L'indifferenza di alcuni miei amici russi mi sconvolge ancora, ma ora devono scegliere: emigrare o morire

Katia Kabalina

Dall’esilio mantengo contatti con chi si trova in Russia, quindi spesso con persone con le quali sono totalmente in disaccordo. Per me è importante capire cosa succede a quelli che si trovano sotto la cupola della propaganda aggressiva del Cremlino

La “mobilitazione parziale” è un’espressione assurda che però all’inizio ha tratto in inganno la società russa. Quando ho scritto a mio zio, il giorno prima del discorso di Vladimiri Putin che annunciava la mobilitazione, non mi aveva creduto, cercava di convincermi che, essendo “parziale”, non lo riguardava né minacciava. Dall’esilio mantengo contatti con chi si trova in Russia, quindi spesso con persone con le quali sono totalmente in disaccordo. Per me è importante capire cosa succede a quelli che si trovano sotto la cupola della propaganda aggressiva della Russia. La sera dell’annuncio di Putin in tutta la Russia sono iniziate numerose proteste non violente. Le proteste pacifiche in tempi di guerra, mentre è in corso il genocidio degli ucraini, non sembrano troppo convincenti. Le autorità hanno scagliato contro la piazza migliaia di “cosmonauti”: sono gli agenti della Guardia russa, blindati da capo a piedi in una specie di tuta spaziale. Il loro compito è picchiare, donne e uomini, di qualunque età, con i manganelli, e trascinare i civili nei cellulari. Poi, nelle stazioni di polizia, gli agenti terrorizzavano i maschi, di qualunque età, consegnando loro lettere di convocazione dell’esercito, che  intimavano di presentarsi al commissariato militare alle 9 del mattino dopo. Un mio amico artista si è visto consegnare una convocazione del genere. Appena l’ho saputo ho chiamato una conoscente berlinese, che sei mesi fa aveva aiutato me e il mio compagno, l’artista Danila Tkachenko, a fuggire dalla Russia dove eravamo in pericolo. Lei è una donna molto precisa e mi ha subito indicato tutte le possibili direzioni di fuga, mi ha raccontato quali paesi europei possono darti la protezione se sei un rifugiato politico. Ho cercato informazioni, le ho mandate a tutti i miei amici, ma il mio conoscente artista ha preferito restare in Russia, senza presentarsi in caserma.  Perché molti moscoviti e pietroburghesi restano in Russia anche dopo la guerra e la mobilitazione? Io litigo con loro nelle chat, mi rendo conto che sono ossessionati dal loro benessere e dal consumismo. Quando gli chiedo “perché restate/tornate in Russia?”, mi sento rispondere: “Per guadagnare soldi”, “Perché è il mio paese”, “Perché qui  faccio le mie cose, ho dei progetti, ho delle prospettive”. Resto allibita da come parlano dei brand che comprano, dei ristoranti che frequentano, non riesco a capire se hanno un rifiuto psicologico, oppure se davvero non si rendono conto della catastrofe del loro paese.

 

Tanti altri però protestano, e sono nel panico. Dopo le prime manifestazioni, la situazione è precipitata. Gli uomini venivano terrorizzati dalla prospettiva di 3 anni di prigione se non si presentavano al commissariato militare: un inganno palese, in realtà se non firmi la lettera e non ti presenti, rischi una multa di 3 mila rubli, circa 50 euro. Il giorno dopo, le autorità hanno cominciato a distribuire le lettere di coscrizione a tappeto, ovunque: alle uscite dalla metropolitana, ai guidatori bloccati nel traffico, nei distretti di polizia. Al Museo Darwin e al Museo di Mosca, dove un tempo tenevo lezioni di arte contemporanea ai ragazzi, sono stati allestiti degli uffici di reclutamento. Dalle regioni, la gente riferiva nei social di lettere consegnate a domicilio, negli uffici, per strada. Gli studenti venivano prelevati dai militari direttamente dalle aule. E’ scattato il panico. Temendo la guerra o il carcere, gli uomini russi si sono dati alla fuga di massa. Dovevo aiutarli ad andarsene? Me lo sono chiesta subito, perché un emisfero del mio cervello funziona come quello di una ucraina e l’altro come quello di una dissidente russa. Per me, era molto difficile riconoscere che dopo il 24 febbraio, e fino al 21 settembre, molti rimanevano totalmente indifferenti alla guerra in Ucraina. I russi avevano continuato a vivere la loro vita. Soprattutto a Mosca e Pietroburgo, molti si erano dimenticati della guerra, mentre in Ucraina venivano sterminati i civili. Ho provato rabbia, ma dopo averci riflettuto sopra, ho deciso che avrei dovuto aiutare a uscire dalla Russia gli ucraini ancora rimasti in Russia e i russi politicamente attivi che correvano grandi rischi. Quando mi scrivevano uomini – o le loro donne – per chiedere aiuto a espatriare senza avere alle spalle una storia di protesta politica, io mandavo loro i link alle pagine internet con le informazioni sulla fuga e gli auguravo buona fortuna. Avevo paura di poter aiutare, senza volerlo, un ex putiniano, oppure una persona priva di posizioni politiche. Però allo stesso tempo mi rendo conto che più russi riusciranno a fuggire e meno andranno in Ucraina: alla fine, brontolando, ho aiutato i miei amici della rete di soccorso a condividere informazioni per aiutarli. 

 

Devo dire, che la maggior parte dei miei conoscenti e amici rimasti in Russia non si è posta lo stesso dilemma. Vedo molti di loro lavorare senza sosta, senza nemmeno interrompersi per qualche ora di sonno, per aiutare i potenziali reclutati a mettersi in salvo. Hanno ragione, non c’è tempo: restano forse soltanto due giorni prima della chiusura delle frontiere russe. Dopo la conclusione del “referendum”  sull’annessione del Donbas, fatti sotto i kalashnikov, sarà quasi impossibile fuggire dalla Russia. Anche se in un paese così corrotto ci saranno sempre opportunità per chi ha soldi e contatti giusti. Che storia assurda: non volevi andartene, per vari motivi – casa, genitori, lavoro – e non te ne fregava della guerra nel paese limitrofo, ma la tua patria ti ha messo lo stesso di fronte a una scelta, emigrare o morire. Un altro aspetto che sfugge a molti è la quantità sproporzionata di minoranze etniche russe mandate a uccidere i civili ucraini: buriati, daghestani, yakuti, bashkiri, tyvini, nelle zone più remote di queste regioni i militari portano via praticamente tutti i maschi. Sono emarginati sociali, ed è una tragedia osservare le minoranze etniche lottare per la vita e la libertà. Sappiamo che Mosca si occuperà di loro soltanto per usare la violenza e reprimere le loro rivolte, abbiamo già visto la Guardia russa  inviata in Daghestan. Possiamo solo fare ipotesi sul futuro, ma quello che è chiaro è che nel Caucaso, dove si parla un’altra lingua (che la Russia vorrebbe eliminare) e si pratica un’altra religione, si ha un’idea diversa di libertà, e le autorità russe dovranno scontrarsi con una forte resistenza.

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