europa ore 7

Almeno un altro anno di Boris Johnson per l'Ue

David Carretta

Le regole interne al Partito conservatore impediscono un nuovo voto di fiducia per dodici mesi. Per Bruxelles il vero problema è l'imprevedibilità del premier britannico sul Protocollo irlandese dell'accordo Brexit, che rischia di portare a una guerra commerciale tra le due sponde della Manica

È accaduto tutto in un giorno, in più un mezzo festivo per l'Unione europea, dato che era il lunedì di Pentecoste, e alla fine non cambierà nulla. Il primo ministro britannico, Boris Johnson, ieri ha dovuto fronteggiare un voto di sfiducia interno al suo partito, dopo che un gruppo di parlamentari ribelli Tory ha raccolto un numero sufficiente di firme per contestare la sua leadership. La notizia ha colto quasi tutti di sorpresa in mattinata, quando il presidente del Comitato 1922, Sir Graham Brady, ha pubblicato un comunicato stampa per annunciare "il voto di fiducia nel leader del partito conservatore", dopo che era stata superata la soglia del 15 per cento per aprire la contesa. Il voto si è tenuto dalle 18 alle 20 di ieri sera. I risultati sono usciti alle 21 senza grandi sorprese: Johnson è stato confermato leader dei Tory e, dunque, primo ministro con 211 voti contro 148. Un'altra crisi è stata evitata. Ma sia in termini assoluti che percentuali, Johnson fa peggio di Theresa May nel voto di fiducia interno ai Tory del 2018. Le regole interne al Partito conservatore impediscono un nuovo voto di fiducia per un anno. Il sogno inconfessato dell'Ue di liberarsi di Johnson non si realizzerà per almeno altri dodici mesi.

 


Sono David Carretta e questo è un estratto di Europa Ore 7 di martedì 7 giugno, la newsletter realizzata con Paola Peduzzi e Micol Flammini, grazie a una partnership con il Parlamento europeo. Per riceverne la versione integrale ogni giorno nella tua mail iscriviti qui. È gratis 


  

Perché l'Ue vorrebbe liberarsi di Johnson? I riflettori che il premier britannico è riuscito a farsi puntare addosso per il suo interventismo nella guerra russa in Ucraina c'entrano poco. Il vero problema è l'imprevedibilità di Johnson sul Protocollo irlandese dell'accordo Brexit, che rischia di portare a una guerra commerciale tra le due sponde della Manica. Sin dall'inizio del suo mandato, Johnson ha sfruttato l'uscita dall'Ue per affermare il suo potere, consolidare la sua base nei Tory e distrarre l'opinione pubblica da altri guai. A due anni e mezzo dall'accordo Brexit, sta ancora usando il Protocollo irlandese come arma politica interna. Prima il suo governo ha rifiutato di mettere in opera alcune delle disposizioni sui controlli alle merci e sulle dogane. Ora ha anche intenzione di introdurre un disegno di legge per disapplicare alcune norme del Protocollo. Le numerose e generose offerte della Commissione per risolvere i problemi legati alle merci che dalla Gran Bretagna vanno in Irlanda del nord sono state rigettate. Se Johnson andrà avanti con i suoi piani per denunciare il Protocollo, l'Ue dovrebbe avviare le procedure per imporre dazi e quote di rappresaglia contro il Regno Unito.

L'Ue ha sempre sperato che Johnson potesse diventare un premier ragionevole sulla Brexit. Non per fare marcia indietro o entrare nel mercato unico, ma semplicemente per costruire una relazione stabile tra due partner politici ed economici, che hanno convissuto insieme per decenni. Non è accaduto con la conclusione dell'accordo Brexit nell'ottobre del 2019 e le trionfali elezioni del dicembre dello stesso anno. Anziché scendere a compromessi nei negoziati sulle relazioni future, Johnson ha perseguito la strategia della Brexit più “hard” possibile anche per l'accordo di libero scambio. Lo stesso scenario si è ripetuto quando è stato raggiunta l'intesa post Brexit: invece di risolvere i problemi alle sue frontiere (e dentro le sue frontiere) provocati dalle scelte fatte dal suo governo, Johnson ha preferito accusare l'Ue per le lunghe code a Calais o la difficoltà di inviare salsicce in Irlanda del nord. L'introduzione dei controlli in Irlanda del nord previsti dal Protocollo è stata rinviata più volte. Ancora oggi il Regno Unito non applica la legislazione doganale per le merci che arrivano sul suo territorio dall'Ue. Lo slogan di Johnson “Get Brexit done” si è trasformato in una “Brexit always delayed”.
  
Le conseguenze dell'impossibilità di avere una relazione stabile e prevedibile tra Johnson e l'Ue si fanno sentire in molteplici settori. Secondo i dati della Commissione, dal 2019 al 2021, le esportazioni di merci dell'Ue verso il Regno Unito sono scese dal 2019 al 2021 da 320,2 miliardi a 283,6 miliardi di euro, ma quelle del Regno Unito verso l'Ue sono crollate da 194,3 miliardi a 146,9 miliardi di euro. I ricercatori britannici (ma anche quelli europei che lavorano nel Regno Unito) sono esclusi da “Horizon Europe” a causa dello stallo sul Protocollo irlandese, malgrado l'impegno di Johnson di aderire al programma di ricerca dell'Ue. Secondo diversi osservatori, in questo momento, è sulla politica estera e di sicurezza che la “disintesa” poco cordiale tra le due sponde della Manica si fa sentire di più: difficile collaborare sulla guerra in Ucraina, quando Johnson e l'Ue si minacciano un mese dopo l'altro di farsi la guerra commerciale tra di loro.

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