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Lula di Montecristo

Cosa vuole fare Lula del Brasile spaccato in due

Maurizio Stefanini

“Volevano seppellirmi, ma sono risorto”, dice l'ex presidente del partito dei lavoratori, che ha dalla sua carisma, capacità di navigare, pragmatismo e un partito strutturato. Ma in campagna elettorale non ha parlato di futuro. E il rischio è certi richiami alla linea dura del Pt potrebbero creare problemi anche all’economia

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Prima la Borsa brasiliana è caduta, alla notizia della vittoria di Lula. Preoccupazione  per la non riconferma di un presidente che suscitava polemiche e paura, ma con cui l’economia stava crescendo del 2,7 per cento, il real venerdì scorso aveva guadagnato il 5,2 per cento sul dollaro e l’indice azionario della Borsa di San Paolo Bovespa aveva registrato nell’anno un +14,8 che rappresentava il secondo posto al mondo? Ma poi c’è stata una rapida ripresa. Più che paura per Lula, dunque, sarebbe stata la paura poi rientrata che Bolsonaro di fronte alla sconfitta non ammettesse il risultato e si comportasse come Donald Trump.

  
Che però vi sia vera fiducia di mercati e imprenditori nei confronti di quello che è stato definito nella stampa sia “Lula 3.0”, sia “la fenice”, è un altro paio di maniche. Da una parte, la sua vittoria di misura è stata dovuta anche all’appoggio massiccio di partiti, elettori e politici centristi che lo hanno preferito come male minore rispetto al “Trump brasiliano”: a partire da Geraldo Alckmin, ora eletto suo vicepresidente dopo averlo affrontato nel ballottaggio del 2006. Dall’altra, in recenti interviste Lula ha fatto delle goffe difese di regimi in fase di involuzione repressiva come Daniel Ortega in Nicaragua o Cuba che ha poi in parte ritrattato, e che sono state lette come un richiamo alla componente più radicale dell’elettorato del Pt. Gli analisti considerano che è poco male se queste sparate le fa in politica estera, che ai brasiliani interessa poco, e alla fine certe sue battute anti-Zelensky non erano troppo diverse da quelle di Bolsonaro. Ma il rischio è che questi richiami alla linea dura del Pt potrebbero creare problemi anche all’economia, dove invece il pragmatismo di Lula nei suoi primi due mandati gli aveva valso una forte crescita economica, e gli elogi del Forum di Davos.

   
Ma nel frattempo c’è stata la crisi della sua delfina Dilma Rousseff, fra disastro economico e proteste di piazza e scandali. E la detenzione di Lula. E, in seguito alla Tangentopoli del “Lava Jato”,  la radicalizzazione di destra del bolsonarismo. È stata la militanza dura del Pt che ha difeso Lula in questo periodo difficile, ed è a essa che Lula ha rivolto certi toni da Conte di Montecristo del suo discorso dopo la vittoria. “Volevano seppellirmi, ma sono risorto”. Nel contempo ha parlato anche di unità di tutti i brasiliani, come a ricordare le larghe intese dei suoi primi due mandati. “L’era dell’odio è terminata, adesso tornano la bontà e l’amore in Brasile”. Ma come intenzioni è stato generico. Ha invitato alla cooperazione internazionale per preservare la selva amazzonica. Ha detto che cercherà un commercio mondiale giusto piuttosto di accordi commerciali che “condannino il nostro paese a essere un eterno esportatore di materie prime”. Ma in sostanza non ha né proposto un programma economico, né indicato chi dovrebbe gestirlo.

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Di fronte all’offensiva di fake news e odio sui social di cui si è alimentato il bolsonarismo, poi, il Pt sta anche proponendo meccanismi di controllo che in Europa o negli Usa potrebbero essere considerati ragionevoli. Ma l’America Latina è piena di regimi in involuzione autoritaria, specie a sinistra, che Lula ha appunto difeso, e che stanno infierendo sui media indipendenti. C’è dunque un minimo di preoccupazione: per la grave minoranza in cui si troverà Lula di fronte a un Congresso frammentato all’estremo, ma dove il bolsonarismo si è consolidato come maggioranza relativa compatta. Lo scenario, però, simile a quello in cui si trova in Perù Pedro Castillo: altro presidente di sinistra praticamente paralizzato di fronte a un congresso ostile che gli ha negato perfino il permesso di andare in Colombia a presenziare all’insediamento di Gustavo Petro, con la motivazione che “avrebbe potuto chiedervi asilo mentre è in corso una richiesta di impeachment!”.

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Certo, Lula ha in più un forte carisma personale, una gran capacità di navigare, e anche un partito fortemente strutturato, anche se apparentemente incapace di selezionare altri leader alla sua altezza. Basterà?

                  

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