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A lezione di responsabilità con Matthew McConaughey

Nella sala stampa della Casa Bianca, l’attore americano ha raccontato le famiglie straziate dalla strage nella scuola di Uvalde, dove è nato, e ha chiesto ai partiti di mostrare che i valori americani sono gli stessi per tutti

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Pubblichiamo il discorso che l’attore americano Matthew McConaughey ha tenuto nella sala stampa della Casa Bianca, martedì pomeriggio. McConaughey è nato a Uvalde, in Texas, dove c’è stato l’assalto alla scuola elementare Robb in cui sono morte 21 persone, il 24 maggio scorso.

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Per dare un significato alla perdita di queste vite, mia moglie Camila e io abbiamo trascorso gran parte della scorsa settimana con le famiglie di Uvalde, in Texas, e abbiamo condiviso con loro storie, lacrime e ricordi. Il filo conduttore, indipendentemente dalla rabbia, dalla confusione e dalla tristezza, era lo stesso: come possono queste famiglie continuare a onorare queste morti mantenendo vivi i sogni di questi bambini e insegnanti?

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Di nuovo: che importanza può avere la perdita di queste vite?

  
Quindi, mentre onoriamo le vittime, dobbiamo riconoscere che questa volta sembra che ci sia qualcosa di diverso. C’è la sensazione che forse esiste una strada percorribile. Le parti responsabili di questo dibattito sembrano almeno impegnate a sedersi insieme e a tenere una vera conversazione su un percorso nuovo e migliore – un percorso che possa avvicinarci e renderci più sicuri come paese, un percorso che questa volta possa davvero portare a compimento qualcosa.

 

A Uvalde, dove sono nato, ho imparato come si possiede in modo responsabile un’arma 

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Io e Camila siamo venuti qui per condividere le storie dalla mia città natale, Uvalde. Siamo venuto qui per incontrare i legislatori di entrambi gli schieramenti. Siamo venuti qui per parlare con loro e per esortarli a parlare tra di loro, per ricordare che il popolo americano continuerà a portare avanti la missione di tenere al sicuro i nostri bambini, perché è più che un nostro diritto farlo: è una nostra responsabilità.

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Sono qui oggi con la speranza di mettere in campo tutta l’energia, la ragione e la passione di cui dispongo per cercare di trasformare questo momento in una realtà. Perché, come ho detto, questo momento è diverso. Ci troviamo in una finestra di opportunità che non abbiamo mai avuto prima, una finestra in cui sembra che il vero cambiamento possa realizzarsi.

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Uvalde, in Texas, è il luogo in cui sono nato. E’ dove mia madre insegnava all’asilo a meno di un chilometro dalla scuola elementare Robb. A Uvalde ho imparato a padroneggiare una pistola Daisy BB. Ci sono voluti due anni prima di passare a un fucile 410. Uvalde è il luogo in cui mi è stato insegnato a rispettare la potenza e la capacità dello strumento che chiamiamo pistola. A Uvalde ho imparato come si possiede in modo responsabile un’arma. E Uvalde mi ha chiamato il 24 maggio, quando ho appreso la notizia di questa devastante tragedia. Ero stato tutto il giorno senza telefono a lavorare in studio quando sono uscito e i messaggi su una sparatoria di massa nella città in cui sono nato hanno iniziato a inondare la mia casella di posta elettronica. Un po’ sotto shock, ho guidato fino a casa, ho abbracciato i miei figli un po’ più forte e più a lungo della sera prima, e poi mi sono resa conto di quello che era successo quel giorno nella città in cui sono nato.

 

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Abbiamo bisogno di controlli. Dobbiamo alzare l’età minima per l’acquisto di un fucile AR-15 a 21 anni

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Così la mattina dopo, Camila, io e i bambini, abbiamo caricato il camion e siamo andati a Uvalde. E quando siamo arrivati poche ore dopo, devo dire che anche dall’interno dell’auto si poteva sentire lo shock della città. Si sentiva il dolore, la negazione, la disillusione, la rabbia, la colpa, la tristezza, la perdita di vite umane, i sogni interrotti.

