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EDITORIALI

Sanzioni uguale globalizzazione

Redazione

Punire uno stato non è il fallimento dei mercati. Storie e numeri a confronto

Una delle storielle di questi giorni è che le sanzioni alla Russia sono un fallimento della globalizzazione. Che quest’ultima ha favorito, per l’intreccio con gas e petrolio, l’aggressione all’Ucraina. Che noi finiremo in ginocchio mentre a Mosca continueranno a spassarsela. I numeri dicono il contrario, così come è vero che le sanzioni a un paese aggressore ne bloccano l’evoluzione e la crescita. Quelle all’Italia fascista nel 1935 per la guerra all’Etiopia, benché blande (Usa e Germania non facevano parte della Società delle Nazioni, la Gran Bretagna le applicò a metà) produssero un crollo dei consumi, dell’occupazione e degli investimenti, al quale Mussolini pensò di rimediare con l’alleanza con Hitler. Solo il piano Marshall e l’obbligo ad aprire l’economia al mercato generarono il boom del Dopoguerra e l’ingresso tra i fondatori dell’Europa unita.
 
Che previsioni fare per la Russia? Intanto dopo le timide aperture iniziali il putinismo aveva già ridotto la Russia a una potenza minore nella globalizzazione. Il rublo non è tra le prime dieci valute dei commerci internazionali; i siti internet in lingua nazionale sono meno diffusi di quelli in inglese, cinese, arabo, spagnolo, francese, italiano. Secondo la World Bank la Russia è stata nel 2019 solo la 14esima esportatrice mondiale, con il 2,2 per cento dell’export globale. Tra gli importatori il 15esimo, con l’1,8 per cento. L’ultimo rapporto Espas proiettato al 2030 e redatto prima della guerra indica una crescita del ceto medio massima nell’Ue, India, Cina, Usa e Pacifico. Ben poco in Russia, il paese più esteso del mondo. Il suo attuale contributo al pil mondiale, sempre per la World Bank, è del 2,2 per cento, 12esimo al mondo. Quello degli Usa il 24,2. L’Ue il 21,8. La Cina del 15,4. En passant, l’Italia il 2,4. Nel 2018 lo stesso ministero russo delle Risorse stimò le sue riserve di gas, petrolio e materie prime pari al 60 per cento del pil. Con il blocco chi ci rimetterà (o chi durerà di più)?
 

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