Putinista e non allineata. La sinistra che fa sospirare la Francia al voto

Mauro Zanon

Gli ultimi sondaggi per il primo turno delle elezioni legislative danno un testa a testa tra la coalizione dei liberali di Ensemble!, che sostiene il presidente rieletto Emmanuel Macron, e l'ammucchiata delle sinistre progressiste capitanata da Jean-Luc Mélenchon

Parigi. Domenica, in Francia, si torna al voto per il primo turno delle elezioni legislative, ossia per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, la Camera bassa francese. E gli ultimi sondaggi danno un testa a testa tra la coalizione dei liberali di Ensemble!, che sostiene il presidente rieletto Emmanuel Macron, e l’ammucchiata delle sinistre progressiste capitanata da Jean-Luc Mélenchon, la Nupes (Nouvelle union populaire écologique et sociale). Macron e suoi alleati, secondo l’istituto Elabe, sono accreditati al 27 per cento nelle intenzioni di voto, mentre la galassia mélenchonista si attesta al 26,5. Dietro questo duo, i candidati sovranisti sostenuti dal Rassemblement national, il partito di Marine Le Pen, sono quotati al 19,5 per cento delle preferenze, davanti ai Républicains, la formazione gollista, con l’11,5. Nonostante gli allarmismi e una certa intellighenzia goscista che tifa per la vittoria di Mélenchon, stando alle proiezioni elaborate da OpinionWay, Ensemble! potrebbe comunque ottenere agevolmente la maggioranza assoluta (fissata a 289 seggi su 577), con un arco compreso tra i 290 e i 330 deputati. Certo, rispetto al 2017, “il rischio c’è”, come indicato dal vicepresidente di OpinionWay Frédéric Micheau, ma non è così alto come viene presentato da alcuni giornali. 

 

Cosciente, comunque, dell’esistenza del rischio, negli ultimi giorni Macron ha moltiplicato le trasferte per mantenere il contatto sul campo con i francesi. La scorsa settimana è stato a Cherbourg per una visita  sul tema della sanità, uno dei grandi cantieri del secondo quinquennio, e a Marsiglia, dove ha presentato il suo progetto di “scuola del futuro” accanto al neoministro dell’Istruzione Pap Ndiaye. Mercoledì era nel dipartimento della Seine-Saint-Denis, il più povero di Francia, ma anche quello che per Macron ha maggiori potenzialità: lì dove Mélenchon ha ottenuto percentuali altissime alle elezioni presidenziali. A Clichy-sous-Bois, intervistato dai giornalisti, ha attaccato la Nupes e i socialisti che, dimenticando la loro tradizione socialdemocratica ed europeista, hanno sposato la linea di Mélenchon, che, come Le Pen, ha un progetto “di uscita dall’Europa, incoerente sull’ecologia e di alleanza con la Russia”. L’inquilino dell’Eliseo ha aggiunto che il progetto mélenchonista è costellato di “divieti e di tasse”, chiedendo ai francesi di offrirgli “una maggioranza netta e chiara”. Dal Tarn, giovedì, Macron ha insistito sul rischio di dare il voto agli “estremi”, Le Pen e Mélenchon, che vogliono “rivedere le alleanze che, come la Nato, garantiscono la sicurezza collettiva e proteggono i popoli”. Dei desideri di Frexit mai sopiti, dell’ostilità anti Nato e del filoputinismo di Le Pen si parla spesso.

 

Ma altrettanto spesso ci si dimentica di sottolineare quanto Mélenchon sia vicino alle posizioni della leader sovranista sull’Europa, la Nato e il rapporto con Mosca. Nel programma del 2017, il guru della France insoumise scrisse che in caso di vittoria avrebbe rinegoziato i trattati con l’Europa, Parigi sarebbe uscita dalla Nato e dall’Organizzazione mondiale per il commercio, ma sarebbe entrata nell’Alleanza bolivariana, la coalizione dei paesi dei Caraibi e dell’America Latina creata nel 2004 da Hugo Chavéz e Fidel Castro in ottica antiatlantista. Mélenchon, del resto, ama ricordare che “la frontiera più lunga della Francia è con il Brasile e non con la Germania”, in riferimento al confine della Guyana, e da diversi anni accusa gli Stati Uniti e la Nato di mettere pressione alla Russia, militando per il “non-allineamento” della Francia all’Alleanza atlantica. “Il non-allineamento resta il mio orientamento politico”, ha twittato lo scorso 24 febbraio.

 

Il partito di Mélenchon, infine, ha un problema con l’antisemitismo. Da Taha Bouhafs, giornalista reporter costretto a rinunciare alla sua candidatura in seguito ad alcuni tweet antisemiti, ad Azelma Sigaux, tuttora candidata e amica del comico antisemita Dieudonné (il padre, Jacky Segaux, è il suo storico regista). Senza dimenticare la passarella parigina di Jeremy Corbyn, l’ex leader dei Labour inglesi allontanato per antisemitismo, invitato a partecipare alla campagna elettorale degli Insoumis e fotografato come una star accanto alle deputate mélenchoniste Danielle Simonnet e Danièle Obono.