 
Abbiamo visto gli amministratori. Abbiamo visto i primi soccorritori, i consulenti, i cuochi, le famiglie che cercavano di elaborare il lutto senza essere sulle prime pagine. Abbiamo incontrato l’impresario funebre locale e gli innumerevoli impresari di pompe funebri che non avevano dormito dal massacro del giorno prima perché lavoravano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, cercando di gestire tanti corpi contemporaneamente, tanti piccoli corpi innocenti che avevano ancora tutta la vita da vivere. Ed è lì che abbiamo incontrato due dei genitori in lutto, Ryan e Jessica Ramirez. La loro figlia di 10 anni, Alithia, era una dei 19 bambini uccisi il giorno prima. Il suo sogno era quello di frequentare una scuola d’arte a Parigi e di condividere un giorno la sua arte con il mondo. Ryan e Jessica erano ansiosi di condividere le opere di Alithia con noi e ci hanno detto che se avessimo potuto condividerla, forse in qualche modo Alithia avrebbe sorriso in cielo. Ci hanno detto che mostrare a qualcun altro i disegni di Alithia l’avrebbe in qualche modo tenuta in vita.

 
Ora, questo disegno in particolare è un autoritratto di Alithia che disegna, con la sua amica in cielo che la guarda mentre disegna lo stesso disegno. Sua madre ha detto, a proposito di questo disegno: “Sai, non le avevamo mai parlato del paradiso prima, ma in qualche modo lo sapeva”.

 
Alithia aveva 10 anni. Suo padre, Ryan, era solido. Era insolitamente calmo. Quando un suo amico, in preda all’ansia, si è avvicinato e ha detto: “Come fai a essere così calmo? Io starei impazzendo”, Ryan gli ha risposto: “No, non lo faresti. No, non lo faresti. Saresti forte per tua moglie e i tuoi figli, perché se ti vedessero impazzire, questo non li aiuterebbe”. Soltanto una settimana prima, Ryan aveva trovato un lavoro a tempo pieno come elettricista: stendeva le linee elettriche da un palo all’altro. E ogni giorno, da quando aveva ottenuto quel lavoro ben pagato e a tempo pieno, ha ripetuto a sua figlia Alithia: “Ragazza, papà ora ti vizierà”. Glielo diceva ogni sera. Le ha detto: “Papà ti porterà al SeaWorld un giorno”. Ma non è riuscito a viziare sua figlia Alithia. Lei non è potuta andare al SeaWorld.

  

Cominciamo a darci una buona ragione per credere che il sogno americano non sia un’illusione

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Abbiamo anche incontrato Ana e Danilo, la mamma e il patrigno di Maite Rodriguez, di 9 anni. Maite voleva diventare biologa marina. Era già in contatto con la Corpus Christi University of A&M per la sua futura iscrizione al college. Nove anni. Maite aveva così a cuore l’ambiente che quando la città aveva chiesto a sua madre se potevano lanciare in cielo dei palloncini in sua memoria, la mamma aveva risposto: “Oh no, Maite non avrebbe voluto inquinare”. Maite indossava delle Converse verdi con un cuore disegnato a mano sulla punta del piede destro, perché rappresentavano il suo amore per la natura. Camila ha queste scarpe. Puoi mostrare queste scarpe, per favore? Le indossava tutti i giorni. Converse verdi con un cuore sulla punta destra. Sono le stesse Converse verdi che aveva ai piedi e che si sono rivelate l’unica prova per identificarla dopo la sparatoria. 

 
Maite ha scritto una lettera. Sua madre ha detto che se la lettera di Maite avesse potuto aiutare qualcuno a realizzare il suo sogno, allora la sua morte avrebbe avuto un impatto, e avrebbe significato che la sua morte aveva un senso e non era inutile –avrebbe reso la perdita della sua vita importante. La lettera dice: “Biologa marina. Voglio raggiungere l’università dei miei sogni. L’università dei miei sogni è a Corpus Christi, vicino all’oceano. Ho bisogno di vivere vicino all’oceano perché voglio diventare una biologa marina. I biologi marini studiano gli animali e l’acqua. Per la maggior parte del tempo sarò in un laboratorio. A volte sarò in tv”.

