Una tomba costruita a Bucha per seppellire le vittime dei crimini commessi dall'esercito russo in ritirata (Ansa)

Il metodo del Cremlino

Perché l'esercito russo ha interesse a uccidere i civili: Bucha non è un caso

Enrico Pitzianti

Dalla rappresaglia alle questioni ideologiche e strategiche, ci sono almeno sei motivi che spiegano la logica e gli interessi dietro alle atrocità commesse dei soldati di Putin durante la loro ritirata. Ecco quali

C’è un malinteso quando si parla di violenze compiute dagli eserciti sui civili. La spiegazione più ovvia, e che negli scorsi giorni è stata data più spesso, è che serve a conquistare più velocemente un territorio: sparare su case, anziani e persone in fila per il pane diffonde un terrore tale che finisce per svuotare i centri abitati, e permettere quindi agli occupanti di rendere più rapide le manovre di conquista. Anche per questo qualcuno davanti alle immagini degli orrori di Bucha si è rifiutato di condannare Vladimir Putin e il suo esercito opponendo un dubbio che si può riassumere così: perché mai i soldati russi avrebbero dovuto uccidere i civili visto che da quell’area si stavano ritirando?

 

 

I motivi per cui, oggi, l’esercito russo ha interesse a uccidere i civili anche mentre arretra sul territorio ucraino sono almeno sei. Innanzitutto per rappresaglia. Perdere territorio come sta succedendo all’esercito di Putin significa verosimilmente anche perdere uomini sul campo, e di conseguenza esiste la probabilità concreta che i russi si stiano vendicando sui civili. Le testimonianze che arrivano da Bucha confermano questa ipotesi: si parla di rastrellamenti dove i soldati russi, casa per casa, cercano militari (che significa maschi sopra i sedici anni) e li uccidono sul posto. La rappresaglia è proibita dal diritto internazionale, ma sappiamo che esiste e che in passato è stata la prassi anche in Europa: quando nel 1944 i nazisti guidati da Herbert Kappler uccisero oltre 330 civili a Roma, per esempio, stavano per abbandonare l’Italia. Che motivo avevano? Vendicare i 33 tedeschi uccisi dai partigiani in via Rasella. 

 

Il secondo motivo è voler danneggiare i vincitori. La logica è: se sono davvero costretto ad arretrare, allora faccio in modo che chi avanza, il mio nemico, ottenga un territorio martoriato. Anche qui gli esempi abbondano, dai villaggi dell’Europa centrale dati alle fiamme durante la Seconda guerra mondiale fino ai pozzi di petrolio distrutti a centinaia dai militari iracheni in ritirata dal Kuwait durante la guerra del Golfo, nel 1991. 

 

Putin e il suo esercito hanno interesse a usare la violenza sui civili anche come monito. Dimostrare che nonostante le sconfitte subìte sul campo non si è abbandonata l’efferatezza e la violenza. La guerra d’altronde non è finita, e di conseguenza non lo è nemmeno la necessità di mostrarsi crudeli e spietati. Anche perché se dal nord, effettivamente, l’esercito russo continua a ritirarsi, sembra assai probabile che quelle stesse truppe verranno nuovamente schierate, questa volta nell’est del paese. In questo modo le violenze sulla popolazione civile continuano a funzionare come una pubblica minaccia alle altre comunità ucraine, quelle che subiscono gli attacchi russi oggi e che li subiranno domani. 

Il quinto motivo è ideologico. Uccidere persone inermi, e farlo nei modi più crudeli, è un’assurdità immotivata solamente se quelle persone le si considera civili. Ma nella realtà alternativa della propaganda russa – alla quale sono sottoposti soprattutto i militari del Cremlino – quelli non sono civili, ma “nazisti”. O, nel migliore dei casi, dei collaborazionisti, cioè collusi con un regime colpevole di genocidio ai danni del popolo russo. Poco importa se l’espansionismo imperialista, vittimista ed etnicista sia al di là di ogni evidenza quello di Putin, è ragionevole pensare che molti dei soldati russi a questa assurdità della “guerra ai nazisti” ci credono.

 

L’ultima ragione per prendersela con i civili è nascondere i propri crimini. Uccidere una donna che è stata stuprata significa impedirne la testimonianza. Dare alle fiamme i corpi di un’intera famiglia in fuga, bambini compresi, significa rendere più difficile un’investigazione a chiunque tenti di raccogliere prove. Ma anche cancellare per sempre i segni di eventuali torture.

Le violenze dell’esercito russo sui civili seguono quindi una logica precisa e i crimini di Bucha non sono un caso isolato, ma un metodo: anche da Borodyanka, poco più a nord, arrivano prove di esecuzioni sommarie e si può supporre che altre ne arriveranno dalle città oggi controllate dagli occupanti.

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