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La differenza tra adottare e spartirsi l’Ucraina

Giorgio Arfaras

Kyiv chiede aiuto per la sua ricostruzione che divide in tre fasi. I compiti degli alleati

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La ricostruzione dell’Ucraina si dovrebbe articolare, secondo le dichiarazioni fatte dal suo primo ministro Denys Shmyhal durante l’incontro tenuto a Lugano, in tre fasi: subito le infrastrutture, a seguire le scuole e le abitazioni, infine la ricostruzione di tutto il resto con lo scopo di modernizzare il paese. Il costo stimato dell’operazione è intorno ai 750 miliardi di euro.
    
La proposta di Shmyhal è che una parte cospicua della ricostruzione sia pagata con le riserve della Banca centrale russa congelate dai paesi occidentali e con i beni degli oligarchi sotto sequestro: l’ammontare  è circa pari alla metà del costo della ricostruzione. Nello specifico i beni sequestrati agli oligarchi ammontano solo a quindici miliardi, senza tener conto delle complessità giuridiche che si hanno. La parte rimanente del costo della ricostruzione andrebbe quindi a carico degli organismi pubblici, come la Banca mondiale e la Banca europea per gli investimenti, oltre  ai singoli stati. La richiesta di Shmyhal si articola in un finanziamento in parte oneroso e in parte a titolo gratuito, come nel caso del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
    
La ricostruzione dopo una guerra è un processo complesso: gare d’appalto, controllo della spesa, controllo delle diverse fasi di attuazione. Il governo ucraino, presa coscienza che da solo non è in grado di assolvere al compito, decide di assegnare a ciascuno dei paesi contributori della ricostruzione una zona da supervisionare. Il nome dato all’operazione è “adozione”.  Non meraviglia che sia subito scattata in Italia l’offensiva mediatica di chi denuncia l’adozione come una perdita di sovranità. Dove il non detto è la contraddizione fra la volontà dell’Ucraina di non sottomettersi alla Russia per poi sottomettersi all’occidente. Sfugge ai critici la differenza fra il sotto mettersi a una autocrazia o a una democrazia. Nel primo caso la sottomissione è politica ed economica, nel secondo solo economica. A questa prima offensiva mediatica se ne aggiunge una seconda legata alle regioni assegnate in adozione. All’Italia spetterebbe, insieme alla Polonia, la regione di Donetsk che, a differenza delle altre, Crimea esclusa, è più o meno sotto il controllo militare russo.  La regione di Donetsk con le sue acciaierie, miniere, porti,  è forse la più disastrata, e forse proprio per questo un’occasione di ricostruzione non di modesto tenore.
   
La ricostruzione dell’Ucraina sarà possibile solo quando la minaccia russa sarà venuta meno. Non solo come fine dell’aggressione, ma come ragionevole certezza che in futuro non ve ne saranno altre. Per ora siamo lontani da questa combinazione. Prima è difficile che si mobilitino questi capitali pubblici, che poi trascinerebbero quelli privati. Ciò non toglie che se ne deve parlare per vedere che cosa si può fare. Si può anche allargare il discorso. Dopo la Prima guerra le condizioni che furono imposte alla Germania furono draconiane. Dopo la Seconda non lo furono. Dopo la Prima l’effetto ottenuto fu la rivalsa tedesca, dopo la Seconda no. La combinazione migliore è far pagare alla Russia dei danni di guerra che siano pagabili senza distruggere il paese, insieme agli aiuti per farlo riprendere. Il tutto può avvenire solo a condizione che vi sia un vero cambio politico.
 

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