(foto di Ansa)

grane all'Eliseo

McKinsey e gli altri due guai di Macron alla vigilia del voto

Mauro Zanon

La liaison sospetta con la società di consulenza McKinsey non aiuta Macron a pochi giorni dalle presidenziali. Sul voto rischiano di pesare anche l'omicidio di un ragazzo ebreo e lo scandalo di Laurent Bigorgne

Parigi. Lo scorso 17 marzo, il Senato francese ha pubblicato un rapporto sul crescente ricorso alle società di consulenza private da parte dello stato (tra il 2018 e il 2021 gli incarichi affidati dalle amministrazioni pubbliche a società esterne sono più che raddoppiati), definendo il fenomeno “tentacolare” e prendendo di mira in particolare la società americana McKinsey, a cui sono state assegnate diverse missioni di rilievo negli ultimi anni, tra cui l’elaborazione della strategia vaccinale anti Covid. Il ricorso a fornitori esterni non è certo uno scandalo, anzi, è una pratica assai comune non solo in Francia.

 

Il problema è che nel rapporto del Senato, McKinsey è stata accusata di non aver pagato l’imposta sulle società tra il 2011 e il 2020, mentre realizzava un fatturato di diverse centinaia di milioni di euro (329 milioni solo nel 2020): un “miracolo”, come lo ha definito il Monde, reso possibile da un meccanismo di ottimizzazione fiscale chiamato “transfer pricing”, un classico per le multinazionali e il cui carattere legale o fraudolento è sempre difficile da stabilire. “Se ci sono prove di manipolazione, si vada al penale”, ha dichiarato su France 3 il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, il 27 marzo. 

 

Ieri, la Procura nazionale finanziaria ha annunciato di aver aperto un’inchiesta preliminare per riciclaggio aggravato da frode fiscale, in seguito alle conclusioni della relazione senatoriale. Il fascicolo, aperto il 31 marzo dopo alcune “verifiche”, è stato affidato al Servizio di inchieste giudiziarie delle finanze (Sejf), ha precisato in un comunicato il presidente del Pnf, Jean-François Bonhert. L’inchiesta riguarda “lo statuto fiscale in Francia” di McKinsey, secondo quanto confermato a France Télévisions da una fonte giudiziaria. “Fin dall’inizio, chiediamo che tutta la verità sulle pratiche fiscali di questa società di consulenza venga a galla. A dicembre, l’amministrazione fiscale ha lanciato una serie di verifiche. L’inchiesta aperta dal Pnf si iscrive in questa linea. Questa società pagherà quello che deve pagare”, ha reagito ieri Gabriel Attal, portavoce del governo.

 

Nel febbraio 2021, il Monde aveva pubblicato un articolo sui rapporti di lunga data tra l’attuale inquilino dell’Eliseo e la società americana soprannominata dagli addetti ai lavori “la Firme”. In particolare veniva messo in evidenza il legame tra Macron e Karim Tadjeddine, pezzo da novanta di McKinsey, diventato superconsulente del governo (assieme a una ventina di collaboratori della maison americana ha dato il suo contributo alla realizzazione del programma di En Marche! e alla campagna elettorale del 2017). L’inchiesta del Monde aveva rivelato che le attività francesi di McKinsey sono gestite da una società domiciliata nello stato americano del Delaware, un piccolo paradiso fiscale che non tassa gli utili. “Lo dico in maniera molto netta: noi l’imposta sulle società in Francia la paghiamo”, ha detto sotto giuramento, al Senato, Karim Tadjeddine. Versione contraddetta dalle conclusioni del rapporto del 17 marzo, secondo cui Tadjeddine avrebbe testimoniato il falso. 

 

A cinque giorni dal primo turno delle presidenziali, l’apertura dell’inchiesta da parte del Pnf rappresenta un  guaio per Macron. Le opposizioni gridano allo “scandalo di stato”, accusando il presidente di favoritismo nei confronti della società americana e facendo notare che alcuni membri o ex collaboratori di McKinsey hanno lavorato con lui per la campagna del 2017. Accanto all’affaire McKinsey, altri due dossier avvelenano la campagna elettorale della macronia. Il primo riguarda l’assassinio di Jeremie Cohen, giovane ebreo finito sotto un tram a Bobigny mentre fuggiva da un’aggressione da parte di alcuni giovani delle banlieue. I due candidati sovranisti, Marine Le Pen (Rassemblement national) e Éric Zemmour (Reconquête!) denunciano la “dissimulazione” di un “crimine antisemita” da parte del governo, parlando di “scandalo di stato” e non di un dramma ordinario. Il secondo dossier incandescente riguarda l’ex direttore dell’Institut Montaigne, Laurent Bigorgne, superconsulente dell’esecutivo e fedelissimo di Macron. Bigorgne, più volte citato per diventare ministro dell’Istruzione, è sotto inchiesta per aver drogato con l’Mdma una sua collaboratrice. Secondo  Libération, è “la deriva tossica di una stella della macronia”: un’altra macchia difficile da cancellare per il presidente-candidato Macron.

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