 
Poi c’era Ellie Garcia, di 10 anni, e i suoi genitori, Steven e Jennifer. Ellie amava ballare e amava la chiesa. Sapeva anche guidare i trattori e lavorava già con il padre e lo zio per tagliare l’erba nei giardini. “Ellie ha sempre donato i suoi regali, il suo tempo, persino il cibo avanzato nel piatto”, hanno detto. E ancora: “In casa la chiamavamo ‘la grande re-regalatrice’”. Sorridendo tra le lacrime, la sua famiglia ci ha raccontato che Ellie amava abbracciare. Ellie era nata cattolica, ma da un paio d’anni frequentava la chiesa battista con lo zio. La mamma e il papà erano orgogliosi di lei perché “stava imparando ad amare Dio, non importa dove”. La settimana precedente alla sua scomparsa, si era preparata a leggere un versetto della Bibbia per la funzione religiosa del mercoledì sera successivo. Il versetto era tratto dal Deuteronomio 6,5. “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze”. Ecco chi stava diventando Ellie. Ma non è mai riuscita a leggerlo. 

 

Non c’è un valore democratico o repubblicano nel singolo atto di questi stragisti. Non c’è

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Poi c’era la storia d’amore da favola di un’insegnante di nome Irma e di suo marito Joe. Che grande famiglia era questa. Camila e io ci siamo seduti con una ventina di loro parenti in soggiorno, insieme ai loro quattro figli. I ragazzi hanno 23, 19, 15 e 13 anni. Hanno raccontato tutte le storie di Irma e Joe, che servivano la comunità e organizzavano feste, e di come Irma e Joe stessero progettando di mettere insieme un camioncino per la ristorazione quando sarebbero andati in pensione. Irma era un’insegnante che, secondo la sua famiglia, “andava oltre ogni limite e non poteva dire di no a nessun tipo di insegnamento”. Joe ha fatto per anni il pendolare per andare e tornare dal lavoro a 110 chilometri di distanza, a Del Rio, e insieme sono stati il collante della famiglia. Entrambi facevano gli straordinari per mantenere i quattro figli. Irma lavorava persino ogni estate, quando la scuola era finita. I soldi che aveva guadagnato due estati fa erano serviti per imbiancare la facciata di casa. I soldi che aveva guadagnato l’estate scorsa le erano serviti per ridipingere i lati della casa. Irma era una delle insegnanti uccise con un colpo di pistola in classe: Joe, suo marito, è morto letteralmente di crepacuore il giorno dopo, quando ha avuto un infarto. Non sono mai riusciti a dipingere il retro della casa, non sono mai riusciti ad andare in pensione e non sono mai riusciti a mettere insieme quel camioncino per il cibo. 

 
Abbiamo anche incontrato una cosmetologa: era esperta di trucco mortuario. Cioè aveva il compito di far apparire le vittime il più serene e naturali possibile quando la bara è aperta. Avevano bisogno di molto più del trucco per essere presentabili. Avevano bisogno di un restauro approfondito. Perché? A causa delle ferite eccezionalmente grandi che lascia un fucile AR-15. La maggior parte dei corpi è stata mutilata da una pistola. La maggior parte dei corpi era così mutilata che solo i test del dna o le Converse verdi potevano identificarli. Molti bambini sono stati lasciati non solo morti, ma anche vuoti. Quindi sì, i terapisti saranno necessari a Uvalde per molto tempo. Mi è stato detto da molti che ci vuole un buon anno prima che la gente capisca cosa fare dopo. E anche allora, quando si ritorna abbastanza sicuri da fare il primo passo, una vita intera non guarirà quelle ferite. Ancora una volta, sapete cosa volevano tutti questi genitori, cosa ci hanno chiesto? Quello che ogni genitore, separatamente, ha espresso a modo suo a Camila e a me? Che vogliono che i sogni dei loro figli continuino a vivere. Che vogliono che i sogni dei loro figli continuino a realizzare qualcosa anche dopo la loro morte. Vogliono che la loro vita persa abbia un significato. 
Abbiamo sentito tante persone, le famiglie delle vittime – madri, padri, sorelle, fratelli. Texas Rangers, cacciatori, pattuglie di frontiera e possessori di armi responsabili che non rinunciano al loro diritto di portare le armi secondo il Secondo lEmendamento. E sapete cosa hanno detto tutti? “Vogliamo scuole sicure e protette e vogliamo leggi sulle armi che non rendano così facile per i cattivi ottenere queste maledette armi”. Dobbiamo investire sulla salute mentale. Abbiamo bisogno di scuole più sicure. Dobbiamo limitare la copertura sensazionalistica dei media. Dobbiamo ripristinare i valori della famiglia. Dobbiamo ripristinare i valori americani. E abbiamo bisogno di un possesso responsabile delle armi. Abbiamo bisogno di controlli. Dobbiamo alzare l’età minima per l’acquisto di un fucile AR-15 a 21 anni. Abbiamo bisogno di un periodo di attesa per ottenere questi fucili. Sono norme ragionevoli, pratiche e tattiche per la nostra nazione, i nostri stati, le nostre comunità, le nostre scuole e le nostre case. I possessori di armi responsabili sono stufi che il Secondo Emendamento venga abusato da alcuni squilibrati. Queste norme non sono un passo indietro, ma un passo avanti per una società civile e per il Secondo Emendamento.

