Il premier israeliano Yair Lapid (foto LaPresse)

energia e sicurezza

Lo storico accordo sul gas fra Israele e Libano ha due ostacoli: l'Iran e Netanyahu

Luca Gambardella

Il premier Lapid annuncia l'intesa che indebolisce l'alleanza fra Hezbollah e gli ayatollah. Ma sono le elezioni del mese prossimo a rischiare di dare vita breve all'accordo

A dieci anni dall’avvio dei negoziati, martedì il premier israeliano Yair Lapid e il presidente libanese Michel Aoun hanno annunciato di avere finalmente concluso un accordo storico per lo sfruttamento del gas del giacimento di Karish, nel Mediterraneo orientale. Non era un esito scontato perché, dopo una fase di ottimismo vissuta la settimana scorsa, all’improvviso i negoziati sembravano a un passo dal fallimento. Il governo di Beirut aveva rimesso mano alla bozza di accordo presentata dal mediatore americano Amos Hochstein e l’aveva resa irricevibile. Il ministro della Difesa Benny Gantz aveva messo in allerta le forze militari al confine con il Libano, che a sua volta era tornato a minacciare ritorsioni nel caso in cui non si fosse raggiunto un accordo. Con il placet del governo israeliano, la compagnia anglo-ellenica Energean, che controlla il giacimento di Karish, aveva già cominciato a pompare il gas mandandolo verso le sue piattaforme offshore. Hezbollah però si è sempre opposta a qualsiasi attività estrattiva in assenza di un’intesa formale e, lo scorso luglio, aveva inviato tre droni sul giacimento minacciando di colpire le istallazioni. 

 

Oltre a rappresentare per il futuro una nuova fonte di approvvigionamento per l’Europa, alla ricerca di fonti di gas alternative a quelle russe, l’accordo raggiunto martedì ha un impatto enorme sulla stabilità della regione ed è un passo verso la normalizzazione delle relazioni fra due paesi con una lunga storia di conflitti. “E’ un traguardo storico che rafforzerà la sicurezza di Israele, inietterà miliardi nella nostra economia e assicurerà stabilità al confine settentrionale”, ha commentato Lapid. L’oggetto dell’intesa va ben oltre lo sfruttamento del gas. In ballo c’è l’allontanamento del Libano dalla dipendenza iraniana, la messa in sicurezza del confine. In sostanza, l’obiettivo è fare di un accordo economico oggi la chiave  per arrivare a uno di pace in futuro. 
Il momento non poteva essere più propizio, perché il Libano è alla disperata ricerca di sollievo economico. Le banche sono assaltate dai correntisti che vogliono indietro i loro soldi, il costo del gasolio e dei beni alimentari è salito a livelli senza precedenti a causa della guerra in Ucraina, diverse aree soffrono di blackout elettrici per molte ore al giorno. Per una fetta crescente della popolazione libanese, il principale responsabile di questo disastro è Hezbollah. Il Partito di Dio era anche quello che più di tutti, in questi anni, si era opposto a ogni trattativa con Israele per lo sfruttamento del giacimento di Karish. Ora però, incalzato dalle proteste dei libanesi impoveriti, il suo leader, Hassan Nasrallah, ha capito che era giunto il momento di trattare con Israele. 

 

Dall’altra parte, Lapid vede l’accordo con Nasrallah come parte integrante di una  più ampia strategia anti iraniana. In nome di questo obiettivo, l’idea del governo israeliano è che i benefici derivanti da un accordo con un’organizzazione terroristica come Hezbollah superino i rischi. Nonostante le proteste di queste settimane contro il regime degli ayatollah, Teheran ha promesso agli alleati di Hezbollah 500 milioni di dollari e oltre 600 tonnellate di gasolio. Riconoscere adesso al governo libanese il pieno diritto di sfruttare, seppure in minima parte, un giacimento di gas in autonomia è un colpo molto duro per l’Iran. Il piano israeliano è meno utopico di quanto si pensi e segue lo stesso criterio che ha portato agli accordi di Abramo con altri paesi arabi: rimuovere i vecchi tabù e aprire un canale di dialogo con gli altri paesi della regione. Anche gli influenti apparati di sicurezza dello stato ebraico sostengono l’accordo, che “contribuisce in modo significativo alla sicurezza di Israele”, come ha detto Amar Bar-Lev, ministro della Pubblica sicurezza. 

 

Oltre a potere sfruttare il gas di Karish, compensando il Libano con i diritti sull’altro giacimento di Qana, Israele ha ottenuto  ampie garanzie in tema di sicurezza, con la concessione di una zona cuscinetto di 3 miglia al largo delle sue coste. Un’intesa vantaggiosa, che però la scorsa settimana ha rischiato di arenarsi per l’opposizione di Benjamin Netanyahu. Sebbene sia stato lui ad avviare le trattative 10 anni fa, in questi mesi il leader del partito Likud ha brandito il potenziale accordo con Hezbollah come un’arma elettorale in vista del voto del prossimo 1° novembre. La settimana scorsa aveva dichiarato che in caso di vittoria non si sarebbe sentito vincolato a un accordo con il Libano perché avrebbe significato “arrendersi a Hezbollah”. Bar-Lev ha detto che le parole di Netanyahu rischiano di creare il panico e ha accusato l’ex premier di “comportarsi esattamente come fa Nasrallah”. L’opposizione afferma che Lapid, in quanto premier ad interim, non abbia nemmeno l’autorità per sottoscrivere un accordo come quello con il Libano. Così, per dare piena legittimità all’intesa, Lapid vuole sottoporla al voto della Knesset prima delle elezioni, impresa non semplice. Gli stessi israeliani sono divisi. Secondo un sondaggio della settimana scorsa, il 29 per cento degli intervistati si oppone a un accordo con Hezbollah, contro il 27 per cento che invece è a favore. E’ in forza di queste posizioni molto polarizzate che, in caso di vittoria alle elezionim, Bibi potrebbe dare vita breve all’accordo con Beirut appena nato.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.