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Per i talebani sarebbe tornata la sicurezza nel paese. Ma gli attentati dimostrano il contrario

Federico Lodoli

L'attentato in un istituto scolastico a Kabul colpisce per la chiarezza dell’obiettivo: giovani donne, appartenenti a una minoranza perseguitata, uccise per il semplice fatto di trovarsi in un luogo deputato all’educazione superiore

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Fino a un anno fa gli abitanti di Kabul sapevano che quando uscivano di casa potevano non tornare. Andando a lavoro, durante una lezione a scuola, tra i banchi del mercato, potevano finire vittime di un assalto armato, di un’esplosione, di un attentato suicida. La loro vita sarebbe finita lì. E, dopo venti anni, si erano quasi abituati a quella violenza divenuta parte della loro quotidianità. Perché quella è la normalità di un paese in guerra. La guerra senza fine dell’Afghanistan

  

Da un anno i talebani rivendicano di aver riportato la sicurezza nel paese. Un successo ribadito in ogni occasione che anche i più strenui oppositori del regime fanno fatica a negare. A differenza degli ultimi venti anni, oggi è possibile viaggiare in quasi tutto il paese senza correre molti rischi. Un fatto anche solo impensabile fino a un anno fa. Eppure, sembra che per qualcuno la situazione non sia davvero cambiata.

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Ieri mattina, alle 07:30 ora di Kabul, un uomo è entrato in un istituto scolastico nel quartiere sciita Dasht-e-Barchi, il distretto 13 della capitale. Dopo aver ucciso la guardia all’ingresso, si è diretto in una classe dove, insolitamente per un venerdì mattina, circa seicento giovani, tra i 18 e i 25 anni, stavano sostenendo l’esame di ammissione all’università. Qui l’attentatore ha azionato la sua cintura esplosiva e si è fatto saltare in aria. La notizia è stata annunciata dal portavoce della polizia di Kabul Khalid Zadran. Nel giro di poche ore le vittime sono salite, passando da 19 a più di 30. I feriti a più di 40. Una violenza che “dimostra la crudeltà disumana del nemico,” ha dichiarato il portavoce del ministero dell’Interno dell’Emirato, Abdul Nafy Takor. Subito sono arrivate le condanne degli Stati Uniti, dell’Onu e di varie rappresentanze diplomatiche. 

  

  

Secondo le testimonianze di alcuni residenti locali accorsi sul luogo dell’esplosione, quella che si è mostrata ai loro occhi era una scena di guerra, con decine di corpi inermi a terra, il sangue sui banchi divelti, i feriti trascinati via nei più vicini ospedali, tra cui quello di Emergency, nel centro della capitale. Qui, uno degli studenti feriti ha raccontato all’Afp che le vittime sarebbero quasi tutte ragazze hazara, la minoranza sciita che è da sempre uno degli obiettivi principali degli attentati. Già nel 2001, prima del ritorno al potere dei talebani, il quartiere di Dasht-e-Barchi è stato il luogo di una serie di attentati. Il più sanguinoso e mai rivendicato è stato causato da tre bombe che hanno provocato la morte di 85 persone e il ferimento di altre 300, quasi tutte donne. Ad aprile, con i talebani al potere, sei persone sono morte a causa di due esplosioni in due diversi istituti scolastici. L’intensità degli attacchi è aumentata fino a diventare un appuntamento quotidiano durante la prima settimana di agosto. In vista dell’Ashura, una delle principali festività sciite che si celebra l’8 agosto, a Kabul ci sono stati almeno dieci attacchi contro le moschee e i quartieri a maggioranza Hazara, quasi tutti da parte dello Stato islamico.

  

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L’attacco di ieri non è stato ancora rivendicato ma colpisce per la chiarezza dell’obiettivo: principalmente giovani donne, appartenenti a una minoranza perseguitata, uccise per il semplice fatto di trovarsi in un luogo deputato all’educazione superiore. L’attentatore deve aver pensato ad un target ideale. Ma l’attacco di ieri sancisce in modo definitivo anche un altro fatto: il ritorno della violenza nel paese, dopo la relativa tranquillità che ha caratterizzato i primi mesi di vita dell’Emirato. Una violenza che va a minare quindi il principale successo dei talebani. Certo, i critici del regime affermano che l’insicurezza precedente era dovuta ai talebani e che, una volta preso il potere, la sua causa è naturalmente venuta meno. Da parte loro, i talebani rivendicano le azioni del passato come una necessaria resistenza contro l’occupante straniero. Non appena gli invasori sono andati via, sono finiti anche gli attentati. Queste accuse reciproche vanno avanti ormai da un anno in un dialogo tra sordi che non sembra avere alcuno sbocco. Nel frattempo le bombe sono tornate ad esplodere, le persone a morire e gli afghani rischiano di doversi abituare di nuovo ad una violenza che sembra inestirpabile. 

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