebbero ricalcare quelli dell'intesa precedente, che risale al 2021, ma anche la logica di fondo dell'accordo di ripartizione volontaria fra i paesi dell'Ue, ora messo in crisi della querelle italo-francese: soldi in cambio dell'accoglienza. In questo caso, i britannici si impegnerebbero a versare circa 90 milioni di euro a Parigi, molti di più dei 63 stanzianti lo scorso anno, a condizione che la gendarmerie pattugli con più solerzia le coste dell'Alta Francia. La cifra, nei piani di Sunak, potrebbe essere condizionata al numero delle intercettazioni dei barchini da parte dei francesi. Il ministro dell'Immigrazione britannico, Robert Jenrick, ha detto che la polizia di Parigi quest'anno ha fermato 29 mila persone che tentavano di attraversare la Manica, distruggendo oltre mille barche. Numeri che si sono rivelati finora insufficienti. Un'intesa sul controllo delle frontiere porterebbe, per il Regno Unito, a un cambiamento radicale anche della politica d'accoglienza. Le polemiche delle ultime settimane – il caso dello squilibrato che ha lanciato un ordigno rudimentale contro un centro di accoglienza a Douvres, nel Kent, e il sovraffollamento nell'altro centro di Manston – hanno convinto Downing Street a una svolta, con l'obiettivo di ridurre dell'80 per cento il tempo dedicato all'analisi delle richieste di asilo. Una svolta distensiva, frutto di paziente mediazione e qualche compromesso reciproco. Una lezione, forse, per la “politica del megafono” che  invece si sente di nuovo oltre le Alpi, dalle parti di Roma.

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