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il faccia a faccia

Erdogan e Putin ad Astana hanno parlato di affari. I loro, non di Kyiv

Mariano Giustino

Il leader del Cremlino ha proposto ad Ankara il potenziamento dei gasdotti già esistenti in Anatolia per far diventare il paese un hub energetico del gas russo. La Turchia continua a rappresentare per Mosca la porta sui mercati occidentali e dà ossigeno alla sua economia sotto embargo

Ankara. C’era molta aspettativa in Europa sull’incontro di Astana tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il capo del Cremlino Vladimir Putin; si sperava in un decisivo ruolo di mediatore di Ankara per un “cessate il fuoco” e per un possibile avvio di un negoziato di pace di cui invece non si è per nulla parlato. Ma non c’è da sorprendersi se al vertice in Kazakistan non è stato fatto alcun passo avanti verso l’apertura di un negoziato tra Russia e Ucraina.

In realtà la necessità di questo incontro era maturata per affrontare altre problematiche riguardanti più precisamente le conseguenze economiche della recrudescenza del conflitto, la questione siriana e la necessità di implementare i rapporti economico-commerciali tra i due paesi, soprattutto nel settore energetico. Le dichiarazioni da ambo le parti rilasciate alla vigilia di questo vertice appaiono in tutta evidenza di natura propagandistica per gettare fumo negli occhi dell’occidente  facendo intendere che vi sia da parte russa la volontà di impegnarsi per un eventuale negoziato di pace. E’ stato un incontro quasi di routine. Il presidente turco è l’unico leader di un paese Nato ad aver incontrato Putin con cadenza mensile. Ciò ha rappresentato un indubbio vantaggio geopolitico per Ankara e ha fatto assumere a essa un ruolo di rilievo nella regione, dopo anni di appannamento. L’accresciuto prestigio internazionale ha già consentito a Erdogan di recuperare almeno una piccola parte del consenso perduto in patria.

Al momento possiamo dire che questo sembra l’unico importante risultato che Ankara ha ottenuto con la sua “diplomazia del pendolo”, oscillante tra Kyiv e Mosca: non applica le sanzioni occidentali, ma condanna l’invasione dell’Ucraina e ne sostiene l’integrità territoriale; fornisce droni a Kyiv, ma non chiude il proprio spazio aereo ai voli dalla Russia consentendo agli imprenditori e agli oligarchi russi di fare affare in Turchia. Chiude gli Stretti, sui cui ha il controllo, al transito delle navi da guerra russe, ma chiude un occhio al passaggio di mercantili russi che trasportano armi e grano depredato dai territori ucraini occupati per essere trasferiti nella base navale russa di Tartus in Siria. Dall’incontro di Astana emerge la disponibilità di Putin ad aiutare Erdoğgan nella propaganda interna in vista delle elezioni.

Le dichiarazioni roboanti rilasciate dal leader turco a conclusione del vertice sul completamento della centrale nucleare di Akkuyu puntano proprio a questo. Intanto Putin propone ad Ankara il potenziamento dei gasdotti già esistenti in Anatolia come il TurkStream per consentire a questo paese di diventare un hub energetico del gas russo che potrà essere destinato soprattutto all’Europa se questa lo vorrà. Vorrebbe reindirizzare  le forniture destinate ai gasdotti Nord Stream danneggiati a quelli che attraversano l’Anatolia o addirittura utilizzare l’unica parte intatta del Nord Stream 2 per rifornire l’Unione europea. L’autocrate del Cremlino è preoccupato per le difficoltà che sta affrontando in patria il suo vicino turco. Tiene molto a Erdogan soprattutto adesso che sta affrontando gravi battute d’arresto in Ucraina, vorrebbe vedere il suo potente vicino del Mar Nero separato dall’occidente e vuole che Ankara sia un punteruolo conficcato all’interno della Nato. Per il Cremlino la partnership economico-commerciale con questo grande paese è diventata ancora più importante di quanto non lo fosse già in precedenza. La Turchia, infatti, rappresenta per Mosca la porta aperta sui mercati occidentali ed è il paese che più di tutti sta dando ossigeno all’economia russa sotto embargo. 

Dal canto suo Ankara non può irritare troppo Mosca, perché dipende da essa per il 45 per cento  del suo fabbisogno di gas e per il 17 per cento del suo fabbisogno di petrolio. Inoltre il mercato russo rappresenta per la Turchia una consistente fetta delle sue esportazione di prodotti agricoli ed alimenta l’azienda del turismo turco rappresentando il 60 per cento  del suo fatturato. Inoltre il leader turco ha le finanze a secco e non può pagare alla Russia le forniture di gas, per questo chiede da tempo a Mosca il posticipo dei pagamenti al 2024, cioè a dopo le elezioni presidenziali. Ricordiamo che il leader turco sperava anche di ottenere uno sconto sul prezzo del gas. Ankara è molto preoccupata di un possibile allargamento del conflitto perché sa che la sua posizione di neutralità e di equidistanza tra occidente e Russia e tra Kyiv e Mosca potrebbe non essere sostenibile nel lungo termine senza incorrere in seri costi. Fino a quando il conflitto in Ucraina persisterà in una situazione di stallo, molto probabilmente il leader turco non apporterà cambiamenti nella sua politica, ma si aspetta un aiuto da Mosca nelle presidenziali del 2023 perché sa che una sua eventuale sconfitta elettorale rappresenterebbe un duro colpo anche per Putin, ragion per cui spera che quest’ultimo non gli farà di certo mancare il suo sostegno e in cambio Erdoğgan continuerà a tenergli aperta la Sublime Porta.