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Violini e sanzioni

Reportage da Leopoli, dove foto dei russi in vacanza nell’Ue danno sui nervi

Cecilia Sala

 In una scatola nera di chip tutte le falle delle sanzioni occidentali. Che continuano a non colpire Mosca in alcuni settori chiave (come con la Gazprombank)

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Leopoli, dalla nostra inviata. Gli abitanti di Leopoli hanno visto la guerra solo sui volti dei cinquecentomila profughi che hanno ospitato negli ultimi sei mesi sui divani dei loro appartamenti, nelle scuole e nelle palestre comunali. Ha dormito qui la compagnia d’arte drammatica del teatro di Mariupol bombardato il 16 marzo, quello che aveva una gigantesca scritta “bambini” disegnata in terra davanti all’ingresso perché i russi la vedessero dagli aerei e con i droni. C’è un liceo dove vivono insieme venti bambini del Donbas: i loro genitori non si possono spostare perché lavorano nella polizia, sono pompieri, sono soldati oppure dottoresse dell’ospedale. Sono indispensabili dove sono. A casa di Orest, un liutaio che non ha mai smesso di produrre violini: “Anche se adesso non li compra nessuno, serve a me per tenere a bada i nervi”, a un certo punto c’erano contemporaneamente ventidue persone tutte scappate dalla provincia di Donetsk. Da casa sua sono passate decine di famiglie e gli hanno lasciato i cani e i gatti che non potevano continuare a portare con sé. 

 

Da Leopoli, l’Unione europea è molto più vicina del Donbas. Settantasette chilometri contro mille e duecento. “Ho visto che vi state muovendo per decidere voi il prezzo del gas, invece di farlo decidere a Putin e poi regalargli un sacco di miliardi. E che forse non darete più i visti turistici ai russi”, dice Yana, che studia per l’esame da avvocato e nel frattempo lavora part time in un negozio di arredamento in centro. Yana quest’estate ha sviluppato una specie di ossessione: ha passato ore a scrollare i profili instagram di ricche donne russe in vacanza in barca in Italia, in Turchia e in Grecia. E’ diventato famoso quello in cui Tatiana Navka, l’ultima moglie di Dmitri Peskov, il portavoce di Vladimir Putin, spacca i piatti per terra mentre balla il sirtaki secondo la tradizione locale. “Con quello io ho fatto il pieno al serbatoio dell’odio. So che tra decidere le regole e farle rispettare ce ne passa, ma spero che con i visti turistici e il prezzo del gas non vada a finire come con le sanzioni”. In Ucraina si continua a parlare molto di un fatto: la Gazprombank, la banca del gas di stato russo, non è sanzionata. Per gli europei, finché non si raggiunge l’indipendenza energetica, è indispensabile che i rapporti con Gazprombank rimangano come sono perché attraverso quella banca passano le transazioni finanziarie da corrispondere per le quantità di gas russo di cui ancora non possiamo fare a meno (in Italia, il venti per cento del fabbisogno nazionale). In Ucraina tutti sanno dell’appalto del ministero della Difesa di Mosca vinto dalla Gazprombank, e che attraverso Gazprombank passano molti degli stipendi dei soldati russi compreso una specie di “premio di produzione” dato ad alcuni protagonisti della guerra di aggressione all’Ucraina, tra cui gli uomini della sessantesima brigata motorizzata che è quella che ha raso al suolo Popasna, in Donbas. 

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In Ucraina sanno anche che dentro molti dei quasi quattromila missili a guida di precisione che sono piovuti sul paese dal 24 febbraio c’è una piccola scatola nera di metallo con dentro microprocessori programmabili marchiati Intel e Texas Instruments (prodotti negli Stati Uniti) oppure Infineon (prodotti in Germania). Senza le componenti elettroniche occidentali, quelle bombe russe non funzionerebbero. Un’indagine di Reuters insieme al think tank londinese Rusi  ha scoperto che – attraverso dei rivenditori – i chip programmabili sono continuati ad arrivare in Russia anche dopo che è cominciata la guerra e nonostante le nostre sanzioni.

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