 

Si tratta di una panacea? No di certo. Ma le persone stanno soffrendo – le famiglie, i genitori. E per quanto il nostro paese sia diviso, la questione della responsabilità delle armi è una questione su cui siamo più d’accordo che non. Lo è davvero. Ma questa dovrebbe essere una questione non partitica. Non dovrebbe essere una questione di parte. Non c’è un valore democratico o repubblicano nel singolo atto di questi stragisti. Non c’è.

 
Ma le persone al potere non hanno agito. Quindi vi chiediamo e vi chiedo, per favore, di domandarvi: possono entrambe le parti animarsi? Possono entrambe le parti vedere al di là del problema politico e ammettere che abbiamo un problema di conservazione della vita? Perché abbiamo la possibilità di raggiungere e occupare un terreno più alto delle nostre affiliazioni politiche; abbiamo la possibilità di fare una scelta che va oltre la protezione del nostro partito, la possibilità di fare una scelta che protegga il nostro paese ora e per la prossima generazione.

 
Dobbiamo guardarci allo specchio in modo sobrio, umile e onesto e risintonizzarci in base ai nostri veri valori. Dobbiamo avere un po’ di coraggio e onorare i nostri obblighi immortali invece che le nostre affiliazioni di partito. Basta con i contrattacchi. Basta con l’invalidazione delle proposte dell’altra parte. Veniamo al tavolo comune che rappresenta il popolo americano. Troviamo una via di mezzo, il luogo in cui la maggior parte di noi americani vive, soprattutto su questo tema.

 
Perché vi assicuro che l’America, io e voi, non siamo così divisi come ci dicono. No. Che ne dite di ispirarci? Diamo a noi stessi un giusto motivo per avere di nuovo rispetto per il nostro futuro. Forse daremo un esempio ai nostri figli, un motivo per dire loro: “Ehi, ascoltate e guardate questi uomini e queste donne. Questi sono grandi leader americani. Spero che da grandi siate come loro”. E ammettiamolo: non possiamo essere veramente dei leader se viviamo solo per essere rieletti.

 
Cerchiamo di essere consapevoli e saggi e di agire in base a ciò che crediamo veramente. Ancora una volta, dobbiamo guardarci allo specchio, guidare con umiltà e riconoscere i valori che sono insiti nella politica, ma anche al di sopra di essa. Dobbiamo fare delle scelte, prendere posizione, abbracciare nuove idee e preservare le tradizioni che possono creare un vero progresso per la prossima generazione. Con una vera leadership, cominciamo a dare a tutti noi una buona ragione per credere che il sogno americano non sia un’illusione. Da dove cominciamo? Cominciamo a fare le scelte giuste sulla questione che abbiamo di fronte oggi. Cominciamo a fare leggi che salvino vite innocenti e non violino i diritti del Secondo Emendamento. Cominciamo subito votando per approvare politiche che ci impediscano di avere tante Columbine, Sandy Hook, Parkland, Las Vegas, Buffalo e Uvalde da qui in avanti. Cominciamo col dare ad Alithia la possibilità di essere viziata da suo padre. Cominciamo dando a Maite la possibilità di diventare una biologa marina. Cominciamo dando a Ellie la possibilità di leggere il suo versetto della Bibbia durante la funzione del mercoledì sera. Cominciamo dando a Irma e Joe la possibilità di finire di dipingere la loro casa, magari di andare in pensione e di prendere quel camioncino.

 
Cominciamo a fare a Makenna, Layla, Maranda, Nevaeh, Jose, Xavier, Tess, Rojelio, Eliahna, Annabell, Jackie, Uziyah, Jayce, Jailah, Eva, Amerie e Lexi la nostra promessa che i loro sogni non saranno dimenticati.

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