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Dialogo tra nemici

La convivenza di una famiglia ucraina con i suoi aggressori indica che la guerra può finire

Gli Horbonos sono una famiglia che abitava nel villaggio Lukashivka, nel nord del paese. Dal 9 marzo per tre settimane hanno vissuto con i soldati russi e i loro racconti dimostrano che il morale dell'esercito di Putin è basso, specie quando ai militari vengono fatte notare le fandonie della propaganda

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Peter Pomerantsev, scrittore e ricercatore presso l’Snf Agora Institute della Johns Hopkins University, racconta sull’Atlantic la convivenza di una famiglia ucraina nella loro casa con cinque soldati russi.

 

Irina, Sergey e loro figlio Nikita, “gli Horbonos”, vivevano a Lukashivka, un villaggio nel nord dell’Ucraina, quando la Russia ha bombardato il loro villaggio e hanno iniziato a ospitare i residenti nella loro cantina. Il 9 marzo Lukashivka è stata assediata dall’esercito russo, gli Horbonos sono tornati a casa e anche quella era stata invasa dai soldati, che hanno detto loro: possiamo vivere insieme. “Avrebbero trascorso circa tre settimane con quei cinque soldati russi, mangiando insieme, camminando insieme, parlando insieme. I soldati russi facevano dichiarazioni insensate sulla loro missione e facevano domande allarmanti sull’Ucraina, ma offrivano anche spunti sulle loro motivazioni e sul loro morale; la famiglia Horbonos respingeva le loro affermazioni, urlava con rabbia e beveva con loro, usando quella misura di fiducia per stimolare la fiducia dei soldati nella guerra di Vladimir Putin”, racconta lo scrittore.

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Nel corso di quelle settimane quella casa divenne “un microcosmo del fronte propagandistico della guerra. Da una parte c’erano i russi, che ripetevano una litania di falsità che erano state raccontate sul loro assalto; dall’altra gli ucraini, che si chiedevano come la loro casa potesse essere decimata da aggressori spinti da una finzione”. Pomerantsev racconta di essere rimasto colpito da quanto l’esperienza di questa famiglia influisca in maniera evidente anche su una questione che ossessiona i politici, funzionari, giornalisti e attivisti in Ucraina e all’estero che cercano di disperatamente di portare a termine questa guerra: come persuadere i russi che sono stati nutriti con un’infinità di bugie a rinunciare al loro sostegno all’invasione di Putin dell’Ucraina?

 

La famiglia Horbonos gradualmente (e inconsapevolmente) ha messo in atto questa tecnica di persuasione: troppo spaventati per parlare tra loro nei primi giorni, i due “gruppi” hanno poi iniziato a conoscersi, discutendo prima di argomenti neutri, poi  passando al racconto delle proprie vite. I cinque soldati hanno raccontato di essere meccanici militari, uno era il comandante, quattro provenivano dalla Siberia mentre uno era tartaro, e solo due di loro avevano prestato servizio in Siria. Se all’inizio il fervore della propaganda del comandante era ai massimi livelli – lui e i suoi compatrioti erano lì per salvare gli ucraini, questa non era una guerra ma un’operazione speciale e una volta finito avrebbero potuto vivere tutti felici e contenti sotto il governo di Putin – con i giorni il suo morale scendeva sempre di più insieme ai fallimenti di guerra, con i soldati che si erano ritirati nel cinismo non volendo più fidarsi né delle informazioni russe né di quelle ucraine.

 

Uno di loro era completamente contrario a Putin, lo maledì apertamente chiamandolo “capra”: non lo aveva mai votato. Questo per Pomerantsev rappresenta i “problemi del Cremlino a motivare le persone”, e il segno che i russi non siano del tutto convinti della narrativa della propaganda russa. Le prove, dice, suggeriscono che il morale basso non sia solo tra i soldati come quelli che sono rimasti con la famiglia Horbonos ma anche tra i russi comuni. Gli Horbonos con il passare delle settimane notavano come i soldati russi cominciassero a rendersi conto di quanti danni inutili avessero causato. Quando Irina Horbonos si sfogava, gli urlava contro dicendogli di aver distrutto la sua casa, i soldati si sedevano e rimanevano in silenzio. Qualche giorno dopo, si scusarono: “Sarebbe molto meglio se un giorno potessimo farvi visita come ospiti”, disse un soldato, ma Sergey, il marito di Irina, rispose: “Sei venuto qui per uccidermi e distruggere la mia casa e dovremmo essere amici? Possiamo essere solo nemici”. I soldati si scusarono di nuovo e iniziarono a dire che la guerra era insensata: cominciarono persino a chiamarla guerra.

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Questa esperienza unica per Pomerantsev indica una possibile strategia per coinvolgere il popolo russo e accelerare la fine di questa guerra: Putin ha bisogno dei suoi uomini per far funzionare il sistema e ciò che serve è che le persone smettano di esercitare il loro peso. Irina ha raccontato allo scrittore nato a Kyiv di essersi sentita “fortunata”, perché il suo villaggio era stato risparmiato a quelle atrocità accadute nei villaggi in cui le forze russe si erano ritirate. Per Pomerantsev lo “straordinario dialogo” della famiglia Horbonos, come anche la continua apertura e ricerca di empatia del loro presidente, è stata la dimostrazione di come “questa guerra possa effettivamente finire”

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