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Secondo Macron il peggio della guerra in Ucraina deve ancora venire

Claudio Cerasa

Il presidente francese illumina la dimensione globale del conflitto e costringe la Nato a porsi domande proibite. Tre svolte in vista, con notizie

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Il presidente francese, Emmanuel Macron, ieri ha raccontato alcuni dettagli di una lunga telefonata avuta in mattinata con il presidente russo Vladimir Putin. E in una giornata che farà probabilmente notizia per le trattative sui corridoi umanitari e per il tentato dialogo sul cessate il fuoco, Macron ha illuminato un tema importante che si pone come un macigno di fronte alla resistenza europea in Ucraina: l’obiettivo dell’operazione della Russia – ha detto Putin a Macron – è quello di “prendere il controllo” dell’intera Ucraina e secondo il presidente francese “il peggio deve ancora venire”. L’idea che, tra Russia e Ucraina, il peggio debba ancora venire costringe gli osservatori a ragionare intorno a due questioni non da poco.

   

La prima questione è, se vogliamo, culturale e riguarda ciascuno di noi: siamo pronti o no a considerare la crisi in Ucraina come un conflitto non più di carattere locale, destinato cioè ad avere conseguenze esclusivamente sul popolo ucraino, ma come un conflitto di carattere globale, capace cioè di coinvolgere non solo economicamente il resto dell’Europa? La seconda questione, direttamente collegata alla prima, riguarda un tema che prenderà forma oggi in tre incontri multilaterali convocati simultaneamente: il G7, il Consiglio europeo, la riunione dei ministri degli Esteri della Nato.

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E quel tema è così sintetizzabile: se il peggio deve ancora venire, l’occidente libero che strumenti ha, oltre a quelli già messi in campo, per rispondere all’escalation di violenza? E nel caso specifico, se l’escalation di violenza dovesse manifestarsi in forme non accettabili per l’occidente libero, fino a che punto i paesi della Nato sono disposti a spingersi per mettere i propri stivali nella guerra contro la Russia? Il Foglio ha raccolto alcune informazioni da fonti istituzionali e diplomatiche ed è in grado di offrire tre risposte: due economiche e una militare.

 

Dal punto di vista economico, l’Unione europea nelle prossime ore cercherà un modo per evitare quello che continua a fare oggi: finanziare la guerra di Putin pagando ogni giorno alle aziende russe circa 800 milioni di euro per i contratti sul gas. Per farlo, l’Unione europea, giocando sulle clausole del contratto firmato con Gazprom, che prevede un costo dell’approvvigionamento pari ai prezzi del mercato europeo, metterà un tetto al costo del gas, e farà così scendere in modo automatico e drastico il flusso di denaro destinato alla Russia.

Una seconda strada, sempre economica, che imboccherà l’Unione europea coinciderà con l’implementazione ulteriore delle restrizioni sullo Swift, che andranno a intaccare una realtà non ancora colpita dalle sanzioni: Gazprombank, una banca dello stato al momento non coinvolta nelle sanzioni.

La terza strada, non economica, ha a che fare con un tema militare delicato che sarà oggi, nei tre vertici citati, il vero elefante nella stanza: non, come chiede il ministro degli Esteri di Zelensky, l’estensione della no fly zone sui cieli dell’Ucraina, ma la possibilità di agevolare l’ingresso sul campo di contractor e dunque truppe  non identificabili con paesi Nato. La strategia americana, come raccontano fonti di governo direttamente coinvolte sul dossier ucraino, è quella di mettere in campo tutta la potenza di fuoco economica possibile non tanto per fermare l’avanzata di Putin in Ucraina, che militarmente sembra purtroppo inesorabile e che secondo alcuni dossier condivisi con il governo italiano dall’Amministrazione americana potrebbe puntare persino alla Moldavia, quanto per favorire un difficile rovesciamento di regime a  Mosca. Ma il passaggio progressivo della crisi ucraina dalla dimensione locale a quella globale costringerà presto gli attori in campo a porsi la domanda più complicata  per chi ha scelto di scommettere sulle armi economiche piuttosto che su quelle belliche: se le condizioni lo dovessero richiedere, fino a che punto la Nato avrà la forza di avvicinare i suoi stivali sul terreno dell’escalation russa? L’elefante nella stanza, oggi a Bruxelles, è tutto qui.

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